Stemma Cardinalizio

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Creato Cardinale 25.05.1985

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TZADUA, Paulos (1921-2003) Birth . August 25, 1921, Addifini, eparchy of Asmara of Eritreans, Eritrea. Education . Seminary of Cheren, Asmara; Italian Lyceum "Ferdinando Martini", Asmara; Catholic University of Sacred Heart, Milan, Italy (doctorate in law). Priesthood . Ordained, March 12, 1944. Pastoral work in Asmara, 1944-1946; in the mission of Guarghe, south of Addis Abeba, 1946-1949. In Eritrea, faculty member, Minor Seminary, 1949-1953; further studies, Asmara, 1949-1953; in Milan, Italy, 1953-1958. Secretary to the bishop of Asmara and to the archbishop of Addis Abeba, 1960-1961. Secretary general of the Episcopal Conference of Ethiopia. In Addis Abeba, pastoral work with university students and service as archdiocesan curia official; faculty member, University of Addis Abeba, 1961-1973.

sabato 17 ottobre 2009

PAULOS L'Etiopia, segnata da Dio e dalla sua salvezza di Abuna Paulos


07/10/2009 - Al Sinodo è intervenuto il Patriarca della Chiesa ortodossa etiope, la più antica del Continente. Nella sua relazione, l'augurio che «Gesù torni in Africa, come fece quando era bambino». Ecco la traduzione dell'Osservatore Romano e la risposta del Papa

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Dio Uno, amen!
Cari partecipanti a questo grande incontro di cardinali e vescovi, è per me un onore e un privilegio essere stato invitato a questo grande Sinodo e tenere un breve discorso sull’Africa e sulle Chiese in questo continente. Sono grato in particolar modo a Sua Santità, Papa Benedetto XVI, che ha voluto che fossi fra voi oggi e che mi ha testimoniato personalmente il suo amore per l’Africa e il suo rispetto per la Chiesa etiopica ortodossa Tewahedo nel corso del nostro ultimo incontro fraterno qui a Roma nel giugno scorso.
L’Africa è, per grandezza, il secondo continente. È la patria di ogni genere di popolazione con una grande varietà di colori, che vivono in una situazione di armonia e di uguaglianza.
Questo spettro di colori è un dono di Dio all’Africa e aggiunge bellezza al continente. È inoltre la prova che l’Africa è un continente in cui ogni genere di persona vive nell’uguaglianza a prescindere dalla differenza di colore e di razza.
Antropologi, filosofi e accademici hanno confermato che l’Africa in generale e l’Etiopia in particolare sono in effetti la culla del genere umano. E la Sacra Bibbia conferma questa profonda convinzione. La storia, secondo il calendario etiopico, comincia da Adamo e da Noè. Vale a dire che, per gli etiopi, l’inizio del genere umano, il nostro presente e il nostro futuro sono segnati oggi e per sempre da Dio e dalla sua salvezza.
L’Africa, del cui popolo l’antica dignità è incisa sulle pietre dell’obelisco di Axum, delle piramidi egizie, dei monumenti così come nei manoscritti, non è stata solo una sorgente di civiltà. Secondo la Sacra Bibbia, l’Africa è stata anche rifugio per persone colpite dalla fame: è questo il caso degli Ebrei ai tempi di Giacobbe, quando trascorsero sette anni in Egitto.
La Sacra Bibbia afferma che gli ebrei e il profeta Geremia, che soffrirono molto per l’invasione dei babilonesi, trovarono rifugio in Etiopia e in Egitto. Quanti vivevano nella parte mediorientale del mondo trovarono sollievo dalla fame in Etiopia e in Egitto.
Lo stesso Gesù Cristo e Maria Santissima furono accolti in Egitto, mentre fuggivano dalla crudele minaccia di Erode. È evidente che gli africani si prendono cura dell’umanità!
L’Africa continua a essere un continente religioso i cui popoli hanno creduto in Dio onnipotente per secoli. La regina di Saba aveva insegnato ai suoi compatrioti l’Antico Testamento che aveva appreso da Israele. Da allora l’Arca dell’Alleanza si trova in Etiopia, nella città di Axum.
Il figlio della regina di Saba, Menelik I, aveva seguito il suo esempio ed era riuscito a portare l’Arca dell’Alleanza di Mosè in Africa, in Etiopia.
La storia dell’eunuco etiope e della Legge forte e ben organizzata di Mosè, e delle profonde pratiche e culture religiose esistenti in Etiopia, indicano che la Legge di Mosè in Etiopia veniva messa in pratica meglio che in Israele. Se ne può avere una testimonianza ancora adesso, studiando la cultura e lo stile di vita degli etiopi.
È ad Alessandria, in Egitto, che la Sacra Bibbia è stata tradotta in lingue non ebraiche. Questa traduzione africana è conosciuta come la Versione dei Settanta saggi (Sebeka Likawunt).
La Sacra Scrittura indica che, come ai tempi remoti dell’Antico Testamento, gli africani hanno l’abitudine di adorare Dio secondo la legge di coscienza del periodo del Nuovo Testamento.
L’allora re dei re etiope, l’imperatore Baldassarre, fu uno dei re che si recò a Betlemme per adorare il Bambino Gesù.
Il Vangelo ci dice che fu un africano, un uomo proveniente dalla Libia di nome Simone di Cirene, a prendere la croce di Gesù, mentre saliva sul Golgota. E osservate: un eunuco etiope si era recato a Gerusalemme nell’anno 34 per adorare Dio secondo la Legge di Mosè. Per ordine dello Spirito Santo l’eunuco fu battezzato da Filippo. Al suo ritorno in Africa, egli predicò il cristianesimo alla sua nazione. L’Etiopia divenne quindi la seconda nazione dopo Israele a credere in Cristo; e la Chiesa etiopica divenne la prima Chiesa in Africa.
Grandi storie di fede hanno caratterizzato i primi secoli del cristianesimo in Africa, poiché gli africani hanno sempre vissuto una profonda carità e una grande devozione per il Nuovo Testamento.
L’Africa è la regione da cui provengono eminenti studiosi e Padri della Chiesa come sant’Agostino, san Tertulliano, san Cipriano, come pure sant’Atanasio e san Kerlos. Questi Padri vengono venerati sia nel continente che nel mondo.
San Yared, che ha composto bellissimi inni sacri e che il mondo onora per la sua straordinaria creatività, era parimenti originario dell’Africa. San Yared è un figlio dell’Etiopia. I suoi inni rappresentano una delle meraviglie del mondo per cui l’Etiopia è conosciuta ovunque. Le opere di tutti questi Padri caratterizzano l’Africa.
Secondo gli studiosi, è in Africa che è stato definito il primo canone della Sacra Bibbia.
La storia ci ricorda anche il martirio dei cristiani in Nordafrica, quando il loro re, un non credente, alzò la spada contro di loro nel tentativo di distruggere completamente il cristianesimo. Allo stesso tempo cristiani che venivano maltrattati e perseguitati in diverse parti del mondo sono andati in Africa, specialmente in Etiopia, e hanno vissuto in pace in quella regione.
Devoti fedeli etiopi hanno offerto la loro straordinaria ospitalità ai nove santi e ad altre decine di migliaia di cristiani che erano stati perseguitati in Europa orientale e fuggivano in Africa a gruppi. Le abitazioni e le tombe di questi cristiani perseguitati sono state custodite come santuari in diverse parti dell’Etiopia. In Africa e in Etiopia conserviamo pezzi della Santa Croce. La parte destra della Croce si trova in Etiopia, in un luogo chiamato la Montagna di Goshen.
Anche i cristiani in Africa si sono fatti carico della Croce di Cristo. Penso alla mia Chiesa, che ultimamente ha subito una dura persecuzione durante la dittatura comunista, con molti nuovi martiri, tra cui il patriarca Teofilo e, prima di lui, Abuna Petros durante il periodo coloniale. Io stesso, che allora ero vescovo, ho trascorso diversi anni in prigione prima dell’esilio. Quando sono diventato patriarca, al termine del periodo comunista, c’era molto da ricostruire. È stato questo il nostro compito, con l’aiuto di Dio, le preghiere dei nostri monaci e la generosità dei fedeli.
L’Africa è un continente potenzialmente ricco, con un suolo fertile, risorse naturali e una grande varietà di specie vegetali e animali. Ha un buon clima e possiede molti minerali preziosi. Poiché è un continente con molte risorse naturali non ancora sfruttate, molti le tengono gli occhi addosso. È inoltre innegabile che i progressi nella civiltà in altre parti del mondo siano il risultato delle fatiche e delle risorse dell’Africa.
Gli africani hanno fatto tante opere sante per il mondo. Cosa ha fatto il mondo per loro?
L’Africa è stata colonizzata con brutalità e le sue risorse sono state sfruttate. Le nazioni ricche che si sono sviluppate sfruttando l’Africa si ricordano di essa quando hanno bisogno di qualcosa. Non hanno mai sostenuto il continente nella sua lotta per lo sviluppo.
Tutte e ciascuna delle nazioni del continente affrontano diversi problemi e sfide. I problemi possono essere sociali, politici, economici, come pure spirituali.
Mentre lo standard di vita delle popolazioni dell’Africa è più basso rispetto al resto del mondo, vi sono alcuni motivi per cui questi standard già bassi peggiorano e si espandono in tutto il continente. La mancanza di accesso all’educazione rappresenta il problema più grande, perché i giovani non riescono a ricevere un’istruzione adeguata. Nessun Paese e nessun popolo può svilupparsi e prosperare senza istruzione e conoscenza.
Come tutti ben sappiamo, non è stato possibile sconfiggere la pandemia dell’Hiv/Aids nonostante gli sforzi incessanti. Tuttavia dobbiamo incoraggiare tutte quelle esperienze che ci mostrano come guarire e contrastare il male, per dare speranza creando sinergia e fornendo all’Africa le stesse cure che ha ricevuto l’Europa. Allo stesso tempo altri generi di patologie attualmente ci minacciano. Rivolgiamo un appello al mondo a lavorare in armonia a questo riguardo. Il Concilio di tutte le Chiese in Africa sta facendo ogni sforzo per limitare i problemi che sono emersi nel continente, soprattutto il caos che stanno creando gli estremisti. I capi religiosi del cristianesimo e i fedeli in generale devono essere uniti in questo sforzo.
L’Africa è nella morsa di un pesante debito globale, che né questa, né la generazione futura potranno sostenere.
Come possiamo condannare la guerra civile, di solito combattuta da soldati bambini, che sono le stesse vittime di questi tragici atti di violenza? Come condannare gli spostamenti e le migrazioni visibili e nascoste delle popolazioni?
La legislazione internazionale sui diritti umani afferma che ogni persona sotto i 18 anni non può far parte di un gruppo armato perché “bambino”. Tuttavia attualmente alcuni paesi stanno costringendo ad arruolarsi nell’esercito ragazzi al di sotto dei 18 anni. Questa è una palese violazione dei diritti umani. È quindi un dovere per i capi delle Chiese africane gridare con una sola voce che questi comportamenti devono cessare immediatamente.
Per questo vorrei servirmi di quest’ assise per esortare tutti i capi religiosi a operare per la pace, a proteggere le risorse naturali che Dio ci ha donato e a difendere la vita e l’innocenza dei bambini.
In numerosi Paesi africani, alcune necessità basilari quali il cibo, l’acqua potabile e l’alloggio, non sono disponibili. In generale la maggior parte degli africani vive in una situazione in cui scarseggiano le infrastrutture e i servizi umani fondamentali. Anche se l’Africa si è liberata dal colonialismo da tempo, esistono ancora molte situazioni che la rendono dipendente dai paesi ricchi. L’enorme debito, lo sfruttamento delle sue risorse naturali da parte di pochi, le pratiche agricole tradizionali e l’insufficiente introduzione di moderni sistemi agricoli, la dipendenza delle popolazioni dalle piogge, che incidono negativamente sulla sicurezza alimentare, la migrazione e la fuga di cervelli colpiscono duramente il continente.
Spero che, avendo i Signori cardinali e vescovi africani già trattato precedentemente questi argomenti, oggi questo Sinodo voglia dibattere e proporre possibili soluzioni.
Credo che noi, guide religiose e capi delle Chiese, abbiamo un compito e una responsabilità veramente unici: riconoscere e sostenere, quando lo riteniamo necessario, i suggerimenti che vengono dalle persone, come pure, per contro, respingerli quando contravvengono al rispetto e all’amore per l’uomo, che affondano le proprie radici nel Vangelo.
Ci si aspetta che i cristiani siano messaggeri di cambiamenti nel portare la giustizia, la pace, la riconciliazione e lo sviluppo. È quello che ho visto fare con decisione e umiltà dalla Comunità di Sant’Egidio in tutta l’Africa: frutti di pace e di salvezza sono possibili e contrastano ogni forma di violenza con la forza e l’intelligenza cristiana dell’amore. I capi religiosi africani non devono preoccuparsi solo delle opere sociali, ma anche rispondere alle grandi necessità spirituali degli uomini e delle donne dell’Africa.
L’apostolato e le opere sociali non possono essere trattati separatamente. L’impegno sociale è il senso dell’apostolato. Ogni parola deve tradursi in pratica. Quindi dopo ogni parola e promessa occorre che seguano azioni pratiche. Ci si aspetta inoltre che i religiosi promuovano la consapevolezza delle persone affinché rispettino i diritti umani, la pace e la giustizia. La società ha bisogno degli insegnamenti dei suoi religiosi, per aiutarla a risolvere i suoi problemi nell’unità e a non essere più la vittima di un problema.
Perciò i capi delle Chiese africane, con il potere di Dio onnipotente e dello Spirito Santo, devono dar voce al linguaggio della Chiesa. È inoltre necessario capire quando, come e con chi parlare. Ciò va fatto per la sicurezza delle Chiese.
Sono veramente molto felice di partecipare a questo Sinodo della Chiesa cattolica sull’Africa. Sono africano. La mia Chiesa è la più antica dell’Africa: una Chiesa di martiri, santi e monaci. Offro il mio sostegno come amico e fratello a questo impegno della Chiesa cattolica per l’Africa. Ringrazio Sua Santità per l’invito e gli auguro una lunga vita e un ministero fecondo.
Parliamo al cuore degli africani del Vangelo di Gesù Cristo e Gesù tornerà in Africa, come fece quando era bambino con la Vergine Maria. E con Gesù torneranno la pace, la misericordia e la giustizia.
Che Dio benedica le Chiese in Africa e i loro pastori! Amen!

05/10/2009 - SINODO AFRICA, MONS. ETEROVIĆ: LA RICONCILIAZIONE SARÀ IL CUORE DELLA RIFLESSIONE

“L’insegnamento sulla riconciliazione, sorgente della pace e della giustizia”: questo “il cuore della riflessione” del Sinodo sull’Africa. È quanto ha ricordato questa mattina mons. Nikola Eterović, segretario generale del Sinodo dei vescovi, nella sua relazione all’apertura dei lavori dell’assise sinodale (Vaticano, 4-25 ottobre). Rivolgendosi ai 244 padri sinodali, mons. Eterović ha spiegato che “l’insegnamento sulla riconciliazione presuppone l’Annuncio della Buona Notizia e la sua assimilazione”. Per questo, ha aggiunto, “di fronte a tanti esempi di conflitti, di violenza e anche di odio, sembra urgente intraprendere una nuova evangelizzazione anche là ove la Parola di Dio è stata già annunciata”. In Africa, ha ricordato il segretario generale del Sinodo, “la situazione varia da un Paese all’altro. Dall’Egitto, Etiopia ed Eritrea, ove si è mantenuta la continuità del cristianesimo con i tempi apostolici, fino all’Africa sub-sahariana ove alcune Chiese particolari hanno celebrato 500 anni della fondazione, mentre altre hanno ricordato il primo secolo dell’evangelizzazione. Se si va dalla costa verso l’interno del continente vi sono Paesi in cui i primi missionari sono venuti appena 50 anni fa”. Mons. Eterović ha poi ribadito che “tutti i cristiani sono chiamati” all’“urgente e permanente compito” di “riconciliarsi con Dio e con il prossimo”.
“La disponibilità alla riconciliazione – ha detto mons. Eterović – è il barometro della profondità dell’evangelizzazione. Solamente da un cuore riconciliato con Dio, possono spuntare iniziative di carità e di giustizia nei riguardi del prossimo e della società intera”. Il segretario generale ha poi ricordato il tema dell’assemblea sinodale: “La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. «Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo» (Mt 5, 13.14)”. “Tali impegnative parole – ha spiegato – che sono al contempo una constatazione della dignità cristiana e un invito a viverla sempre meglio, sono indirizzate a tutti i cristiani, oggi in modo particolare a quelli dell’Africa. Essi sanno che la risposta affermativa presuppone la conversione”. Per mons. Eterović, “la Chiesa cattolica in Africa deve illuminare ancora di più le complesse realtà del continente, diventando sempre di più il sale della terra africana, immettendo il gusto divino nelle realtà di ogni giorno”. In Africa, ha detto, “la Chiesa è assai dinamica”: dal 1978 al 2007, il numero dei cattolici è passato da 55.000.000 a circa 165.000.000. È necessario, ha concluso mons. Eterović, che “tale crescita quantitativa diventi sempre di più anche qualitativa” per “avvicinarsi all’ideale” di essere “sale della terra e luce del mondo”.
“Le riflessioni dell’Assemblea sinodale contribuiscano a far crescere la speranza per i popoli africani e per il Continente nel suo insieme”. All’inizio dei lavori, mons. Nikola Eterović, segretario generale del Sinodo dei vescovi, ha invitato oggi i 244 padri sinodali a fare propria “la preghiera mariana composta da Benedetto XVI per accompagnare la preparazione dell’assise sinodale e per implorare l’abbondanza di grazie dello Spirito Santo allo scopo di ottenere un rinnovato dinamismo della Chiesa disposta a servire sempre meglio gli uomini di buona volontà del continente africano”. Questo “auspicio di Vostra Santità”, ha detto il segretario generale, “si sta realizzando. Ne sono testimoni i rappresentanti degli Episcopati di tutti i continenti che volentieri hanno accettato la nomina pontificia per partecipare all’Assise sinodale, significando la loro vicinanza alla Chiesa cattolica in Africa, parte promettente della Chiesa universale”. Essi, ha aggiunto mons. Eterović, “insieme con i loro confratelli d’Africa, sono disposti a pregare, a dialogare, a riflettere sul presente e sul futuro della Chiesa cattolica nel continente africano”. In questo modo, “si inseriscono nel processo sinodale di dare e di ricevere, di partecipare alle gioie e ai dolori, alle speranze e alle preoccupazioni, condividendo i doni spirituali per l’edificazione di tutta la Chiesa”.
Il segretario generale del Sinodo dei vescovi ha sottolineato l’importanza della visita apostolica di Benedetto XVI in Camerun e Angola (17-23 marzo 2009). In tale occasione, ha detto, il Papa “ha idealmente aperto i lavori dell’Assemblea speciale per l’Africa” consegnando l’“Instrumentum laboris” (il documento di lavoro). “Considerata l’importanza del messaggio apostolico per tutta l’Africa, come pure per le riflessioni sinodali”, “è sembrato assai utile”, ha detto mons. Eterović, dare ai padri sinodali i discorsi tenuti dal Papa, durante quella visita apostolica. Questi documenti, ha spiegato il segretario del Sinodo, “saranno di grande aiuto ai padri sinodali”. Mons. Eterović ha poi offerto alcuni dati statistici della Chiesa in Africa, sottolineando la crescita del numero dei cattolici (nel 2007: circa 165.000.000). Il vescovo ha anche parlato dei diversi ambiti in cui è impegnata la Chiesa cattolica, tra cui la pastorale della salute. “La Chiesa – ha ricordato – è in prima linea nella lotta contro il diffondersi dell’Aids. Essa è pure assai attiva nella cura dei malati di Aids”. Tuttavia, “non bisogna dimenticare che i dati statistici mostrano che la malaria è la causa maggiore di decessi nel continente”. Da qui l’appello alla comunità internazionale a “dedicare più energie e mezzi sia per prevenire la sua diffusione, sia per trovare un valido rimedio a tale e assai diffusa infermità”.

Sinodo per l'Africa: chiusa la prima settimana di lavori. Intervista con l'arcivescovo di Addis Abeba

R. – Questo sarebbe molto importante, perché la Chiesa universale ha una voce forte. Grazie a Dio, la voce del Papa e della Santa Sede ha un valore grande. Così, se la Santa Sede avesse un nunzio all’Unione Africana, la voce della Chiesa africana potrebbe essere sentita meglio.

D. – E questo lei crede sarebbe accolto bene anche da quei Paesi a maggioranza musulmana?

R. – Penso di sì, perché in molti casi i musulmani considerano la posizione cattolica, come per esempio per quanto riguarda il rispetto della vita. Noi educhiamo tanti musulmani, nelle nostre scuole e per questo loro sanno che noi svolgiamo questo lavoro senza forzare i musulmani a diventare cattolici; invece, diciamo loro che devono studiare per diventare voce per il loro popolo. Ma a livello dell’Unione Africana, più della metà dei membri sono cattolici! Ecco perché penso che questo nunzio possa anche aiutarli a prendere posizione secondo gli insegnamenti della Dottrina sociale della Chiesa.

D. – Lei ha invitato a studiare le cause che sono alla base del traffico di esseri umani …

R. – Io penso che questa situazione sia molto, molto seria per quanto riguarda la tratta delle donne e dei minori. Dal Sinodo deve uscire una forte presa di posizione su questo!

D. – Lei crede che una delle cause della tratta risieda in Africa?

R. – Sì: deve esistere una sorta di “accordo” internazionale, perché le persone non arrivano facilmente in Europa! Ci sono persone che hanno già pronti i visti d’ingresso: chi organizza tutto questo? Dopo gli armamenti e la droga, la tratta degli esseri umani è ora un business internazionale!

D. – Mons. Souraphiel, mi volevo soffermare sulla situazione nel suo Paese, in particolare per quanto riguarda la vita della Chiesa, la condizione dei cristiani …

R. – La Chiesa cattolica non è molto diffusa, in Etiopia, conta solo l’un per cento della popolazione. Lei sa che ha parlato, qui, il Patriarca Abuna Paulos della Chiesa ortodossa etiopica: loro rappresentano più del 45% della popolazione, per oltre 40 milioni di cristiani ortodossi in Etiopia. In Etiopia, i cristiani vogliono rimanere nel loro Paese …

D. – Lei ha detto che la povertà è una piaga per l’Etiopia …

R. – Devo dire che molte donne emigrano verso il Medio Oriente: perché vanno lì? Perché in Africa non c’è lavoro. Ma per andare lì, prima di tutto devono cambiare il loro nome cristiano in un nome musulmano, devono vestire come i musulmani … Posso dire che per la prima volta, in Etiopia, la povertà sta costringendo le persone a rinnegare la loro eredità cristiana. Quindi, emigrano, non sono pagati molto perché non sono qualificati … Ecco perché dico che ci sono cose che noi africani dobbiamo cambiare. Quando le donne o altre persone emigrano, è meglio preparare bene queste persone, offrire loro una preparazione professionale qualificata in modo che possano guadagnare di più e mandare più denaro alla loro famiglia, nel Paese d’origine.

giovedì 18 giugno 2009

VATICANO: CARDINALE VIENNA HA PRESENTATO PETIZIONE CONTRO CELIBATO PRETI

(ASCA) - Citta' del Vaticano, 17 giu - Alla vigilia dell'apertura dell'anno sacerdotale voluto da papa Benedetto XVI, in Vaticano torna a porsi con forza la questione del celibato obbligatorio dei sacerdoti. A sollevare il tema e' stato uno dei cardinali piu' influenti della Chiesa, nonche' stretto collaboratore di papa Ratzinger, il card. Christoph Schonborn. Nella due giorni di incontri Oltretevere che il pontefice e i massimi esponenti della Curia romana hanno avuto il 15 e il 16 giugno con l'arcivescovo di Vienna e altri rappresentati dalla Chiesa austriaca non si e' infatti discusso soltanto del caso di Gerhard Maria Wagner, il prete ultra-conservatore nominato in febbraio vescovo ausiliare di Linz e successivamente costretto a dimettersi per la rivolta dei preti e dei laici della diocesi.

In Vaticano, il card. Schonborn ha anche presentato la cosiddetta ''Iniziativa dei laici'' (Laieninitiativ), un appello di importanti cattolici austriaci lanciato all'inizio di quest'anno, che chiede l'abolizione dell'obbligo del celibato, il ritorno in attivita' dei preti sposati, l'apertura del diaconato anche alle donne e l'ordinazione dei cosiddetti 'viri probati'. Schonborn, che aveva incontrato i promotori dell'iniziativa pochi giorni prima di arrivare a Roma, in un'intervista alla Radio Vaticana spiega che, pur ''non condividendone alcune delle conclusioni, come ho detto piu' volte'', ha presentato il ''Memorandum'' dei laici austriaci - accompagnato da una nota di suo pugno - al prefetto della Congregazione per il clero, card. Claudio Hummes, ''pregandolo di leggerlo con attenzione''. ''Credo - ha spiegato ai microfoni del programma tedesco della Radio Vaticana - che sia importante che qualcuno a Roma sappia cosa pensa una parte dei nostri laici dei problemi della Chiesa''.

Secondo quanto riferisce l'agenzia ufficiale dei vescovi austriaci Kap, durante il suo incontro con i promotori della petizione, Schonborn aveva promesso che avrebbe presentato le loro motivazioni e proposte a Roma, insieme con le relazioni sulle conseguenze che la carenza di preti sta provocando in 46 diverse parrocchie, soprattutto nelle zone rurali. In quell'incontro, l'arcivescovo di Vienna aveva espresso ''comprensione per le preoccupazioni'' dei laici, perche' anche a lui ''sta a cuore la cura pastorale da parte delle parrocchie'', tanto piu' in questo tempo di crisi per le famiglie. ''Senza dubbio - aveva aggiunto - la carenza di preti e' collegata all'aumento del numero di persone che rimangono lontane dalla Chiesa e dalla fede''.

Naturalmente, il cardinale aveva ribadito la ''grande tradizione'' del celibato nella Chiesa. ''Pero' - aveva aggiunto - come ordinario per i cattolici di rito bizantino in Austria, il cui clero e' in gran parte sposato, non ho alcun disagio di fronte ai preti sposati''. I promotori dell'appello, secondo Schonborn, dovrebbero cercare ''non solo cio' che nelle presenti condizioni puo' esser desiderato solo in una prospettiva di lungo periodo, ma anche cio' che e' concretamente possibile'', e li aveva invitati a completare la loro iniziativa con un ''incoraggiamento'' ai giovani perche' scelgano il sacerdozio cosi' com'e' oggi. Un invito prontamente raccolto dai promotori, tra i quali spiccano tre politici di spicco del Partito popolare austriaco (il partito cristiano conservatore, per molti anni al potere, affine alla Cdu/Csu in Germania e alla Dc in Italia): un ex-segretario generale, un ex-presidente del Parlamento e un ex-vicecancelliere austriaco.

Non a caso, pur senza esserne l'argomento ''centrale'', molti dei temi sollevati dalla petizione dei laici austriaci sono stati affrontati nei colloqui avuti in Vaticano dai vescovi austriaci. Secondo quanto riferisce ancora Schonborn, papa Benedetto XVI all'inizio e alla fine della due giorni di incontri ha ribadito con forza l'importanza del celibato dei preti, collegandolo all'anno sacerdotale che si aprira' domani in Vaticano. ''Il Santo Padre - ha spiegato l'arcivescovo di Vienna - ha detto qualcosa che ci ha molto colpito sulla questione del celibato, che naturalmente in Austria, e soprattutto nella regione di Linz, e' un tema molto 'caldo'. Ha detto che la questione, in fondo, e' se crediamo che sia possibile e che abbia senso vivere una vita fondata solo e soltanto su una cosa, Dio''.

Nell'intervista a Radio Vaticana, Schonborn riferisce anche che durante i colloqui e' stato dedicato ampio spazio al ruolo dei laici, e che il caso della diocesi di Linz - scossa, come la Chiesa austriaca, da ''divisioni'' e ''profonde tensioni'' che e' inutile negare perche' sono ''fatti'' - e' un esempio positivo per il gran numero di laici attivi, che si riflette ad esempio in una partecipazione alla messa domenicale superiore alle media del Paese. ''C'e' stato accordo tra i responsabili della Chiesa romani ed austriaci che e' un bene che ci siano cosi' tanti laici impegnati nella regione... Abbiamo un bisogno impellente di laici che siano parte attiva della societa'''.

Dopo il caso Wagner, nella diocesi di Linz sono emersi alcuni casi di preti che vivevano da anni con una donna, contribuendo cosi' a riportare all'attenzione dell'opinione pubblica austriaca la questione del celibato sacerdotale.

ll Patriarca d'Etiopia: "Il mondo conoscerà l'Arca dell'Alleanza"



Il Patriarca ortodosso, Abuna Pauolos vuole svelare il millenario segreto e in un'intervista esclusiva all'ADNKRONOS spiega: ''Sono maturi i tempi per dire la verità". Ad Axum sorgerà un museo per il simbolo sacro.
Roma, 17 giu. (Adnkronos) - Presto il mondo potrà ammirare l'Arca dell'Alleanza descritta nella Bibbia come il contenitore delle Tavole della Legge che Dio consegnò a Mosè e al centro, nei secoli, di ricerche e studi.
Lo ha detto in un'intervista video esclusiva all'ADNKRONOS, visibile sul sito Ign, testata on line del sito Adnkronos (www.adnkronos.com), il Patriarca della Chiesa ortodossa d'Etiopia Abuna Pauolos, in questi giorni in Italia per il 'G8 delle Religioni', e che domani incontrerà il Papa Benedetto XVI per la prima volta e al quale, "se lo chiederà - ha proseguito il Patriarca - racconterò tutta la situazione attuale dell'Arca dell'Alleanza".

"L'Arca dell'Alleanza - ribadisce Pauolos - si trova in Etiopia da molti secoli. Come patriarca l'ho vista con i miei occhi e soltanto poche persone molto qualificate hanno potuto fare altrettanto, finora". Secondo il patriarca è custodita in una chiesa, ma per difendere quella autentica, una copia del simbolo religioso e' stata collocata in ogni chiesa del Paese.

L'annuncio ufficiale che l'Etopia consegnerà al mondo le chiavi del segreto millenario dell'Arca, verrà dato venerdì prossimo nel corso di una conferenza stampa alle 14 all'Hotel Aldrovandi a Roma dallo stesso Patriarca ortodosso d'Etiopia, insieme al principe Aklile Berhan Makonnen Haile Selassie, e al duca Amedeo D'Aosta, che sarà a Roma già domani mattina.

Secondo alcuni studi l'Arca venne trafugata da Gerusalemme dal figlio di re Salomone e portata ad Axum, considerata la Gerusalemme d'Etiopia. E proprio ad Axum sorgerà il Museo chiamato a ospitare l'Arca, il cui progetto è stato finanziato dalla Fondazione del principe, erede designato al trono da Haile Selassie poco prima di morire, Crhijecllu, acronimo delle iniziali dei nomi dei figli del principe: Christian, Jessica, Clarissa, Lucrezia.

Qualche settimana fa aveva fatto il giro del mondo la notizia secondo la quale sarebbe stata vista da un giornalista l'Arca autentica in una chiesa etiope. E' stato allora che il Patriarca Pauolos ha maturato la decisione di "dire una volta per tutte al mondo la verita'" sulla cassa di legno e oro con le Tavole della Legge di Dio. Il Patriarca ha giudicato maturi i tempi per chiudere definitivamente il capitolo sul quale fino ad ora nessuno storico, nessun ricercatore, nessun 'Indiana Jones', era riuscito a scrivere la parola fine.

Il Patriarca dell'antichissima Chiesa ortodossa d'Etiopia ha voluto accanto a sé in questa avventura il nipote dell'ultimo Negus, capo di una famiglia importane, il cui ruolo è riconosciuto sia in Etiopia che all'estero. Il principe erede che due anni fa riuscì a rappacificare le fazioni musulmana e cristiana al centro in Etiopia di un duro contrasto.

E' iniziato così il conto alla rovescia per svelare finalmente il mistero della sacra Arca dell'Alleanza, capace, secondo la leggenda, di sprigionare lampi di luce divini e folgori in grado di incenerire chiunque ne fosse colpito, come del resto efficacemente descritto nel cult movie 'I predatori dell'Arca perduta'. Dalla finzione cinematografica si passerà ora alla realtà.

Venerdì prossimo la conferenza stampa con l'annuncio ufficiale, un evento che è stato possibile anche grazie alla collaborazione di Paolo Salerno, collaboratore del principe e del giornalista Antonio Parisi, che da qualche anno segue le vicende storiche delle famiglie reali e di quella Etiope in particolare, e naturalmente dell'Arca dell'Alleanza.

Ma cos'è l'Arca dell'Alleanza , uno dei più grandi misteri dell'antichità sul quale fantasia, leggenda e storia hanno continuato a intrecciarsi per secoli? L'Arca, nella tradizione ebraica, contiene le Tavole della legge, cioè i Dieci comandamenti; il manufatto, in legno d'acacia, fu costruita da Mosè. All'esterno aveva decorazioni in oro ed è stata a lungo conservata dal popolo ebraico: ha accompagnato le sue vicissitudini, le battaglie e le sconfitte, le peregrinazioni e le lotte contro i filistei ed è stata conservata in diversi luoghi finché il Re Davide non l'ha collocata nella Rocca di Gerusalemme.

Ma è Salomone, figlio e successore di Davide, a far sistemare l'Arca nel Tempio di Gerusalemme da lui stesso fatto costruire. Questa narrazione s'intreccia poi con eventi storici e altre tradizioni religiose e nazionali. Di fatto l'Arca dell'Alleanza scompare nel 586 a.C. con la conquista di Gerusalemme da parte dei Babilonesi e la conseguente distruzione del tempio di Gerusalemme.

Tuttavia della sua effettiva rovina non c'è testimonianza scritta; da allora l'Arca diventa simbolo eternamente cercato dagli uomini e rintracciato in varie parti del mondo, dall'Africa al Medio Oriente. La tradizione etiope colloca l'Arca nel regno di Axum, dopo che Salomone l'aveva donata al figlio della Regina di Saba, Menelik I. Qui, sarebbe rimasta nel corso dei secoli protetta dai monaci ortodossi nella citta' santa di Lalibela nei pressi di Axum, dove si troverebbe tuttora.

L'Arca, che non è visibile a nessuno tranne un monaco che la custodisce, viene preservata nel complesso della cattedrale di Santa Maria di Sion, e' dunque nascosta a tutti e viene portata in processione una volta all'anno ma avvolta in un panno.

L'Arca ha accesso la fantasia di archeologi, scrittori, gruppi religiosi, sette di ogni tipo. Nella tradizione infatti si afferma che emana un potere particolare ma anche che chi la tocca veniva fulminato. Un oggetto che data anche la sua collocazione - Il Tempio di Gerusalemme - è stato di volta in volta al centro di storie legate alla Massoneria o ai Templari. Tuttavia va ricordato che sono molte in Etiopia le chiese nelle quali e' conservata un'''arca'', così come diversi studiosi - muovendosi spesso al limite del mistero e della leggenda - la collocano in varie parti del mondo.
http://www.adnkronos.com/IGN/Altro/?id=3.0.3437754525

lunedì 8 giugno 2009

DA ARCHIVI SEGRETI NUOVE VERITA' SU PIO XI


MILANO (ANSA.it)- Nuove verità su Pio XI, il papa a cui toccò guidare la Santa Sede in uno dei periodi più foschi del secolo scorso, potrebbero emergere dagli ultimi studi svolti da esperti di tutta Europa sui materiali più recenti messi a disposizione dagli Archivi segreti vaticani.

A tre anni dall'apertura degli Archivi nella parte riguardante papa Ratti, si terrà a Milano un convegno di due giorni, il 9 e 10 giugno prossimi. La copiosa documentazione, desecretata nel settembre del 2006 da Papa Benedetto XVI, è stata incrociata e sovrapposta con le fonti già note ed esistenti.

"Di tante vicende avevamo forse un quadro completo ma mancava il punto di vista del Vaticano - ha spiegato il professor Alberto Guasco, della Fondazione per le Scienze religiose Giovanni XXII di Bologna, che ha organizzato le giornate di studio - la fonte insomma più diretta. Il lavoro - ha aggiunto - è stato molto complesso viste le dimensioni del materiale da studiare, ma ora abbiamo fatto un altro passo avanti per chiarire tanti interrogativi". Il convegno, che si svolge alla Fondazione Ambrosianeum. Titolo, ha per titolo 'Pio XI: Parole chiave Totalitarismo, Morale, Russia''. Nato a Desio il 31 maggio del 1857, Achille Ratti, divenne papa nel 1922 e guidò la Chiesa Cattolica fino al 1939, la vigilia della seconda guerra. Durante la sua vita ci furono cinque dittatori (Mussolini, che salì al potere otto mesi dopo la sua elezione, Salazar in Portogallo, Hitler in Germania, Franco in Spagna, Stalin in Urss), la crisi economica del 1929, la persecuzione in Messico e la guerra di Spagna, il concordato, le leggi razziali.

Tutto registrato dalle fonti documentarie conservate nell'Archivio Segreto Vaticano e nell'Archivio della Seconda Sezione della Segreteria di Stato. Molti interrogativi sono già stati chiariti, come quello dell'esistenza di un'enciclica di condanna alla dittatura o la lettera con cui Pio XI chiedeva a Mussolini di non intraprendere la guerra in Etiopia. Altri sono ancora aperti. Nei due giorni di convegno, saranno analizzate le posizioni della Santa Sede in quel periodo, i nodi più critici, i contrasti, i silenzi che poi si sono prestati a molteplici interpretazioni. Ma si parlerà anche delle encicliche di Pio XI sui giovani, la famiglia, le donne, la nuova morale, le missioni e i movimenti cattolici. "Quella di Pio XI - ha detto Guasco - é una figura che ormai si sta ben delineando. Restano però gli interrogativi sul perché tanti documenti non sono stati pubblicati dopo la sua morte, perché sono stati tenuti nascosti e da chi, ma soprattutto perché si è preferito alle parole il silenzio".

http://www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/daassociare/visualizza_new.html_987743010.html

domenica 7 giugno 2009

Gli 80 anni dello Stato più piccolo del mondo

Con 44 ettari di superficie, lo Stato della Città del Vaticano è il più piccolo del mondo. Ha 800 abitanti, gode di extraterritorialità, ha una bandiera, un inno e può avere una propria flotta marittima . Dal 1984 è patrimonio dell'Unesco
A segnare la nascita dello Stato racchiuso nelle mura leonine furono infatti i Patti Lateranensi sottoscritti fra Italia e Santa Sede, fra Pio XI, rappresentato dal Segretario di Stato cardinale Pietro Gasparri, e Benito Mussolini, l'11 febbraio del 1929, ratificati poi dal Vaticano il successivo 7 giugno.

La data segna in modo ufficiale la nascita dello Stato della Citta' del Vaticano. Da quel giorno ha preso forma anche istituzionalmente uno stato sovrano universalmente riconosciuto e distinto dalla Santa Sede, la massima istituzione della religione cattolica apostolica romana.

L'accordo fra Italia e Vaticano venne confermato dalla Costituzione repubblicana e inserito nell'articolo 7 dove si stabiliscono ruoli e limiti di Stato e Chiesa. Poi nel 1984 i Patti divennero Concordato: Presidente del Consiglio allora era Bettino Craxi, il Pontefice Karol Wojtyla e il Segretario di Stato il cardinale Agostino Casaroli.

La forma di governo vigente nello Stato Vaticano e' la monarchia assoluta. Tutti i poteri convergono infatti sul Papa che risiede entro i suoi confini o, nel periodo estivo, nelle Ville pontificie di Castelgandolfo. All'interno dei confini vaticani si trovano inoltre quasi tutti gli organismi e i dicasteri della Santa Sede, che formano il governo e che coadiuvano il Papa nella sua azione.

Ma non c'e' solo questo nucleo di istituzioni concentrato in gran parte intorno a San Pietro, con qualche propaggine anche in altre zone della citta': ci sono migliaia di diocesi sparse in tutto il mondo, centinaia di congregazioni religiose maschili e femminili, nunzi apostolici - gli ambasciatori - del Papa che operano nelle capitali di tutto il mondo. La Chiesa vanta poi collegamenti con un'immensa e ramificata rete di istituzioni educative e assistenziali.

La Santa Sede si e' resa completamente indipendente da qualsiasi altro potere al mondo. Tuttavia, la sua giurisdizione si estende anche oltre i confini dello Stato includendo aree della citta' di Roma e dei dintorni che godono dell'extraterritorialita', cioe' della rinuncia da parte dello Stato italiano ad esercitarvi poteri di polizia.

La Santa Sede ha un sito internet e un organo ufficiale di stampa, l'Osservatore Romano. Come ogni altro Stato sovrano anche il Vaticano e' dotato di una vessillo. Dai colori giallo e bianco, divisi in senso verticale, la bandiera pontificia accoglie anche il simbolo dell'antica tiara papale e le chiavi del regno, dette "decussate", posizionati entrambi nella parte bianca.

La Santa Sede possiede un inno, che dal 16 ottobre del 1946, per volere di papa Pio XII , e' La Marcia Pontificia. Batte anche la propria moneta, cioe' l'euro, che fa coniare alla Zecca dello Stato in Italia, non possedendo un proprio istituto, per il valore di un milione di euro l'anno, ed emette francobolli postali.

Anche il Vaticano e' provvisto di corpi speciali che ne garantiscono la sicurezza: la Guardia Svizzera - antico corpo dalla caratteristica divisa, rossa gialla e blu - e il Corpo della Gendarmeria, che svolge funzioni di polizia e si occupa della sicurezza dello Stato. Entrambi questi corpi hanno visto negli ultimi anni aggiornare le loro funzioni e ruoli, compiti di intelligence e scambi con le polizie europee, sono diventati elementi indispensabili della loro attivita' in modo specifico all'indomani degli attentati dell'11 settembre.

La Dichiarazione di Barcellona del 1921, approvata dalla Societa' delle Nazioni, consente allo Stato Vaticano, che non ha accesso diretto al mare, di navigare con navi battenti la propria bandiera. Tuttavia, lo Stato attualmente non esercita tale diritto.

I suoi beni extraterritoriali sono garantiti al livello internazionale dalla Convenzione dell'Aja del 14 maggio 1954, che concerne la tutela dei beni culturali in caso di conflitto armato. Dal 1984 il Vaticano e' inoltre, Patrimonio dell'Unesco.

sabato 6 giugno 2009

Il crocifisso del samurai



Rino Cammilleri racconta la grande rivolta dei samurai cristiani

di Antonio Gaspari


ROMA, mercoledì, 3 giugno 209 (ZENIT.org).- Un romanzo straordinario, il racconto di un fatto vero che ha segnato la storia di un paese e della comunità cristiana, un evento epico e commovente, una vicenda che narra l’eroismo di samurai e contadini, che pur di avere la libertà religiosa morirono tutti martiri.

“Il crocifisso del samurai”, edito da Rizzoli e scritto da Rino Cammilleri, racconta la grande rivolta dei samurai cristiani di Shimabara avvenuta nel 1637.

Quarantamila cristiani giapponesi, donne e bambini compresi, si ribellarono alla persecuzione e si arroccarono nella penisola di Shimabara, nel castello in disuso di Hara. Qui tennero testa per cinque mesi al più grande esercito di samurai che la storia del Giappone avesse mai visto.

Nella battaglia finale i cristiani vennero uccisi, migliaia delle loro teste vennero infilzate su pali per terrorizzare chiunque avesse voluto farsi cristiano.

L’armata dello Shogun riuscì a stroncare la ribellione, ma al costo di settantamila uomini ben armati e addestrati che morirono combattendo contro contadini e anziani samurai cristiani che pure erano affamati e indeboliti dal freddo, ma saldi nella fede in Gesù Cristo.

Per evitare l’onta di non essere riuscito a domare la rivolta il generale giapponese Matsudaira Nobutsuna, offrì ai rivoltosi l’onore delle armi, la dilazione sulle tasse e il perdono, ma questi rifiutarono. L’unica cosa che chiesero era la libertà di professare la religione cristiana.

Ma proprio questa libertà era ciò che le autorità giapponesi temevano. Per i due secoli successivi alla rivolta cristiana, il Giappone si isolò dal mondo e perseguitò tutti coloro che si dicevano seguaci di Cristo.

Eppure, quando nella seconda metà dell’Ottocento i missionari europei poterono tornare in Giappone, trovarono che i discendenti di quegli antichi cristiani avevano conservato la fede nella clandestinità, tramandandosela di generazione in generazione.

Rino Cammilleri, noto giornalista e saggista, ha svolto una intensa ricerca storica per scrivere questo romanzo così avvincente.

Cammilleri, che ha trascorso la vita a indagare la storia della cristianità, è autore di rubriche in diverse testate giornalistiche. Ha pubblicato decine di libri, tra cui “I santi di Milano” (Rizzoli 2000), “Gli occhi di Maria” (con Vittorio Messori, Rizzoli 2001) e “Immortale odium” (Rizzoli 2007).

ZENIT lo ha intervistato.

Per anni lei ha studiato e raccontato la storia del cristianesimo. Come è arrivato a questa struggente storia dei martiri giapponesi?

Cammilleri: Chi mi segue sa che mi sono a lungo occupato di sfatare le “leggende nere” che gravano sulla storia della Chiesa. I presunti scheletri nell’armadio del cristianesimo (Inquisizione, Crociate, Galileo, Conquistadores…) ormai li ho revisionati tutti. Ma in tutti questi anni mi sono imbattuto in storie meravigliose che nessuno ha mai raccontato, almeno non col risalto che meritano. Sono storie così avvincenti da superare la fantasia e sono ideali per un romanzo storico, genere al quale i cattolici non si dedicano più da troppo tempo. Ho deciso, allora di farlo io. Col precedente “Immortale odium” (Rizzoli) ho messo in scena il braccio di ferro ottocentesco tra la Chiesa e la Massoneria, prendendo spunto dall’attacco al corteo funebre del b. Pio IX nel 1881. Con questo “Il crocifisso del samurai” (sempre Rizzoli) ho puntato il riflettore sulla grande rivolta di Shimabara, in cui nel 1637 quasi cinquantamila cristiani giapponesi, guidati da samurai cristiani, si immolarono in nome della libertà religiosa e del loro diritto a professare la religione di Cristo.

Perché le autorità giapponesi ebbero così paura del cristianesimo?

Cammilleri: Con la battaglia di Sekigahara del 1600 erano finite le eterne guerre feudali e il clan dei Tokugawa si era imposto su tutto il Giappone, governando di fatto al posto dell’Imperatore. Il cristianesimo, portato da s. Francesco Saverio, era stato dapprima bene accolto e quasi trecentomila giapponesi si erano fatti battezzare. Ma contro di loro “remavano” i bonzi buddisti e i mercanti protestanti, invidiosi della concorrenza spagnola e portoghese. Misero la pulce nell’orecchio allo Shogun (il dittatore): i missionari cattolici erano l’avanguardia dell’invasione spagnola e portoghese. La prova? Il fatto che i cristiani, quando erano messi di fronte alla scelta tra le leggi dello Shogun e quelle di Cristo, preferivano farsi uccidere anziché disobbedire a quest’ultimo.

Perché il sangue di quei martiri sembra aver generato così poco frutto?

Cammilleri: Non direi, anzi. Per due secoli, proprio a causa di quella rivolta, il Giappone si chiuse al mondo esterno. Quando i missionari poterono tornare, nella seconda metà dell’Ottocento, trovarono che il cristianesimo era sopravvissuto nelle catacombe, tramandato di padre in figlio. I «cristiani nascosti», sfidando la morte (il cristianesimo sul suolo giapponese ebbe il permesso di esistere solo alla fine del secolo), contattarono il primo missionario e gli fecero addirittura l’esame per vedere se era cattolico o protestante. Non si è mai vista una fedeltà così tenace. L’animo giapponese ha anche questo bellissimo aspetto.

Nella parte finale del romanzo lei ricorda la profezia di Tertulliano secondo cui “il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”, ma poi riflette anche sul fatto che in tanti luoghi il cristianesimo è stato soffocato nel sangue. Ha una spiegazione teologica per questa apparente contraddizione?

Cammilleri: No. Io posso basarmi solo sui fatti storici. Nei luoghi dove si è stesa la cappa islamica, per esempio, il cristianesimo è praticamente scomparso. In Giappone la maggior concentrazione di cristiani era nella zona di Nagasaki. Ebbene, proprio a Nagasaki è stata sganciata la seconda bomba atomica. La cristianità nipponica è stata azzerata per due volte. Tutti i beatificati giapponesi sono martiri. Tertulliano aveva sotto gli occhi i cristiani romani. Noi, oggi, abbiamo una visuale più ampia della sua. Non basta impiantare il cristianesimo, occorre difenderlo: questo è quanto la storia ci insegna. In Indocina la persecuzione cessò solo quando intervennero le cannoniere francesi. In Cina, i massacri di cristiani da parte della setta dei Boxers smisero quando le potenze occidentali inviarono corpi di spedizione.

Oggi in Giappone solo il 4% della popolazione è cristiano. Crede che la situazione possa cambiare e che i cristiani possano crescere verso cifre significative?

Cammilleri: Il cristianesimo ha dalla sua, agli occhi degli orientali, il prestigio dell’Occidente. Ma anche la pessima immagine di sé che, sul piano morale, l’Occidente secolarizzato ormai offre. E’ l’Occidente che, nel bene e nel male, dà il “la” all’intero pianeta. E se il sale non riacquista sapore non serve davvero a niente. Se si rievangelizza l’Occidente il resto seguirà.

I samurai giapponesi sembrano molto simili ai legionari romani. Con la differenza che i legionari che si convertirono al cristianesimo, che pure morirono a migliaia, generarono chiese, devozione, altre conversioni, fino ad arrivare all’imperatore Costantino. Cosa è accaduto in Giappone perché la storia si svolgesse in maniera così diversa?

Cammilleri: Proviamo a immaginare se non ci fosse stato Costantino, se il cristianesimo fosse stato bandito dalle legioni, se si fosse continuato a perseguitarlo con l’efficacia ossessiva di Diocleziano. Le precedenti persecuzioni erano state sporadiche e localizzate. La pressione non fu mai così capillare da impedire alla pianticella di respirare e svilupparsi. Costantino, da buon giardiniere, diede spazio e acqua e concime. Infatti, già con Teodosio, sessant’anni dopo, il cristianesimo era diventato maggioritario nell’Impero. Ma in Giappone non fu così. Il cristianesimo fu perseguitato nei modi più feroci per più di due secoli, e solo esso. Una pausa di settant’anni, poi, come sappiamo, giù una atomica. Tuttavia, oggi c’è un detto in Giappone: quando si commemora il giorno della bomba, «Hiroshima urla, Nagasaki prega». Proteste antiamericane nella prima, composte liturgie nella seconda. Il “piccolo gregge” giapponese ha la pelle dura, e la testa anche di più.

Per molti anni il mondo giornalistico e letterario cattolico italiano è stato impegnato a rispondere alle calunnie e alle allusioni di diversi scrittori contrari a Cristo e alla Chiesa cattolica. Con questa sua opera così come con il libro di Rosa Alberoni “La prigioniera dell’Abbazia” si può cominciare a dire che emerge e si consolida un filone di romanzi che ruotano attorno ai valori, alle virtù, all’epopea, alla storia, all’eroismo dei cristiani?

Cammilleri: Le cose emergono se c’è qualcuno che le fa emergere. Spero proprio che si tratti di «filone», perché per il momento mi pare solo una cocciuta iniziativa di pochi. Cocciuta, ho detto, perchè questi combattono non più contro intellettuali avversari ma contro il mercato. Se la gente preferisce comprare libri sui vampiri o sui serial killer, i casi sono due: o i romanzieri cattolici non sono capaci di avvincere e non annoiare, o anche il pubblico cattolico preferisce vampiri e serial killer. In quest’ultimo caso siamo davvero messi male.
http://www.zenit.org/article-18495?l=italian

venerdì 5 giugno 2009

ታሪኽ ሕይወት ነፍሰኄር ብፁዕ አቡነ ኪዳነማርያም ተኽለሃይማኖት (በባ ብሩኽ ወልደጋብር ዘማኅበረ ሲታውያን)

ካብ ባሻይ ተክለሃይማኖት ባርያኡን ወይዘሮ ኣበራሽ ገብረዝግን ብ5 ጳጉሜን 1925 ዓ.ም.ግ (10.09.1933 ዓ.ም.ፈ) ኣብ ዓድብፅዖ ወረዳ መንዅሰይቲ አውራጃ ኣከለጉዛይ ሃገረ ኤርትራ ተወልዱ።
ወዲ 8 ዓመት ምስ ኮኑ ኣብ ቝምስናኦም መባእታዊ ትምህርቲ ጀመሩ። ብቆሞሶም ተሓጊዞም ብ1938 ዓ.ም.ግ (1945 ዓ.ም.ፈ.) ናብ ቤት ትምህርቲ ዘርአ ክህነት ዓድግራት ኣተዉ። ን12 ዓመት ዚአክል ምስ ተማህሩ ሓምሳይ ርእሶም ብስም ሰበኻ ዓድግራት ናብ ጥንታዊ ደብረ ቅዱስ እስጢፋኖስ ዘቫቲካን ተልእኩ። ብ 6 ሓምለ 1957 ዓ.ም.ፈ ናብ ኢትዮጵያዊ ኮለጅ ቫቲካን ኣተዉ። ብ1952 ዓ.ም.ግ (ብ1960 ዓ.ም.ፈ) ናይ ፍስልስፍና “ባቸለር ዲግሪ” ብ1953 ዓ.ም.ግ (ብ1961 ዓ.ም.ፈ) ናይ ፍልስፍና “ማስተረይት ዲግሪ” ብ1955 ዓ.ም.ግ (ብ1963 ዓ.ም.ፈ) ከአ ናይ ንባበ መለኮት “ባችለር ዲግሪ ተቐበሉ።
ብ11 ታሕሣስ 1957 ዓ.ም.ግ (20.12.1964 ዓ.ም.ፈ) ኣብ ቫቲካን ብኢድ ብፁዕ አቡነ ያዕቆብ ገብረኢየሱስ መዓርገ ክህነት ተቐበሉ። ትምህርቶም ቀጺሎም ብወርኂ ሠነ 1957 ግዕዝ=1965 ዓ.ፈ.) ናይ ንባበ መለኮት ማስተረት ዲግሪ ንምጭባጥ በቅዑ። ድኅሪኡ ናብ ዓድፈረንሳ ናብ ከተማ ፓሪስ ተላእኩ። ንክልተ ዓመት ሥነ ሓዋርያነትን ሥነ መዕበያን (Pastoral Theology and Pedagogy) ተማሂሮም ንመኦኣርገ ዲፕሎማ በቕዑ። ነርባዕተ ወርኅን ፈረቓን ፈረንሳየኛ ኣጻርዮም ንኺምሃሩ ኣብ ከተማ ፓሪስ ጸንሑ። ብወርኂ ኅዳር 1960 ዓ.ም.ግ. (1967 ዓ.ም.ፈ) ናብታ ዝተዀስኰሱላ ገዳም መድኃኔ ዓለም ዓድግራት ተመልሱ። ሰበኻ ዓድግራት ካብ ትምሥረት 7 ዓመት ኮይኑ ነበረ። ብቐዳማይ ጳጳስ ብበዓል ሠናይ ዝኽሪ አቡነ ኃይለማርያም ካሕሣይ ትመሓደር ነበረት።
ናብ ዓድግራት ምስ ኣተዉ ኣባ ኪዳነማርያም ተኽለሃይማኖት ናይ መባእታ ትምህርቲ ርእሰ መምህር ኮኑ። ንኽልተ ዓመት እውን ኣገልግሎቶም አወፈዩ። ካብ መስከረም 1962 ዓ.ም.ግ (1969 ዓ.ፈ.) ክሳብ ንመዓርገ ጵጵስና ዚሽየሙ ግን ናይ ዓበይቲ ተመሃሮ ዘርአ ክህነት ሓለቓ ብምዃን መዝነቶም ኣክየዱ። ብዘመን ክህነታዊ ኣገልግሎቶም 16 ዲያቆናት ሰበኻ ዓድግራት ናብ መዓርግ ክህነት በጽሑ። ሢመተ ጵጵስናኦም ብወግዒ ምስ ተበሠረ ክልተ መዓርግ ንፍቀ ዲቁና ዝተቀበሉ ከምዝነበሩ ኣብ ናይ መጋቢት-ሚያዝያ 1977 ጋዜጣ ብርሃን ተመዝጊቡ ይርከብ።
መዓርግ ጵጵስና
ናይ ሰበኻ ዓድግራት ጳጳስ ብፁዕ አቡነ ስብሓትለአብ ብዋሕዲ ጥዕና መዝነት መሪሕነቶም ኬውርዱ ንመንበረ ጴጥሮስ ምስ ሓተቱ ር.ሊ.ጳ. አቡነ ዮሓንስ ጳውሎስ ዳግማዊ ንሕቶኦም ኣጽዲቆም ኣብ ክንዳኦም ብ2 ጥቅምቲ 1977 ዓ.ም.ግ (12.10.1984 ዓ.ም.ፈ) ነባ ኪዳነማርያም ተኽለሃይማኖት ብወግዒ 3ይ ጳጳስ ወይ ኤጳርቃ ዓድግራት ሸሙዎም። ኣቐዲምና ዝጠቐስናዮ ጋዜጣ ብርሃን ኣብ ገጽ 2 “ናይ ርእሰ ሊቃነ ጳጳሳት ዮሓንስ መበል 23 ትንቢት ሎሚ ተፈጺሙ” ይብል። ነቲ ዛንታ ዝገለጹን ናብ ጋዜጣ “ብርሃን” ዘስፈሩን ኣባ ተወልደብርሃን ተኽለሃይማኖት ከምዚ ይብሉ፦
“ር.ሊ.ጳ. ዮሓንስ መበል 23 ኣብ ኣታኽልቲ ቫቲካን ጽቡቕ ኣየር ንክረኽቡ ናባኡ ይመጹ ነበሩ’ሞ፣ ሓደ መዓልቲ ኣብቱ ኣታኽልቲ ምስ ኢትዮጵያውያን ተመሃርቲ ተራኸቡ። ተመሃርቲ ንር.ሊ.ጳ ዮሓንስ በብሓደ ክሳለሙዎም ከለዉ፣ ተመሃራይ ኣባ ኪዳነማርያም ተኽለሃይማኖት ከዓ ብተራኦም ተሳለሙዎም። ር.ሊ.ጳ ዮሓንስ ንኢድ ኣባ ኪዳነማርያም ኣብ ኪዶም ሒዞም ፦ ‘ኣታ እንትይ እዩ’ዙይከ ምውት? እንታይ ኮይኑ እዩ ከምዙይ ኢሉ ዓቢሩ? ሥራሕ ደኾን እናበዝሖ እዩ? ወዘተ እናበሉ ነቶም ተመሃርቲ ኣስሓቑዎም። ኣብ መጨረሻ ግን፣ ‘እሞ እዙይ ዓቢይ ኪኸውን እዩ’ ኢሎም ኣሰናበቱዎም። እኒሆ እምበአርከስ ወዮ ቅዱስ ኣቦና ዝተንበዩሎም ሎሚ ተፈጺሙ ንሪኦ ኣሎና”። እንኪብሉ ምእንታኦም ክንጽሊ ብምዝኽኻር ጽሑፎም ዛዘሙ።
ኣቡነ ኪዳነማርያም ተኽለሃይማኖት ብ3 የካቲት 1977 ዓ.ም. (10.02.1985 ዓ.ም.ፈ) ኣብ ካቲድራል መድኅኔ ዓለም ዓድግራት መዓርግ ጵጵስና ተቐብኡ። ዋና ቀባኢ ብፁዕ አቡነ ጳውሎስ ፃድዋ፣ ሓገዝቲ ቀባእቲ ብፁዓን አቡነ አብርሃ አቡነ ስብሓትለአብ አቡነ ዘካርያስ ነበሩ።

ትንተና ንጥፈታት ብዘመን መሪሕነት ኣቡነ ኪዳነ ማርያም ተኽለሃይማኖት

ካብታ ንመዓርግ ጵጵስና ዝተሾሙላ ዕለት ኣዚዩ ጽንኩር ብዝኾነ እዋን ኢዮም ንሰበካ ዓድግራት ብንኡድ ትዕግሥትን ጥበብን ዝመርሕዋ። ሻራ ኣልቦ ዓለምለኻዊ ተመራመርትን ተዓዘብትን ብዛዕባ አቡነ ኪዳነማርያም ተኽለሃይማኖት እዚ ምስክርነታት ከም ዝመዝገቡ ይፍለጥ፦
አቡነ ኪዳነማርያም ብዓቢይ ተወፋይነት ምእንቲ ኵስኰሳ ክህነት ሰበኻ ዓድግራት ተጋደሉ። ካብ 1985 ክሳብ 1998 ዓ.ፈ ዝነበረ እዋን ዝተገብረ መጽናዕቲ ከምዝህብሮ 32 ዲያቆናት ሰበኻ ዓድግራት ናብ መዓርግ ክህነት በጽሑ። ኣብ ዝተፈላለየ መደብ ኃላፍነት ኣዋፊሮም ምስ ኣሥርሕዎም ካብኣቶም መሪጾም ናብ ዝለዓለ ናይ ዩኒቨርሲቲ ትምህርቲ ናብ ሞራባዊ ዓለም ይልእክዎም። ናብ ሰበኻኦም ተመሊሶም ከዓ ብብቕዓት ንምግልጋል ይዋፈሩ። ብዝሖም ካብ 10 ዚዛይድ ካህናት ሰበኻ ዓድግራት ክሳብ 1997 ዓ.ፈ ናብ ኢትዮጵያዊ ጳጳሳዊ ኮለጅ ቫቲካን ተጸንቢሮም ናብ ዝተፈላለያ ዪኒቨርሲታት ሮማ ተማሂሮም ናብ ክብ ዝበለ ደረጃ ትምህርቲ ከምዝበጽሑ ብናይ ቀረባ ሓበሬታ ኪፍለጥ ይከአል።
ብ1996 ዓ.ም.ፍ. ዝተሓትመ “Catholic Directory of Ethiopia and Eritrea” ከም ዚገልጾ ብዘመን አቡነ ኪዳነማርያም ብርክት ዝበላ ቍምስናታት ተመሥሪተን። ንአብነት ብ1985 ዓ.ፈ. ዝተመሥረታ ሠለስተ ቍምስናታት ካፍና ምርግዳ ማጋዑማ እንክኾና ብ1986 ከአ እንጋል ብ1989 ዝተመሥረታ ክልተ ከዓ ዳሮ ኮለተ-ግርዓና ይብሃላ።
ምስ ዚምልከቶም ኣኅሉቕ ማኅበራት ልኡካነ ወንጌል ኣፍሪቃን (white Fathers) ሳለዚያነ ናይ ዶን ቦስኮን ተዋሲኦም ልመና አቡነ ኪዳነማርያም ስለዝሠመረ እዞም ዝተጠቕሱ ገዳማውያን ኣብ ከተማ ዓድዋ ዓቢይ ቤት ትምህርቲ ተግባረ እድ፣ ኣብ ከተማ ውቕሮ ቤት ትምህርቲ ሞያ ንግድን ሞያ ሕርሻን ተሠሪሑ ንኡድ ኣገልግሎት የወፊ አሎ።
ብዛዕባ ኣቡነ ኪዳነማርያም ተኽለሃይማኖት ኣብ ላዕሊ ዝጠቅስናዮ መጽናዕቲ ካልእ ነገር እውን ይጠቅስ። ብ1987 ዓ.ም.ፈ ናይ ወረዳ ናይ ሃገራዊ ባይቶ ተወካሊ ንምዃን ብጽሑፍ ዕድመ ቀረቦም። ንሶም ግን እቲ ፖሊቲካዊ ሥልጣን ምስ መንፈሳዊ መሪህነቶም ሃቢሩ ኪኸይድ ከምዘይኽእል ብሥነ ስርዓት አፍለጡ። ምስ ሕዝቢ ሰባኻኦም ሓቢሮም ንዅሉ ሳዕቤናት ውግእ ስለ ዝተጻወሩ ግን ብዅሉ ሕዝቢ ሰሜን ኢትዮጵያ ከቢሮምን ተሓፊሮምን ነቢሮም።
እዚ ጉጅለ ምሁራት እዚ ትዕዝብቶም ብምቅጻል ነዚ ትንተና የቅርቡ። ኣቡነ ኪዳነማርያም ተኽለሃይማኖት ከም መጠን ጳጳስ ሰበኻ ዓድግራት ብጊዜ ደርግን ብድህሪኡ ዝመጸ መሪህነት መንግሥትን ዝተከተልዎ ኣቕዋም ምስ ናይ ካትሊክ ቤተ ክርስትያን ዝተኣሳሰረ መትከል ኢዩ። ናይ ካቶሊክ ቤተ ክርስትያን ሰነድ ጉባኤ ቫቲካን 2ይ ኣብ “ታሕጓስን ተስፋን” ድርሰቱ ቍ.76 ሃይማኖትን ፖለቲካን ኵነታት ብዘፍቀደሉ ምርድዳእን ስምምዕን ተሓባቢሩ ኪሠርሕ ከምዚግባእ ይገልጽ። ብኡኡ መሠረት ከዓ ይብሉ ተዓዘብቲ ናይ ሰበኻ ዓድግራት 3ይ ካቶሊካዊ ጳጳስ ብፁዕ አቡነ ኪዳነማርያን ተኽለሃይማኖት ነዚ ሚዛናውን ሻራ ኣልቦን መርገጺ ወትሩ ኢዮም ዚተኸተልዎ በዚ ኸአ እዞም ስሙይ አቡን ካብ ዝኾነ ሻራ ፖለቲካዊ ሰልፊ ነፃ ነበሩ።
ነዚ መንጎይና መርገጺኦም ዚጥሕስ ተግባር እንኬጋጥም ግን ኣቡነ ኪዳነማርያም ብሥነ ስርዓት ኢዮም ዚቃወምዎ። ነዚ ንኼረድኡ እቶም ተዓዘብቲ ዚጠቅስዎ ኣብነት ንመልከት።
ሓደ እዋን ገሊኦም ናይ መንግሥቲ ሰበሥልጣን ናብዞም ስሙይ አቡን ቀሪቦም መዝግብቲ ካቶሊክ ቤተ ክርስትያን ንምፍታሽ ጽኑዕ ፈተነ ገበሩ። ብፅዕነቶም ግን ብዘይ ናይ ቤት ፍርዲ ሕጋዊ ውክልና መዛግብቲ ቤተ ክርስትያን ምፍታሽ ከምዘይከአል ብልዝብነት ምስ መለሹሎም እቶም ሰበሥልጣን በታ ዝመጽዋ ተመልሱ። ተንተንቲ ታሪኽን ናይ ኢትዮጵያ ላዕለዎት ሰበ-ሥልጣንን ክብ ብዝበለ ሞሳን ምስጋናን ኢዮም ዚዝክርዎም።

ለቡ፦ እዚ ታሪኽ እዚ ጥቀ ክቡር ኣባ ቡሩኽ ወደጋብር ወዲ ማኅበር ሲታውያን ብዕለት 8 ኅዳር 2001 ዓ.ም.ፈ ዝጸሓፍዎ እዩ።

mercoledì 3 giugno 2009

Lutto nell'episcopato Cattolico Etiope

Sua Eccellenza Reverendissima Abune Kidane-Mariam Teklehaimanot, vescovo emerito di Adigrat (Etiopia), ha lasciato questo mondo martedì 02 giugno all'età di 75 anni. Il compianto presule era nato in Monoxoito, eparchia di Adigrat, il 10 settembre 1933; ed era stato ordinato sacerdote il 20 dicembre 1964; era stato eletto alla sede Eparchiale di Adigrat il 12 ottobre 1984; conssacrato Vescovo il 10 febbraio 1985 ha servito la chiesa in Adigrat per 17 anni come pastore attento al gregge che gli e stato affidato. Il 16 novembre 2001 rinuciò al governo pastorale dell'Eparchia per motivo di salute.
Le esequie saranno celebrate Sabato prossimo 06 giugno 2009 nella catedrale di Adigrat.

giovedì 21 maggio 2009

Martini: porte aperte ai fedeli cattolici divorziati e risposati

La Chiesa cerchi una soluzione al problema Anche il celibato dei preti si può discutere
Carlo Maria Martini — Non so se sono sveglio o sto sognando. So che mi trovo completamente al buio, mentre un lento sciabordio mi fa pensare che sono su una barca che scivola via sull’acqua. Cerco a tastoni di stabilire meglio il luogo in cui mi trovo emi accorgo che vicino ame vi è un albero, forse l’albero maestro dell’imbarcazione. A poco a poco mi avvicino così da potermi aggrappare a esso con le mani, per avere un po’ di sicurezza e di stabilità nei sempre più frequenti moti della barca sulle onde. In questo tentativo incontro qualcosa che mi sembra come una mano d’uomo. Forse è un altro passeggero che sta cercando anche lui di appoggiarsi all’albero maestro. Non so chi sia, come non so io stesso come mi sia trovato su questa barca. Ma il tocco di quella mano mi dà fiducia: mi spingo avanti così da poterla stringere ed esprimere la mia solidarietà con qualcuno in quell’oscurità che mette i brividi. Vorrei anche tentare di dire qualcosa, pur non sapendo se il mio compagno di barca capisce l’italiano.

Ma nel frattempo lui inizia a farmi qualche breve domanda, a cui sono lieto di rispondere. Si tratta di una persona che non conoscevo, ma di cui avevo sentito parlare. Mi colpiva il suo interesse per me in quel momento difficile, in cui ciascuno avrebbe voglia di pensare solo a se stesso. Dialogando così nella notte fonda, in quel momento di incertezza e anche di pericolo si videro a poco a poco spuntare le prime luci dell’alba. Riconobbi il luogo in cui mi trovavo: eravamo noi due soli in barca. E usando alcuni remi che trovammo in fondo a essa, ci mettemmo a remare verso la riva, fermandoci ogni tanto per assaporare la tranquillità del lago. Ci siamo detti molte cose in quelle ore. È venuto chiaramente alla luce durante la conversazione che eravamo tanto diversi l’uno dall’altro. Ma ci rispettavamo come persone e ci amavamo come figli di Dio. Anche il fatto di trovarci sulla stessa barca ci permetteva di comprenderci e di accoglierci, così come eravamo. Tra le prime cose che ci siamo detti c’è naturalmente un poco di autopresentazione. Così ho appreso che il mio interlocutore aveva nientemeno che ottantanove anni, mentre io ne avevo ottantadue. Don Luigi Verzé (tale appresi poi essere il nome di colui che viaggiava con me) presentava la sua vita come quella di uno che aveva vissuto sessantuno anni di sacerdozio. (...)

Luigi Maria Verzé — Quanto è cambiata ora la valutazione etica ecclesiastica, rispetto a quella imposta ai tempi della mia infanzia. D’altra parte, poiché la moralità è imperativo categorico, la gente si fa una propria etica laica e la Chiesa resta con un’etica cristiana incongruente perché incondivisa dagli stessi devoti. Ricordo, per esempio, che nella mia visita alle favelas del Brasile frequentemente mi incontravo con povere donne senza marito con un bimbo in seno, un altro in braccio e una sfilza di altri che le seguivano, tutti prodotti di diversi mariti. Era giocoforza concludere che la pillola anticoncezionale andava consigliata e fornita. Il Brasile, totalmente cattolico fino agli anni Ottanta, ora è disseminato di chiese e chiesuole semicristiane, organizzate però sui bisogni anche spiccioli della gente. La Chiesa cattolica è troppo lontana dalla realtà, e le fiumane di gente, quando arriva il Papa, hanno più o meno il valore delle carnevalate e delle feste per la dea Iemanjà, l’antica Venere cui tutti, compreso il prefetto cristiano, gettano tributi floreali. La Chiesa, più che vivere, sopravvive sulle ossa degli eroici primi missionari. E poiché siamo in tema di morale pratica, che cosa dice, Eminente Padre, della negazione dei sacramenti a devotissimi divorziati? Io penso che anche ai sacerdoti dovrebbe essere presto tolto l’obbligo del celibato, poiché temo che per molti il celibato sia una finzione. E non sarebbe più vantaggioso che la consacrazione dei vescovi avvenisse su acclamazione del popolo di Dio, oggi così estraneo ai fatti della Chiesa? Forse non si è ancora maturi per tutto questo, ma Lei non crede che siano temi ai quali si dovrebbe pensare pregando lo Spirito?

Carlo Maria Martini — Oggi ci sono non poche prescrizioni e norme che non sempre vengono capite dal semplice fedele. Per questo, la Chiesa appare un po’ troppo lontana dalla realtà. Purtroppo sono d’accordo che le fiumane di gente che vanno a manifestazioni religiose non sempre le vivono con profondità. Occorre prepararle, e occorre dopo dare un seguito di riflessione nell’ambito della parrocchia o del gruppo. Non credo, però, che si possa dire che in Paesi come il Brasile, la Chiesa non vive ma sopravvive soltanto sulle ossa dei primi eroici missionari. La Chiesa vive là anche su gente semplice, umile, che fa il proprio dovere, che ama, che sa comprendere e perdonare. È questa la ricchezza delle nostre comunità. Tanti laici di queste nazioni e anche tanti laici vicino a noi sono seri e impegnati. Lei mi chiede che cosa penso della negazione dei sacramenti a devotissimi divorziati. Io mi so no rallegrato per la bontà con cui il Santo Padre ha tolto la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Penso, però, con tanti altri, che ci sono moltissime persone nella Chiesa che soffrono perché si sentono emarginate e che bisognerebbe pensare anche a loro. E mi riferisco, in particolare, ai divorziati risposati. Non a tutti, perché non dobbiamo favorire la leggerezza e la superficialità, ma promuovere la fedeltà e la perseveranza.

Ma vi sono alcuni che oggi sono in stato irreversibile e incolpevole. Hanno magari assunto dei nuovi doveri verso i figli avuti dal secondo matrimonio, mentre non c’è nessun motivo per tornare indietro; anzi, non si troverebbe saggio questo comportamento. Ritengo che la Chiesa debba trovare soluzioni per queste persone. Ho detto spesso, e ripeto ai preti, che essi sono formati per costruire l’uomo nuovo secondo il Vangelo. Ma in realtà debbono poi occuparsi anche di mettere a posto ossa rotte e di salvare i naufraghi. Sono contento che la Chiesa mostri in alcuni casi benevolenza e mitezza, ma ritengo che dovrebbe averla verso tutte le persone che veramente la meritano. Sono, però, problemi che non può risolvere un semplice sacerdote e neppure un vescovo. Bisogna che tutta la Chiesa si metta a riflettere su questi casi e, guidata dal Papa, trovi una via di uscita. Dopo di ciò Lei affronta un problema molto importante, dicendo che ai sacerdoti andrebbe tolto l’obbligo del celibato. È una questione delicatissima. Io credo che il celibato sia un grande valore, che rimarrà sempre nella Chiesa: è un grande segno evangelico. Non per questo è necessario imporlo a tutti, e già nelle chiese orientali cattoliche non viene chiesto a tutti i sacerdoti. Vedo che alcuni vescovi propongono di dare il ministero presbiterale a uomini sposati che abbiano già una certa esperienza e maturità (viri probati). Non sarebbe, però, opportuno che fossero responsabili di una parrocchia, per evitare un ulteriore accrescimento del clericalismo. Mi pare molto più opportuno fare di questi preti legati alla parrocchia come un gruppo che opera a rotazione. Si tratta in ogni caso di un problema grave.

E credo che quando la Chiesa lo affronterà avrà davanti anni davvero difficili. Non mancheranno coloro che diranno di aver accettato il celibato unicamente per arrivare al sacerdozio. D’altra parte, sono certo che ci saranno sempre molti che sceglieranno la via celibataria. Perché i giovani sono idealisti e generosi. Inoltre ci sono nel mondo alcune situazioni particolarmente difficili, in alcuni continenti in particolare. Penso però che tocchi ai vescovi di quei Paesi fare presente queste situazioni e trovarne le soluzioni. Lei si domanda anche se non sarebbe più vantaggioso che la consacrazione dei vescovi avvenisse su acclamazione del popolo di Dio. L’elezione dei vescovi è sempre stato un problema difficile nella Chiesa. Nelle situazioni antiche in cui partecipava maggiormente il popolo, si verificavano litigi e molte divisioni. Oggi forse è stata portata troppo in alto loco. Mi ricordo che un canonista cardinale intervenne in una riunione per dire che non era giusto che la Santa Sede facesse due processi per la stessa persona: uno dovrebbe essere fatto in loco e il secondo dal Nunzio. Quanto alla partecipazione della gente, vi sono alcune diocesi in Svizzera e in Germania che lo fanno, ma è difficile dire che le cose vadano senz’altro meglio. In conclusione, si tratta di una realtà molto complessa. Però l’attuale modo di eleggere i vescovi deve essere migliorato. Sono temi sui quali si dovrebbe riflettere molto, e parlare anche di più. Nei sinodi qualcosa emergeva, ma poi non veniva mai approfondito. Il problema, però, esiste e deve potersi fare una discussione pubblica a questo proposito.

CARLO MARIA MARTINI e
LUIGI MARIA VERZÉ
19 maggio 2009

mercoledì 13 maggio 2009

VATICANO - Benedetto XVI in Terrasanta (6) - Celebrazione dei Vespri: “La voce autentica della fede sempre porterà integrità, giustizia, compassione e

Amman (Agenzia Fides) – Nella Cattedrale Greco-Melkita di S. Giorgio ad Amman, alle ore 17.30 di sabato 9 maggio, il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto la Celebrazione dei Vespri secondo il rito greco-melkita, cui hanno partecipato i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i membri di Movimenti ecclesiali. Erano presenti sacerdoti, religiosi e fedeli dei diversi riti cattolici. All’omelia, dopo aver salutato e ringraziato i presenti, il Santo Padre ha ricordato che “la Chiesa stessa è un popolo pellegrino; come tale, attraverso i secoli, è stato segnato da eventi storici determinanti e da pervasive vicende culturali. Purtroppo alcune di queste hanno incluso periodi di disputa teologica o di repressione. Tuttavia vi sono stati momenti di riconciliazione - che hanno fortificato meravigliosamente la comunione della Chiesa - e tempi di ricca ripresa culturale ai quali i Cristiani Orientali hanno contribuito grandemente… L’antico tesoro vivente delle tradizioni delle Chiese Orientali arricchisce la Chiesa universale e non deve mai essere inteso semplicemente come oggetto da custodire passivamente. Tutti i Cristiani sono chiamati a rispondere attivamente al mandato di Dio – come San Giorgio ha fatto in modo drammatico secondo il racconto popolare – per portare gli altri a conoscerlo e ad amarlo”.
Il Papa ha ricordato gli antichi legami con il Patriarcato di Antiochia e il radicamento nel Vicino Oriente, quindi le numerose iniziative di carità che “si estendono a tutti i Giordani – Musulmani e di altre religioni – ed anche al vasto numero di rifugiati che questo regno accoglie così generosamente”. Accostando quindi il primo Salmo (103) dei Vespri - che presenta immagini gloriose di Dio, Creatore generoso, attivamente presente nella sua creazione - e il brano dell’epistola - che mette in guardia sull’esigenza di essere vigili, di essere consapevoli delle forze del male che sono all’opera per creare oscurità nel nostro mondo (cfr Ef 6, 10-20) – il Pontefice ha sottolineato che, al di là dell’apparente contraddizione, “riflettendo sulla nostra ordinaria esperienza umana riconosciamo la lotta spirituale, avvertiamo il bisogno quotidiano di entrare nella luce di Cristo, di scegliere la vita, di cercare la verità. Di fatto, questo ritmo – sottrarci al male e circondarci con la forza di Dio – è ciò che celebriamo in ogni Battesimo, l'ingresso nella vita cristiana, il primo passo lungo la strada dei discepoli del Signore”.
Rivolgendosi quindi ai Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ed ai fedeli laici, il Santo Padre ha ricordato che “i rispettivi ruoli di servizio e missione all'interno della Chiesa sono la risposta instancabile di un popolo pellegrino. Le vostre liturgie, la disciplina ecclesiastica e il patrimonio spirituale sono una vivente testimonianza della vostra tradizione che si dispiega. Voi amplificate l'eco della prima proclamazione del Vangelo, ravvivate gli antichi ricordi delle opere di Dio, fate presenti le sue grazie di salvezza e diffondete di nuovo il primo raggio della luce pasquale e il tremolio delle fiamme di Pentecoste”. Citando quindi l’enorme varietà dei lavori apostolici, tutti molto apprezzati, ha messo in evidenza che la loro presenza in questa società “è un meraviglioso segno della speranza che ci qualifica come cristiani” e “tale speranza giunge ben oltre i confini delle nostre comunità cristiane”.
Infine, incoraggiando quanti sono in formazione per il sacerdozio e la vita religiosa, il Papa ha detto: “Guidati dalla luce del Signore Risorto, infiammati dalla sua speranza e rivestiti della sua verità e del suo amore, la vostra testimonianza porterà abbondanti benedizioni a coloro che incontrerete lungo la strada”. Ed ha poi esortato tutti i giovani Cristiani Giordani: “non abbiate paura di dare il vostro contributo saggio, misurato e rispettoso alla vita pubblica del regno. La voce autentica della fede sempre porterà integrità, giustizia, compassione e pace!” (S.L.) (Agenzia Fides 12/5/2009

PAPA/M.O.: CHIESE ORIENTALI HANNO ARRICCHITO FEDE CRISTIANA

(ASCA-AFP) - Amman, 9 mag - Papa Benedetto XVI ha elogiato il contributo delle chiese orientali alla fede cristiana, celebrando i vespri nella cattedrale cattolica greco-melkita nella capitale giordana.

Il pontefice ha affermato che, anche se e' triste che il cristianesimo abbia attraversato periodi di scisma che hanno separato i cattolici dagli ortodossi e dalle altre chiese orientali, le diverse tradizioni hanno arricchito la fede nell'insieme.

''Purtroppo, alcuni di questi periodi hanno incluso tempi di dispute telogiche o periodi di repressione'', ha ricordato il papa nella Cattedrale di San Giorgio alla congregazione, della quale facevano parte l'Arcivescovo greco-ortodosso Benediktos Tsikoras e leader di una serie di chiese orientali legate a Roma.

''Altri, tuttavia, sono stati momenti di riconciliazione - rafforzando incredibilmente la comunione della Chiesa - e tempi di ricca rinascita culturale, alla quale i cristiani orientali hanno contribuito straordinariamente'', ha aggiunto.

Pur riconoscendo l'autorita' del papa, la chiesa melkita segue lo stesso rito utilizzato dalla chiesa greco-ortodossa e usa l'arabo come linguaggio liturgico.

''Chiese particolari all'interno della Chiesa universale dimostrano il dinamismo del suo viaggio sulla terra e mostrano a tutti i fedeli un tesoro di tradizioni spirituali, liturgiche ed ecclesiastiche'', ha spiegato.

Secondo il papa, ''l'antico tesoro vivente di tradizioni della chiese orientali arricchisce la Chiesa universale''.

Il pontefice ha osservato che, sebbene ora le comunita' cristiane siano minoritarie nel Medio Oriente, le loro origini risalgno a una delle roccaforti della prima Chiesa.

''Molti di voi hanno legami con il patriarcato di Antiochia (ora Antakya in Turchia - ndr) e le vostre comunita' sono percio' radicate qui nel Vicino Oriente'', ha sottolineato.

''E, proprio come duemila anni fa e' stato ad Antiochia che i discepoli sono stati chiamati per la prima volta cristiani, cosi' anche oggi, come piccole comunita' sparse in queste terre, anche voi siete riconosciuti come seguaci del Signore'', ha concluso.

Tra le chiese del Medio Oriente, quelle melkita, maronita, armena, siriana e caldea riconoscono l'autorita' del papa e hanno mandato dei rappresentanti alla funzione religiosa di oggi.

Papa/ Un gesuita segretario a congregazione per Chiesa orientali

44 anni, conosce 11 lingue e dirige Pontificio istituto orientale
Città del Vaticano, 7 mag. (Apcom) - Un gesuita slovacco che conosce, oltre alla sua lingua madre, il latino, l'italiano, l'inglese, il russo, l'ucraino, il francese, il tedesco, lo spagnolo, il greco ed il paleoslavo, padre Cyril Vasil', è stato nominato dal Papa segretario della congregazione per le Chiese Orientali. Padre Vasil', 44 anni, assisterà il prefetto, cardinale Leonardo Sandri (in partenza domani con il Papa in Terra Santa), nella guida del dicastero vaticano responsabile dei cattolici di paesi come l'Iraq, il Libano o i territori palestinesi. Rettore del Pontificio istituto orientale, professore all'Università Gregoriana a Roma, alla Facoltà Teologica dell'Università di Bratislava e all'Università di Trnava, dal 2003 è anche Consigliere spirituale federale dell'Unione Internazionale degli Scouts d'Europa. E' autore di numerosi libri ed articoli e collabora con la 'Radio Vaticana'. Il gesuita prende il posto di mons. Antonio Maria Vegliò, nuovo presidente del Pontificio consiglio per la Pastorale dei migranti e degli itineranti.

Cattolici in Terra Santa-Santa Sede



Il viaggio di Benedetto XVI in un paese ostinanatamente chiamato Terrasanta, invece che Israele. I buoni rapporti della Santa Sede con l’Iran, che vorrebbe cancellare lo Stato di Israele dalle cartine geografiche. Sono cose che si tengono: basta aver presente che “la Terra Santa e i suoi luoghi santi appartengono al Cristianesimo, il Vero Israele” (L’Osservatore Romano, 14.5.1948).
“Provvisoriamente”, la rubrica di Luigi Castaldi su Vaticano e dintorni


- UN PO’ DI PASSATO - Nel giorno in cui nasce lo Stato di Israele, L’Osservatore Romano rompe un lungo silenzio e palesa, con amarezza, quali fossero, siano e saranno le pretese della Chiesa in Palestina: “La Terra Santa e i suoi luoghi santi appartengono al Cristianesimo, il Vero Israele“. È il 14 maggio 1948 e da quel momento in poi, la parola Israele diventa un tabù e perfino Paolo VI, primo papa in Terra Santa, riesce a non pronunciarla mai, né prima, né durante, né dopo il suo viaggio nello Stato - appunto - di Israele. La ferita è ancora fresca, diciamo.
“Per quanto riguarda il destino dei luoghi santi e in generale degli interessi cattolici in Palestina, il Vaticano avrebbe preferito che né gli ebrei né gli arabi, ma una terza forza esercitasse il controllo in Terra Santa; in ogni caso, sapeva bene che questa soluzione era irraggiungibile e, nelle presenti circostanze, preferiva gli arabi agli ebrei“, così scriveva, l’8 agosto 1949, il ministro plenipotenziario della Gran Bretagna presso la Santa Sede, John Victor Perowne. La decisione britannica di rimettere il mandato in Palestina era stata della primavera del 1947; la cosa aveva messo il Vaticano in grande difficoltà. Quando se n’era ventilata l’ipotesi, nel 1945, monsignor Thomas McMahon, massimo responsabile della politica vaticana in Medio Oriente, aveva scritto: “La Palestina è internazionale. Un governo internazionale della Palestina [il riferimento, oltre nel testo, era alle Nazioni Unite] è la soluzione migliore fra tutte, perché tutela il carattere sacro della terra natale di Cristo“.
Fin lì, il controllo britannico della regione aveva dato ottime garanzie alla Santa Sede che pure non aveva mancato di esprimere qualche timore, quando la cosa era ancora in discussione presso la Società delle Nazioni nel 1922, per voce del suo Segretario di Stato, il cardinal Pietro Gasparri, ancora una volta sulla possibilità che la posizione ebraica risultasse privilegiata. Poi, le cose s’erano messe per il meglio, e per nessuna delle tre confessioni - cattolica, musulmana ed ebraica - c’era stato di che lamentarsi troppo, almeno non ufficialmente.
Per la Santa Sede l’opzione dell’internazionalizzazione della Palestina poteva essere messa da parte, per essere tirata fuori un quarto di secolo dopo. A opporsi decisamente, allora, furono musulmani ed ebrei e non se ne fece nulla. Come sempre fa, quando non può far sentire la sua voce con la forza che vorrebbe, il Vaticano tacque, si ritirò dai maneggi e lasciò fare, limitandosi a dichiararsi “del tutto indifferenti alla forma di regime che la vostra stimata Commissione [delle Nazioni Unite] potrà proporre, purché nelle vostre proposte conclusive vengano presi in considerazione e tutelati gli interessi della Comunità cattolica, protestante e ortodossa“.
Andava prendendo corpo, però, qualcosa che la Santa Sede temeva più d’ogni altra, e che non si aveva idea di come si potesse ostacolare: la nascita dello Stato di Israele. Sir Alan Cunningham, l’ultimo dei commissari britannici in Palestina, scrisse nel 1947: “La cosa peggiore, dal punto di vista cattolico, è che Gerusalemme finisca sotto il controllo ebraico“. Qualche odierno residuo di screzio tra lo Stato della Città del Vaticano e lo Stato di Israele viene dalla storia certamente, poi chissà se pure dalla teologia. In ogni caso, fino a tutto il 1948, ogni voce vaticana si astenne scrupolosamente dal seppur minimo cenno alla Palestina, cercando di far garante il governo degli Stati Uniti, presso il quale si spese il cardinal Francis Spellman: “Se in ogni caso la spartizione sarà imposta - aveva scritto a George Wadsworth, ambasciatore Usa in Iraq - non bisogna perdere l’occasione di fissare un sistema accuratamente concepito e dettagliato di garanzie e tutele per i luoghi santi e per le minoranze cristiane“.
Seguono anni freddi in ogni senso, fino a quando nel 1967 la Santa Sede si rende conto, insieme al resto del mondo, che gli ebrei intendono difendere il possesso di Israele ad ogni costo, e che ci riescono pure facilmente. Da lì in poi, se non guarita, la ferita è come rimossa, traslata sul piano ecumenico, sicché diventa d’obbligo una nuova posizione verso l’Antico Testamento, e Gesù diventa sempre più ebreo. Sul piano diplomatico, non si può più tardare il riconoscimento dello Stato di Israele, e nel 1993 un papa lo fa: lo riconosce 45 anni dopo la sua nascita, mentre nel 2000 riconosce lo Stato palestinese, ad ora non nato.



Sul Corriere della Sera del 15 febbraio 2000, l’incipit e la chiusa di un articolo a firma di Luigi Accattoli fanno l’affresco storico: “Yasser Arafat viene oggi a Roma, incontra Carlo Azeglio Ciampi e Massimo D’Alema e va per la nona volta in Vaticano: lì assisterà alla firma di un importante «accordo» tra l’Autorità palestinese (di cui è presidente) e la Santa Sede, che dovrebbe avere - nei confronti del mondo palestinese - lo stesso rilievo che ebbe l’accordo del 30 dicembre 1993 con Israele. [...] «Non era necessario che Arafat venisse a Roma per la firma dell’accordo», dicono ancora in Vaticano. È Arafat che ha chiesto di vedere il Papa in questa occasione e Giovanni Paolo II ha accettato di riceverlo «come fa sempre volentieri». Secondo fonti palestinesi, l’accordo conterrebbe anche una clausola su Gerusalemme, nella quale il Vaticano si impegnerebbe a «non riconoscere» eventuali «decisioni unilaterali» di Israele su «Gerusalemme orientale». È nota la posizione vaticana in materia: «Gerusalemme orientale è occupata illegalmente», disse per esempio l’arcivescovo Jean-Marie Tauran - responsabile vaticano dei rapporti con gli Stati - il 23 ottobre del 1998, parlando proprio da Gerusalemme“.
Eccoci ad oggi, o quasi. Nel 2006, il papa, quello che oggi è in pellegrinaggio verso Gerusalemme, arriva a dire - e sono belle soddisfazioni per gli ebrei, cazzarola! - che “lo Stato d’Israele deve poter sussistere pacificamente in conformità alle norme del diritto internazionale” (udienza del 20.1.2006). Nessuno nota che è usato il verbo sussistere invece che il verbo esistere? Sussistere è il verbo che il Concilio Vaticano II ha scelto per significare che la vera Chiesa è la (esiste come) Chiesa cattolica apostolica romana. Lo Stato che si dice “di Israele” - lo Stato che ha per capitale Tel Aviv, perché il diritto internazionale non ha mai riconosciuto come valide le dichiarazioni di Gerusalemme capitale - “deve poter sussistere“: Gerusalemme, almeno «Gerusalemme orientale», non gli è data nel pieno governo.


Un de iure, insomma. Lo Stato di Israele usurperebbe la Terra Santa facendo coincidere la sua capitale con la Gerusalemme che è capitale del “Vero Israele“. I piani sono tenuti separati, così l’ambiguità trova soddisfazione, e la sempre reclamata pretesa sui luoghi santi tradizionalmente affidati ai cristiani (tradizione datata dalle crociate) rimane estensivamente intesa. Sicché il gesuita Samir Khalil Samir, che oggi è il più ascoltato consigliere vaticano per il Medioriente, può tranquillamente dire, nel preparare il viaggio di Benedetto XVI, che “il problema [israelo-palestinese] risale alla creazione dello stato d’Israele e alla spartizione della Palestina nel 1948, decisa dalle grandi potenze senza tener conto delle popolazioni presenti in Terra Santa. È questa la causa reale di tutte le guerre che ne sono seguite. Per porre rimedio a una grave ingiustizia commessa in Europa contro un terzo della popolazione ebrea mondiale, la stessa Europa, appoggiata dalle altre nazioni più potenti, ha deciso e ha commesso una nuova ingiustizia contro la popolazione palestinese, innocente rispetto al martirio degli ebrei“.


- UN PO’ DI PRESENTE - Il virgolettato che chiude il precedente paragrafo è 11tratto dalla newsletter di Sandro Magister del 6.5.2009. Qui vi viene rammentato: “la benevolenza mostrata dal Vaticano nei confronti dell’arcinemico di Israele, l’Iran, durante e dopo la controversa conferenza di Ginevra sul razzismo”; “il silenzio delle autorità vaticane e dello stesso papa sulla proditoria impiccagione a Teheran della giovane iraniana Delara Dalabi“; che l’anno scorso “il presidente Ahmadinejad definì il Vaticano una forza positiva per la giustizia e la pace nel mondo“; e che “una sola volta, e in forma velata, il Vaticano ha stigmatizzato i ripetuti anatemi di Ahmadinejad contro l’esistenza di Israele [...] [nel] lontano 28 ottobre 2005: dopo di allora, silenzio“. Di vostro rammenterete che Ahmadinejad è quello che vorrebbe cancellare Israele dalle carte geografiche, ma quando dice “Israele” intende dire “Stato di Israele“, e questo non dà alcun fastidio al “Vero Israele“. Insomma, non tanto da evitare di scambiare cortesie con l’Iran che impicca gli omosessuali, giusto per fare un esempio. Anzi, può addirittura far mancare la firma del papa alla richiesta di censura ai paesi - fra i quali l’Iran - che considerano l’omosessualità un reato penale.
Sull’altro versante - quello che nel cosiddetto trialogo è il rapporto tra fratello maggiore e fratello minore - vediamo fino a che punto l’ambiguità del “Vero Israele” può fare la confusione dovuta perché un “papa pellegrino” possa presentarsi a Gerusalemme da “crociato disarmato”, visto che le crociate furono dette “pellegrinaggi armati” dai suoi venerabili predecessori: “Nell’Antico Testamento, Dio si era rivelato in modo parziale, in modo graduale, come tutti noi facciamo nei nostri rapporti personali. Ci volle tempo perché il popolo eletto approfondisse il suo rapporto con Dio. L’Alleanza con Israele fu come un periodo di corteggiamento, un lungo fidanzamento. Venne quindi il momento definitivo, il momento del matrimonio, la realizzazione di una nuova ed eterna alleanza. In quel momento Maria, davanti al Signore, rappresentava tutta l’umanità. Nel messaggio dell’angelo, era Dio ad avanzare una proposta di matrimonio con l’umanità. E a nome nostro, Maria disse di sì” (Benedetto XVI, 20.7.2008). Insomma, si può capire perché siano necessari oltre 40.000 uomini per garantire la sicurezza di Sua Santità in Terra Santa: a saper mettere insieme un po’ di presente e un po’ di passato, non mancano ebrei, non mancano musulmani. Solo la nostra ingenuità può farci credere che Benedetto XVI sia andato in Terra Santa per devozione.

sabato 28 marzo 2009

Cei: ostracismo verso Papa, dopo caso Englaro serve legge chiara


ROMA (Reuters) - Le critiche a Papa Benedetto XVI dopo le sue dichiarazioni sull'inutilità dei preservativi per prevenire la diffusione dell'Aids hanno assunto le caratteristiche di un vero e proprio "ostracismo".

Lo ha detto oggi il cardinale Angelo Bagnasco, che all'apertura del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana (Cei) ha avuto parole dure anche sul caso Williamson e su quello di Eluana Englaro, la donna morta in seguito alla sospensione di idratazione e alimentazione forzate dopo 17 anni in stato vegetativo per un incidente automobilistico.

"Nella circostanza non ci si è limitati ad un libero dissenso, ma si è arrivati ad un ostracismo che esula dagli stessi canoni laici", ha detto Bagnasco nella prolusione a proposito delle reazioni alle parole pronunciate in Africa dal Pontefice su preservativi e Aids.

"Mentre invitiamo i diversi interlocutori a non abbandonare mai il linguaggio di quel rispetto che è indice di civiltà, vorremmo anche dire - sommessamente ma con energia - che non accetteremo che il Papa, sui media o altrove, venga irriso o offeso", ha aggiunto Bagnasco.

In occasione del recente viaggio in Angola, in un continente dove milioni di persone sono affette dall'Aids, Papa Ratzinger ha dichiarato che i preservativi - al cui impiego la Chiesa è fortemente contraria - non servono a evitare il diffondersi del virus dell'Hiv.

Bagnasco ha puntato il dito contro l'Occidente, in particolare contro "l'insistenza pregiudiziale delle agenzie internazionali" e "le dichiarazioni di alcuni esponenti politici europei o di organismi sovranazionali, cioè di quella classe che per ruolo e responsabilità non dovrebbe essere superficiale nelle analisi né precipitosa nei giudizi".

Riguardo poi alle polemiche legate al vescovo negazionista Richard Williamson a cui il Pontefice ha recentemente tolto la scomunica, Bagnasco precisa che visti i chiarimenti che sull'argomento erano già stati forniti, nessuno "poteva aspettarsi che le polemiche sarebbero proseguite, e in maniera tanto pretestuosa, fino a configurare un vero e proprio disagio", al quale il Pontefice ha reagito con la Lettera ai vescovi del 10 marzo.

PER ELUANA AFFERMATO "DIRITTO LIBERTA' RACCAPRICCIANTE"

Riguardo al caso Englaro, Bagnasco ha sottolineato che "benché non fosse attaccata ad alcuna macchina - dato che l'opinione pubblica ha scoperto solo con grande fatica - ... s'è voluto decretare che a certe condizioni poteva morire".

venerdì 27 marzo 2009

ETIOPIA - Il Museo Etiope “Guglielmo Massaja” testimonia la sensibilità del grande Vescovo missionario per la cultura, l'arte e la lingua africana

Roma (Agenzia Fides) – Allestito nella cella del convento cappuccino di Frascati (Roma) in cui il Cardinale Guglielmo Massaja visse gli ultimi anni della sua vita, tra il 1880 e il 1889, il Museo Etiope custodisce centinaia di reperti e documenti della sua lunga missione fra i Galla dell'Alta Etiopia. Il Cappuccino Guglielmo Massaia (1809-1889), di cui si celebra quest’anno il bicentenario della nascita (vedi Fides 29/1/2009), è infatti considerato tra i più grandi missionari dell'Ottocento: fu il primo ad evangelizzare il popolo tribale dei Galla, a studiarne la cultura e a promuovere con successo una serie di opere sociali.
“Nel 1890 alcuni devoti di Guglielmo Massaja – spiega all'Agenzia Fides padre Wieslaw Block, OFM cap, ex Direttore del Museo e membro del Comitato Nazione per il Bicentenario Massajano – si interessarono di adempiere le ultime volontà del frate Cappuccino e traslarono la sua salma dalla cappella di Propaganda Fide presso il Cimitero del Verano al Convento di Frascati. Nel 1909, anno in cui ricorreva il primo centenario della sua nascita, venne allestita una prima esposizione degli oggetti lasciati in eredità. Successivamente, tra il 1911 e il 1932, la collezione venne ampliata e opportunamente disposta nell'appartamento”.
Il Massaja fu in viaggio per gran parte del periodo missionario. Nominato primo Vicario Apostolico dei Galla nel 1846, trascorse 35 anni in missione affrontando itinerari sconosciuti e rischiosi. Le difficoltà di penetrazione nel territorio dei Galla lo costrinsero prima a navigare il Mar Rosso e cercare una via di accesso attraverso l'Abissinia, poi a seguire la via del Nilo Azzurro. Entrato finalmente nel Gudrù nel 1852 – ben sei anni dopo la sua partenza dall'Italia – si trasferì in seguito a Lagamara e nel Kaffa.
Per tre anni (1864-67) riorganizzò la sua missione in Europa, poi nel 1868 percorse il deserto somalo e raggiunse lo Scioa, nel quale trascorse gli ultimi dieci anni di missione prima dell'esilio imposto dall'autoritario Joannes IV, negus d'Etiopia. “I manufatti di legno decorato, gli abiti, le tele dipinte e i molti oggetti di vita quotidiana donati al Convento di Frascati – continua padre Block – testimoniano la vivacità degli interessi del Massaja nei suoi lunghi viaggi. Egli fu un missionario assai sensibile alla geografia, alla cultura, all'arte e alla lingua africana. Basti ricordare la prima grammatica Galla, uno studio pionieristico ancora oggi fondamentale, o le molte osservazioni sui costumi dei nativi. Tutto questo ebbe effetti positivi sull'attività pastorale e in particolare sulla formazione di un clero autoctono che accompagnò fedelmente la missione del Vescovo Cappuccino”. Tra le celebrazioni del Bicentenario Massajano è in programma il 7 giugno 2009 una giornata di studio presso il Convento dei Frati Cappuccini di Frascati e l'annesso Museo Etiope. L'Agenzia Fides pubblicherà prossimamente un Dossier sulla vita e l’opera del Cardinale Massaja. (A.M.) (Agenzia Fides 27/3/2009; righe 33, parole 455)

Voi discutevate di condom Lui commuoveva l’Africa Intervista a padre Albanese

«D’accordo che dentro alla Chiesa è sempre aperto il dibattito sulla Humanae Vitae, sulla condanna dell’uso del condom nei rapporti fra coniugi, ma con che faccia questi signori accusano il Papa di essere il responsabile della sofferenza e della miseria delle Afriche? Loro che hanno fatto e fanno affari coi dittatori africani sulle spalle dei loro popoli impoveriti? E chi ha venduto le armi in questi anni sia ai governi che ai guerriglieri che li combattevano, la Santa Sede o i grandi paesi europei?». Padre Giulio Albanese è tutto tranne che un conservatore e un missionario vecchio stampo. Cinquantenne comboniano col carisma della comunicazione (riviste, quotidiani, radio e tv a cavallo fra Kenya e Italia), commentatore di Avvenire per le questioni africane, è da sempre un fan dell’apocalittico Alex Zanotelli e un simpatizzante di tutte le cause progressiste, quelle sacrosante come quelle più discutibili: dalla remissione del debito estero alla campagna contro gli Ogm, dalle iniziative contro il commercio di armi e mine antiuomo alla promozione del commercio equo e solidale. Ma il trattamento che la grande stampa illuminata e le cancellerie europee hanno riservato a Benedetto XVI non gli garba per nulla. Lo trova poco spontaneo e per nulla genuino: «Ho una sensazione: lo scandalo sulle parole circa i profilattici e l’Aids sono servite ad oscurare alcuni messaggi forti che il Papa ha lanciato, con cui ha messo in discussione le azioni sia delle leadership africane che dei paesi europei». Non c’è dubbio che Benedetto XVI più volte nel corso del viaggio ha sollevato la questione delle povertà e delle ingiustizie sotto il cui peso l’Africa geme. Stampa e tv si sono limitati a riportare asetticamente le sue parole, mentre sul breve passaggio pronunciato in aereo su condom e Aids si sono abbattuti decine di titoli irridenti e di commenti alla carta vetrata. «È incredibile, il Papa è andato in Angola, uno dei paesi più ingiusti del mondo, dove un regime erede della Guerra fredda (in passato sponsorizzato da Cuba e dall’Urss finché è esistita, ndr) grazie ai contratti pertroliferi conclusi con l’Occidente e con la Cina ha creato una società in cui l’1 per cento della popolazione, legata alla nomenklatura del partito di governo, vive nel lusso più sfrenato mentre il 99 per cento sprofonda nella miseria assoluta. All’aeroporto ha fatto un discorso che ha messo i brividi di commozione agli angolani, quando ha detto: “Non piegatevi alla logica del più forte”. Lì tutti hanno capito che parlava delle élite locali e del loro grande protettore, la Cina. Ma sulla stampa europea nessuno ha commentato o approfondito». Ascoltando padre Giulio si capiscono meglio fatti come la negazione del visto al Dalai lama da parte del Sudafrica. «L’Angola ormai è la fotocopia africana della Cina: sistema economico improntato a un capitalismo senza regole, sistema politico dittatoriale ammantato in retorica democratica. I cinesi vincono un appalto dopo l’altro corrompendo i governanti, offrendo infrastrutture in cambio di materie prime e realizzando i lavori con grandi risparmi grazie al fatto che utilizzano manodopera cinese in condizioni di semischiavitù: spesso sono detenuti politici mandati qui ai lavori forzati. Nel centro di Luanda su un grattacielo c’è un megaschermo che trasmette cartoni animati orientali tutta la notte, e i ragazzi di strada angolani sotto che guardano e si addormentano sui marciapiedi. Fra qualche anno il continente nero sarà diventato giallo».
In questa situazione difficile è arrivato il messaggio del Papa, in comunione con le Chiese dell’Africa.«È stato un viaggio ben riuscito, con un Papa all’ascolto e commosso davanti alla fede e alla povertà del popolo, e gli africani entusiasti della presenza di Benedetto XVI. Un viaggio nella prospettiva del Sinodo per l’Africa e dei suoi contenuti: pace, giustizia e riconciliazione, le tre emergenze delle Afriche che sono il riflesso di un riferimento teologicamente radicato nella Trinità. Il Papa ha saputo coniugare la spiritualità cristiana basata sulla parola di Dio, sul magistero e sulla vita sacramentale con la vita reale della gente. Ha superato le opposte visioni ideologiche, quella che attribuisce la colpa di tutto il male dell’Africa all’Occidente e quella che dice che è tutta colpa degli africani, che non sono intrinsecamente capaci di migliorare. Il Papa ha indicato le responsabilità politiche nazionali e internazionali, ma insieme ha incoraggiato le comunità cristiane a dare il buon esempio, a farsi carico della responsabilità di innescare un cambiamento. Partendo dalla comunione, contro ogni tentativo di divisione dei popoli».
Sopra a tutto questo, la polemica del condom è stata una nuvola impalpabile: «Se non ci fossimo informati su quel che si diceva in Europa, noi che abbiamo seguito il Papa nel viaggio non ci saremmo accorti di nulla. È chiaro che i media cercavano lo scandalo per vendere. Così, pur parlando di Aids, si sono dimenticati di dire che in Africa ci sono 22 milioni di malati ai quali il condom non serve più, ma hanno bisogno di un aiuto a ritrovare la speranza. Su questo versante la Chiesa cattolica nelle sue molteplici realtà, come ha ricordato il Papa, fa cose meravigliose».

martedì 17 marzo 2009

A proposito della lettera di Benedetto XVI ai vescovi Il pastore non abbandona nessuno Il teologo spiega perché


Il 12 marzo 2009 Papa Benedetto XVI pubblica una sua lettera "fraterna" ai vescovi della Chiesa Cattolica "riguardo alla remissione della scomunica dei quattro vescovi consacrati dall'arcivescovo Lefebvre". Infatti il giorno 21 gennaio 2009 Papa Benedetto aveva provveduto a togliere la scomunica ai quattro vescovi che erano stati ordinati nel 1988 senza il mandato della Santa Sede. Si tratta di un testo papale che non ha né il carattere di enciclica, neppure quello di esortazione apostolica, ma direi che semplicemente e niente di meno è una lettera fraterna indirizzata ai vescovi. Si tratta di un testo molto diretto, scritto con schiettezza da un fratello ai fratelli; testo che ha quattro caratteristiche a partire dalle quali vorrei leggerlo: serenità, sincerità, lucidità e umiltà. Serenità in quanto si tratta di un testo non aggressivo né accusatorio; allo stesso tempo è sincero e chiaro in quanto manifesta quello che Benedetto XVI sente e vive in questa vicenda; lucido in quanto non nasconde le difficoltà del momento ecclesiale presente, umile perché riconosce gli sbagli fatti nella procedura e nell'informazione sui fatti accaduti. Il testo della lettera può articolarsi in diverse parti.
In primo luogo, si tratta di una lettera indirizzata a tutti i vescovi della Chiesa Cattolica; l'argomento trattato non tocca soltanto alcuni episcopati che potrebbero essere più coinvolti nel tema, neanche è indirizzata agli episcopati magari più contrari e critici verso il provvedimento e verso il Papa stesso, ma è indirizzato a tutto l'episcopato cattolico. Dall'inizio Benedetto XVI situa il problema trattato nella lettera: cioè la perplessità che all'interno e fuori della Chiesa ha suscitato la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani, perplessità manifestatasi con "una tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata", e con delle accuse ben precise dirette al Papa stesso, cioè "di voler tornare indietro, a prima del Concilio". Da partecipante e coinvolto fino in fondo nel Vaticano ii, il Papa si sente particolarmente ferito da quest'accusa. Lungo tutto il suo magistero come vescovo di Roma ha manifestato la sua continuità filiale e dottrinale col Vaticano ii. Poi per quanto riguarda la perplessità degli stessi vescovi, Benedetto XVI ne elenca due: da una parte il loro sì alla riconciliazione coi lefebvriani, ma senza dimenticare i problemi più urgenti che la Chiesa dovrebbe affrontare; dall'altra gli attacchi contro il Papa stesso vengono visti come un far venire a superficie vecchie ferite, "una valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento". Nella lettera il Papa risponde soprattutto alla prima delle perplessità; la seconda invece, un argomento in qualche modo più ad hominem viene lasciato da parte.
In secondo luogo Benedetto XVI mette direttamente sul tavolo della discussione il "caso Williamson". Il fatto di affrontarlo subito indica come questa "conseguenza" all'interno del processo non sia per niente minimizzata neppure secondaria. La remissione della scomunica è stata "un gesto discreto di misericordia"; e questa sarà in fondo la linea portante di tutta la lettera, cioè la remissione della scomunica non tanto vista come un fatto canonico ma un fatto che va visto e vissuto all'interno del ministero di misericordia e di riconciliazione del vescovo di Roma, di qualsiasi vescovo della Chiesa. Il Papa manifesta la sua perplessità per il fatto che quello che doveva essere un invito alla riconciliazione si è trasformato nel suo contrario, letto anche in chiave di opposizione al dialogo con gli ebrei. Un fatto che il Papa deplora profondamente perché questo dialogo è frutto sì di un cammino ecclesiale che risale al Vaticano ii e al pontificato di Giovanni Paolo II, ma anche del suo "personale lavoro teologico". Interessante notare questo doppio collegamento che il Papa teologo fa nel dialogo con gli ebrei, sia a livello ecclesiale, sia anche a livello di ricerca teologica. In questo secondo punto è importante far notare la schiettezza di Benedetto XVI nell'indicare l'utilità di internet e anche la mancanza di un uso largo e completo di esso che avrebbe facilitato la conoscenza dei fatti; il Papa ne prende atto direi con umiltà e realismo. Comunque con la stessa chiarezza che segna tutta la lettera Benedetto XVI si presenta ai suoi fratelli nell'episcopato "ferito dall'ostilità di alcuni", "grato alla fiducia di altri".
Un terzo argomento trattato dal Papa nella lettera, e da lui stesso riconosciuto come uno sbaglio palese, è il fatto della disinformazione al momento della remissione delle scomuniche: "La portata e i limiti del provvedimento del 21 gennaio 2009 non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione". E qui Benedetto XVI da buon professore trae spunto dal suddetto sbaglio e spiega cos'è la scomunica: essa è un provvedimento ecclesiale che colpisce persone, che cerca di evitare nei limiti del possibile uno scisma, infine è una "punizione dura" che dovrebbe servire a richiamare al pentimento e al ritorno alla piena comunione. Quindi per il Papa la scomunica è più una pedagogia verso la piena comunione che non una lacerazione nella comunione ecclesiale. Fu alla prima udienza generale dopo la remissione delle scomuniche che Benedetto XVI diede dei chiarimenti sulla portata ecclesiale e dottrinale dei fatti avvenuti; lui stesso in quell'udienza cercò di colmare i vuoti informativi dei giorni precedenti. Nella lettera il Papa distingue chiaramente tra disciplina ecclesiale e dottrina, sottolineando la centralità e importanza sia della persona sia della dottrina della Chiesa. In questa parte della lettera vengono fuori l'imprescindibile doppia figura di pastore e di teologo di Papa Ratzinger: "La remissione della scomunica era un provvedimento nell'ambito della disciplina ecclesiastica: le persone venivano liberate dal peso di coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave. Occorre distinguere questo livello disciplinare dall'ambito dottrinale".
Come diretta conseguenza del terzo argomento ve n'è un quarto, ovvero il collegamento che dovrà avvenire tra la commissione Ecclesia Dei e la Congregazione per la Dottrina della Fede. Portando il problema lefebvriano a livello dottrinale, il Papa ha pertanto agito proprio in maniera contraria rispetto a quanto affermato da una certa lettura dei fatti "come se niente fosse...", anzi arriva a un vero e proprio "c'è molto in gioco". Troviamo in questa parte forse il punto più importante della lettera, che segna tutto il magistero di Papa Ratzinger nei suoi grandi documenti: "Non si può congelare l'autorità magisteriale della Chiesa all'anno 1962 - ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità San Pio X. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano ii porta in sé l'intera storia dottrinale della Chiesa".
Un quinto argomento (e qui il Papa teologo fa ritorno al Papa pastore) mette in luce i veri problemi della Chiesa. Non si tratta di una giustificazione. Si è trattato piuttosto di dire in modo schietto che il problema lefebvriano (e il boom mediatico che ha suscitato la remissione della scomunica) non lo distolgono nel suo ministero pastorale rispetto a quelli che sono i veri problemi e priorità che la Chiesa deve affrontare. Priorità legate al suo ministero di vescovo di Roma e alla chiamata all'evangelizzazione ricevuta dai vescovi, da tutti i cristiani. Questo è direi lo scopo di tutto il pontificato di Benedetto XVI, dall'omelia ad eligendum fatta ancora da cardinale alla vigilia del conclave del 2005, all'omelia all'inizio di pontificato fino alle catechesi settimanali. Di nuovo ancora da teologo, Benedetto XVI dà due definizioni che saranno fondamentali per capire tanti momenti del suo pontificato, quella di dialogo ecumenico e quella di dialogo interreligioso: "Lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani - ecumenismo - è incluso nella priorità suprema (...) la necessità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace".
Tornando al punto iniziale della lettera, Benedetto XVI si interroga sul perché un atto che doveva essere di riconciliazione ha fatto tanto chiasso; un atto che il Papa stesso mette a un livello prettamente evangelico. La riconciliazione per il Papa è veramente necessaria: non è lecito abbandonare la pecora smarrita; mai Benedetto XVI nega che si tratti di pecore smarrite; ed è per questo che agisce da buon pastore.
A questo punto, avviandosi verso la fine della lettera, Benedetto XVI apre il cuore di pastore grato e allo stesso tempo ferito, e riconosce in tutte le situazioni ecclesiali le cose buone e allo stesso tempo quelle che sono fuori posto: "le cose stonate - superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi".
A conclusione della lettera, Benedetto XVI collega sia la lettera sia soprattutto i fatti - remissione della scomunica, reazioni suscitate e la stessa presente lettera - alla lectio da lui stesso fatta del testo di Galati, 5, 13-15 al Seminario Romano per la festa della Madonna della Fiducia a metà febbraio di quest'anno: ""Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!". Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in san Paolo. Sotto certi aspetti può essere anche così. Ma purtroppo questo "mordere e divorare" esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare sempre di nuovo l'uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l'amore?".
I fatti che hanno suscitato la presente lettera sono analizzati lucidamente e schiettamente da Papa Ratzinger, e lui stesso ne prende atto, nelle cose buone e negli sbagli commessi e sicuramente evitabili, per fare che il governo collegiale della Chiesa col vescovo di Roma - a cominciare dagli episcopati mondiali fino agli organismi della Santa Sede a Roma - siano strumenti di collaborazione per il bene di tutta la Chiesa.
Queste righe sono nate da una lettura della lettera di Benedetto XVI, un testo a cuore aperto di un fratello ai fratelli. Siamo di fronte a un testo che ci manifesta quei quattro aspetti sì di Joseph Ratzinger, ma soprattutto di Benedetto XVI nel suo ministero come vescovo di Roma, aspetti a cui facevamo riferimento all'inizio di queste righe: serenità, sincerità, lucidità ed umiltà. Siamo di fronte a uno dei grandi testi del magistero pontificio di Papa Ratzinger, Papa pastore, Papa teologo, Papa da un cuore umano e umile capace di rallegrarsi e di soffrire con e per i suoi fratelli e i suoi figli.



(©L'Osservatore Romano - 16 - 17 marzo 2009)