tag:blogger.com,1999:blog-47829028551714875272024-03-12T16:07:53.430-07:00ArciVescovo Metropolita di Etiopia e Primo Cardinale EritreoIl Primate della Chiesa d'Ethiopia ed Eritrea, grande servitore della Chiesa Universsale. Scelto come collaboratore dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nel 1985 creato Cardinale.Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.comBlogger77125tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-2830195380486048152011-02-10T01:22:00.001-08:002011-02-10T01:27:38.778-08:00Radio Vaticana<div style="text-align: center; color: rgb(0, 0, 153);font-family:arial black,sans-serif;"><span style="font-size:6px;"><a href="http://www.paolorodari.com/2011/02/09/da-80-anni-in-onda-in-amarico-e-tigrino/" rel="bookmark" title="Permanent Link: Da 80 anni in onda (in amarico e tigrino)" target="_blank">Da 80 anni in onda (in amarico e tigrino)</a></span></div> <p style="text-align: center;" class="ecxpostinfo"><br /></p> <p style="text-align: center;"><a href="http://www.paolorodari.com/wp-content/uploads/2011/02/radio-vaticana.jpg" target="_blank"><img src="http://www.paolorodari.com/wp-content/uploads/2011/02/radio-vaticana.jpg" alt="" title="" class="ecxaligncenter ecxsize-full ecxwp-image-4496" height="300" width="500" /></a></p> <p><br /></p><p><br />Fu progettata da Marconi su incarico papale. Fu inaugurata da Pio XI nel 1931. E’ la seconda radio internazionale più vecchia del mondo, dopo la Bbc. Oggi è ascoltata tramite il web in occidente ma anche in onda corta, con mezzi molto precari, fra le comunità aborigene dell’America latina.</p> <p>E’ la Radio vaticana, che il 12 febbraio compie 80 anni. Di lei Avvenire parla così.</p> <p>di Luigi Cobisi </p> <p><strong>Vaticana: 80 anni “in onda”</strong></p> <p>La sera del 12 febbraio 1931, dopo che il Santo Padre ebbe terminato il suo primo radiomessaggio – immediatamente tradotto in diverse lingue – l’appena fondata Radio Vaticana fu raggiunta da due studenti del Collegio Etiopico: avevano preparato un riassunto nella loro lingua e desideravano trasmetterlo. Come scrisse il quotidiano La Tribuna due giorni dopo, furono accontentati «con premura, non appena esaurite le precedenti» letture. </p> <p>È davvero significativo che – alla fine di una giornata dominata dalle grandi personalità di Guglielmo Marconi e Pio XI – si trovasse uno spazio anche per quei due giovani che nessuno aspettava. Nei decenni seguenti analoga «premura» divenne per la radio del Papa un segno costante di una missione esercitata verso gli ascoltatori di 40 lingue diverse, raggiunti in onde medie e corte, in Fm, sui nuovi canali digitali (sistema Dab plus) e via internet. Il microfono passato con immediatezza ai due africani rappresentò la prima ripetizione del gesto compiuto poche ore prima da Marconi, quando, alle 16,30 di quella fredda giornata (a sera sui Giardini Vaticani c’era perfino un’insolita nebbia) consegnò la radio al Papa invitandolo a «voler far sentire la sua augusta parola al mondo». Pio XI si era preparato con attenzione a quel momento e – scelto di esprimersi in latino – si rivolse in tono biblico agli ascoltatori: «Udite e ascoltate, popoli lontani». </p> <p>L’emozione fu enorme. A Roma, in tutt’Italia e dovunque nel mondo era stato possibile accendere una radio, l’ascolto della voce del Papa fece comprendere la vastità del pubblico cui la nuova emittente si dirigeva. Così fu subito evidente che per raggiungere tutti i «popoli lontani» occorreva un lavoro profondo sulle lingue e le culture di cui quel riassunto portato dagli studenti etiopici fu il primo passo. Riassunto: non una semplice traduzione bensì un lavoro redazionale che, a fianco alla chiara parola del Santo Padre, rappresentò l’inizio di una programmazione originale oggi tipica di ciascuna redazione che può contare su redattori madrelingua e su contatti continui con i rispettivi Paesi. L’Africa continua a giocare, in questo contesto, un ruolo fondamentale. </p> <p>A fianco di amarico e tigrino, le lingue presenti da ottant’anni alla Radio Vaticana, trasmissioni in swahili, francese, inglese, portoghese coprono complessivamente circa 9 ore al giorno su altrettante frequenze d’onda corta dirette al continente nero, cui si aggiunge l’italiano per integrare un servizio informativo sull’Africa dal sito internet della Radio Vaticana (<a href="http://www.radiovaticana.org/" target="_blank">www.radiovaticana.org</a>) che da circa un anno propone continui aggiornamenti su un’area tanto sensibile del mondo. </p> <p>Da quando a Roma si sono poi moltiplicate le presenze straniere, la diffusione locale in modulazione di frequenza dei programmi linguistici, che riporta (su 93,30 e 103,80 MHz) lo stesso palinsesto delle onde corte utilizzate per raggiungere ogni parte del mondo, i programmi europei e per l’Oltremare hanno trovato nuovi ascoltatori. Della durata variabile tra i 15 e i 30 minuti questi programmi uniscono alla dimensione globale del messaggio del Pontefice e della Chiesa quella locale di unici programmi in lingua originale fruibili nella capitale con una semplice radiolina. </p> <p>E d’altra parte la diffusione in Italia della Radio Vaticana, cioè la sua dimensione in parte romana e in parte nazionale, è da sempre un impegno irrinunciabile anche se purtroppo limitato da numerose difficoltà. Poiché la diffusione in onde medie e corte ha subìto pesanti riduzioni anche a causa della questione sul presunto elettrosmog e la Rai ha abolito le trasmissioni per l’estero smantellando i propri impianti in onde corte, l’opera della Radio Vaticana a favore degli ascoltatori italiani si è dovuta appoggiare a un’abilità tecnica che attraverso i diversi mezzi cerca di raggiungere davvero tutti. </p> <p>La radio del Papa è per molti anche la voce di casa: poter ascoltare in Medio Oriente o in Africa il notiziario vaticano delle 14 in lingua italiana è un contributo fondamentale per gli italiani in quelle aree. Ma nella stessa Italia (e in Europa) le onde corte, vero patrimonio lasciatoci da Marconi e da generazioni di tecnici di primissimo ordine, permettono a tutte le trasmissioni in italiano di essere ascoltate senza difficoltà. </p> <p>A fianco a queste risorse, la Radio Vaticana ha da tempo avviato la diffusione digitale che ha permesso al proprio canale in italiano (105 Live) di coprire quasi tutto il Paese attraverso il circuito Eurodab Italia. Per quanto la radio digitale non abbia ancora raggiunto in Italia uno sviluppo significativo, sono numerosi gli ascoltatori dotati di ricevitori Dab Plus solo per sentire Radio Vaticana: un pubblico fedele, per lo più silenzioso, che cerca una voce diversa, capace di prudenza e discernimento, poiché – come disse Benedetto XVI 5 anni fa visitando l’emittente – nel «mondo dei mezzi della comunicazione non mancano anche voci contrastanti. Tanto più è importante che esista questa voce, che vuole realmente mettersi al servizio della verità, di Cristo, e così mettersi al servizio della pace e della riconciliazione nel mondo». </p> <p><code>Pubblicato su <a href="http://palazzoapostolico.it/" target="_blank">palazzoapostolico.it</a> mercoledì 9 febbraio 2011</code></p>Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-51261499427095857442011-01-30T13:16:00.000-08:002011-01-30T13:28:34.326-08:00Santo Padre Benedetto XVI riceve in udienza la Comunità del Pontificio Collegio Etiopico<center><a name="9"> <i><span style="font-size:1px;">Benedetto XVI alla comunità del Pontificio Collegio Etiopico in Vaticano </span></i><br /><b><h2>La santità dei sacerdoti<br />segno di speranza per la Chiesa </h2></b><br /></a></center><p> </p><blockquote><p align="justify"><i>La santità dei sacerdoti come segno di speranza per la Chiesa e per il mondo è stata proposta dal Papa alla comunità del Pontificio Collegio Etiopico in Vaticano, durante l'udienza svoltasi sabato mattina, 29 gennaio, nella Sala dei Papi. L'occasione è stata la ricorrenza del centocinquantesimo anniversario della morte di san Giustino De Jacobis, del quale Benedetto XVI ha illustrato l'esemplarità. Questo il discorso. </i><br /></p><p align="justify">Cari fratelli e sorelle!<br />Sono lieto di accogliervi per la felice circostanza del 150° anniversario della nascita al Cielo di san Giustino De Jacobis. Saluto cordialmente ciascuno di voi, cari sacerdoti e seminaristi del Pontificio Collegio Etiopico, che la Divina Provvidenza ha posto a vivere vicino al sepolcro dell'Apostolo Pietro, segno degli antichi e profondi legami di comunione che uniscono la Chiesa in Etiopia ed in Eritrea con la Sede Apostolica.<img src="http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/024q01d1.jpg" alt="" align="left" border="0" height="208" width="312" /> Saluto in modo speciale il Rettore, Padre Teclezghi Bahta, che ringrazio per le cortesi espressioni con cui ha introdotto il nostro incontro, ricordando le diverse e significative circostanze che lo hanno suggerito. Vi accolgo oggi con particolare affetto e, insieme a voi, mi è caro pensare alle vostre comunità di origine.<br />Vorrei ora soffermarmi sulla luminosa figura di san Giustino De Jacobis, del quale avete celebrato il significativo anniversario lo scorso 31 luglio. Degno figlio di san Vincenzo de' Paoli, san Giustino visse in modo esemplare il suo "farsi tutto a tutti", specialmente al servizio del popolo abissino. Inviato a trentotto anni dall'allora Prefetto di <i>Propaganda Fide</i>, il Cardinale Franzoni, come missionario in Etiopia, nel Tigrai, lavorò prima ad Adua e poi a Guala, dove pensò subito a formare preti etiopi, dando vita ad un seminario chiamato "Collegio dell'Immacolata". Con il suo zelante ministero operò instancabilmente perché quella porzione di popolo di Dio ritrovasse il fervore originario della fede, seminata dal primo evangelizzatore san Frumenzio (cfr. <i>PL</i> 21, 473-80). Giustino intuì con lungimiranza che l'attenzione al contesto culturale doveva essere una via privilegiata sulla quale la grazia del Signore avrebbe formato nuove generazioni di cristiani. Imparando la lingua locale e favorendo la plurisecolare tradizione liturgica del rito proprio di quelle comunità, egli si adoperò anche per un'efficace opera ecumenica. Per oltre un ventennio il suo generoso ministero, sacerdotale prima ed episcopale poi, andò a beneficio di quanti incontrava e amava come membra vive del popolo a lui affidato.<br />Per la sua passione educativa, specialmente nella formazione dei sacerdoti, può essere giustamente considerato il patrono del vostro Collegio; infatti, ancora oggi questa benemerita Istituzione accoglie presbiteri e candidati al sacerdozio sostenendoli nel loro impegno di preparazione teologica, spirituale e pastorale. Rientrando nelle comunità di origine, o accompagnando i connazionali emigrati all'estero, sappiate suscitare in ciascuno l'amore a Dio e alla Chiesa, sull'esempio di san Giustino De Jacobis. Egli coronò il suo fecondo contributo alla vita religiosa e civile dei popoli abissini con il dono della sua vita, silenziosamente riconsegnata a Dio dopo molte sofferenze e persecuzioni. Fu beatificato dal Venerabile Pio XII il 25 giugno 1939 e canonizzato dal Servo di Dio Paolo VI il 26 ottobre 1975.<br /><img src="http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/024q08a1.jpg" alt="" align="right" border="0" height="289" width="312" /> Anche per voi, cari sacerdoti e seminaristi, è tracciata la via della santità! Cristo continua ad essere presente nel mondo e a rivelarsi attraverso coloro che, come san Giustino De Jacobis, si lasciano animare dal suo Spirito. Ce lo ricorda il Concilio Vaticano II che, tra l'altro, afferma: "Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia più perfettamente trasformati nell'immagine di Cristo (cfr. <i>2 Cor</i> 3, 18), Dio manifesta vivamente agli uomini la sua presenza ed il suo volto. In loro è Egli stesso che ci parla e ci mostra il contrassegno del suo Regno" (Cost. dog. <i>Lumen gentium</i>, 50).<br />Cristo, l'eterno Sacerdote della Nuova Alleanza, che con la speciale vocazione al ministero sacerdotale ha "conquistato" la nostra vita, non sopprime le qualità caratteristiche della persona; al contrario, le eleva, le nobilita e, facendole sue, le chiama a servire il suo mistero e la sua opera. Dio ha bisogno anche di ciascuno di noi "per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù" (<i>Ef</i> 2, 7). Nonostante il carattere proprio della vocazione di ciascuno, non siamo separati tra di noi; siamo invece solidali, in comunione all'interno di un unico organismo spirituale. Siamo chiamati a formare il Cristo totale, un'unità ricapitolata nel Signore, vivificata dal suo Spirito per diventare il suo "<i>pleroma</i>" e arricchire il cantico di lode che Egli innalza al Padre. Cristo è inseparabile dalla Chiesa che è il suo Corpo. È nella Chiesa che Cristo congiunge più strettamente a sé i battezzati e, nutrendoli alla Mensa eucaristica, li rende partecipi della sua vita gloriosa (cfr. <i>Lumen gentium</i>, 48). La santità si colloca quindi nel cuore stesso del mistero ecclesiale ed è la vocazione a cui tutti siamo chiamati. I Santi non sono un ornamento che riveste la Chiesa dall'esterno, ma sono come i fiori di un albero che rivelano la inesauribile vitalità della linfa che lo percorre. È bello contemplare così la Chiesa, in modo ascensionale verso la pienezza del <i>Vir perfectus</i>; in continua, faticosa, progressiva<i> </i>maturazione; dinamicamente sospinta verso il pieno compimento in Cristo.<br />Cari sacerdoti e seminaristi del Pontificio Collegio Etiopico, vivete con gioia e dedizione questo periodo importante della vostra formazione, all'ombra della cupola di San Pietro: camminate con decisione sulla strada della santità. Voi siete un segno di speranza, specialmente per la Chiesa nei vostri Paesi di origine. Sono certo che l'esperienza di comunione vissuta qui a Roma vi aiuterà anche a portare un prezioso contributo alla crescita e alla pacifica convivenza delle vostre amate Nazioni. Accompagno il vostro cammino con la mia preghiera e, per intercessione di san Giustino De Jacobis e della Vergine Maria, vi imparto con affetto la Benedizione Apostolica, che estendo volentieri alle Suore di Maria Bambina, al Personale della Casa e a tutte le persone a voi care.</p></blockquote><br /><br /><span style="font-size:85%;"><b>(©L'Osservatore Romano - 30 gennaio 2011)</b></span>Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-39661478637569289122010-10-26T07:54:00.000-07:002010-10-26T07:56:02.633-07:00Preti Sposati Cattolici di Rito Orientale<span style="font-weight:bold;">(ASCA) - Citta' del Vaticano, 23 ott -</span> Il sinodo dei vescovi sul Medio Oriente chiede che i preti sposati delle Chiese cattoliche vengano riconosciuti anche in Occidente, dove i fedeli di rito orientale sono emigrati in gran numero. ''Il celibato ecclesiastico - si legge nella 23.esima delle 'proposizioni' conclusive del Sinodo - e' stimato e apprezzato sempre e dovunque nella Chiesa cattolica, in Oriente come in Occidente. Tuttavia, per assicurare un servizio pastorale in favore dei nostri fedeli, dovunque essi vadano, e per rispettare le tradizioni orientali, sarebbe auspicabile studiare la possibilita' di avere preti sposati fuori dai territori patriarcali''.Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-31449790294792817572010-10-18T01:38:00.000-07:002010-10-18T01:40:21.254-07:00Medio Oriente: Sinodo al via «Chiese antiche, sete di futuro»<span style="font-style:italic;">Oggi si apre l’Assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi che durerà fino al 24 ottobre. Avvenire ha intervistato il patriarca di Alessandria dei Copti Antonios Naguib, nominato relatore generale del Sinodo che si tiene sul tema La Chiesa cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza.</span><br /><br /><span style="font-weight:bold;">Beatitudine, perché un Sinodo speciale per il Medio Oriente?</span><br />I vescovi del Medio Oriente hanno espresso, in diverse occasioni, alla Santa Sede il desiderio di riunirsi insieme per elaborare una visione comune. E mi rallegro che Benedetto XVI abbia accolto questo desiderio. Tutte le Chiese orientali stanno affrontando sfide fondamentali e sentono l’esigenza di riflettere su quale sia oggi la loro missione e la loro testimonianza e su come rinnovare la loro comunione nel contesto che stanno vivendo.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Intende il difficile contesto politico?</span><br />Non solo. Nell’Instrumentum Laboris si parla certamente dei conflitti e guerre che accrescono le ansie dei cristiani, ma ci sono anche congiunture nuove, come la crescita del fondamentalismo, oltre alle questioni relative alle relazioni tra diverse Chiese.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">In Occidente si fa fatica a cogliere la molteplicità delle Chiese orientali. Molti vi vedono il segno delle antiche divisioni tra cristiani...</span><br />Le divisioni che esistono ancora sono effettivamente un frutto amaro del passato e ciò ci pone delle sfide per cercare di far cadere gli ostacoli all’unità visibile dei cristiani. Tuttavia le Chiese d’Oriente e d’Occidente beneficiano reciprocamente delle loro rispettive tradizioni. La varietà di tradizioni e spiritualità è una grande ricchezza da conservare per tutta la Chiesa.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Uno dei punti cruciali è il rapporto con l’islam. Ha seguito le reazioni musulmane alla convocazione del Sinodo?</span><br />Dopo la pubblicazione dell’<+corsivo>Instrumentum Laboris <+tondo>ho letto sulla stampa alcuni commenti negativi, frasi estrapolate dal loro contesto, ma erano tutti firmati da giornalisti noti per la loro opposizione a tutto.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Quale punto contestavano di preciso?</span><br />Dicevano che il Vaticano lavora alla creazione di un fronte cristiano contro l’islam. Un giornalista ha lamentato davanti a me «l’insistenza» del Documento sul pericolo islamico. Gli ho risposto che noi ci siamo limitati a descrivere un fatto, l’islam politico, che ha finito per proporre lo slogan «l’islam è la soluzione». Si evoca un periodo in cui la voce di questo islam risultava più alta delle altre. Questo periodo, in verità, non si è concluso, ma questa tendenza non è più l’unica né la più forte. Bisogna fare in modo che nelle nostre società predominino i diritti dell’uomo, la democrazia e l’uguaglianza per scongiurare questo pericolo e il carattere teocratico di molti governi.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Un’altra questione è quella dell’emigrazione. C’è veramente il rischio di un’estinzione del cristianesimo nel Medio Oriente?</span><br />C’è una preoccupazione del ritmo inaudito del fenomeno in alcuni Paesi, come l’Iraq. Perciò i Padri sinodali esamineranno il modo di sostenere le comunità, anche attraverso una sensibilizzazione sul «dovere storico» dei cristiani di rimanere nella regione. Solo che non possiamo costringere nessuno a farlo; si tratta di una scelta personale. Fino a pochi decenni fa, le famiglie tentate dall’emigrazione venivano a chiedermi consiglio al patriarcato, mentre ora vengono solo per comunicarmi la loro decisione e chiedere la mia benedizione. Sanno che la Chiesa non incoraggia affatto tale scelta.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">E così le Chiese orientali «inseguono» i loro fedeli in diaspora istituendo anche nuove diocesi...</span><br />Le Chiese hanno il dovere di assistere spiritualmente, secondo il proprio rito, le famiglie emigrate. Nei Paesi in cui il numero dei fedeli è esiguo lo possono certamente fare attraverso una coordinazione con le diocesi locali o con l’ordinario del luogo. Il punto è che, negli ultimi vent’anni, l’emigrazione si è talmente accelerata da rendere necessario, per alcune Chiese, la creazione di proprie diocesi. Tutto dipende da come viene vista questa molteplicità. Se, come dicevo prima, è una ricchezza per l’intera Chiesa, non vedo perché l’Occidente debba privarsene.Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-77813478591306421312010-10-16T13:44:00.000-07:002010-10-16T13:45:38.090-07:00Dal Medio Oriente un secolo di diaspora in tutto il mondo<span style="font-weight:bold;">ASSIEME A PIETRO</span><br /><br />Sono greco-cattolici come John Sununu e Amine Maalouf, maroniti come Carlos Slim Helù, copti come Onsi Sawiris, protestanti come Edward Said, siro-ortodossi come Paul Anka, armeni come Charles Aznavour e Henri Verneuil. I discendenti dei cristiani orientali noti in Occidente non si contano più. C’è chi ha fatto carriera in politica, chi nell’arte o in letteratura e chi, ovviamente, negli affari. Tuttavia dietro la loro emigrazione non c’era la volontà di perseguire il successo, bensì di sfuggire a condizioni di vita diventate insopportabili. Le ondate migratorie che si sono susseguite da oltre un secolo ne sono la prova. La primissima, avvenuta alla fine dell’Ottocento verso le due Americhe, interessava coloro che volevano liberarsi dell’oppressione ottomana. Fu presto seguita dalla violenta cacciata di armeni e greci dalla Turchia, poi dal massacro degli iracheni assiri negli anni Trenta, quindi dall’espatrio dei palestinesi, poi ancora dall’ondata migratoria dei cristiani durante e dopo la guerra libanese e ora dalla fuga di massa degli iracheni.<br /><br />Le Chiese orientali sono ancora "orientali", viene da chiedersi? La quantificazione dell’emigrazione – di cui tutti ammettono la consistenza – rimane assai complessa. Di sicuro, contro i dodici milioni cristiani che ancora vivono in Medio Oriente (dall’Egitto all’Iran e dalla Turchia alla Palestina) circa sette milioni vivono ormai fuori. Alcune Chiese orientali, come quella armena e assira, contano già da decenni più fedeli nella "diaspora" che nelle loro terre d’origine. Secondo le statistiche rese note dall’Arab American Institute – diretto dal cristiano libanese James Zogby – gli arabo-americani sono al 63 per cento cristiani, vale a dire circa due milioni 300 mila, cui vanno aggiunti 400 mila armeni.<br /><br />La crescente emigrazione dei cristiani è attestata anche dalla moltiplicazione delle circoscrizioni ecclesiali e dei luoghi di culto di rito orientale in Occidente. La Chiesa maronita, ad esempio, conta due diocesi negli Stati Uniti con un’ottantina di parrocchie, una diocesi nel Canada con 80 mila fedeli e una in Australia con oltre 160 mila persone. Ma il "bacino storico" dei maroniti rimane l’America Latina, dove si contano tre diocesi (Brasile, Argentina e Messico) che totalizzano diverse centinaia di migliaia di fedeli.<br /><br />Dalla Siria l’emigrazione dei fedeli cristiani (principalmente melchiti – cattolici e ortodossi – e siriaci) ha toccato all’inizio l’Argentina dove, nel 1905, è sorta a Córdoba la prima chiesa melchita cattolica del Paese. Oggi si trovano cristiani siriani un po’ ovunque, come nel Brasile, Canada, Stati Uniti, Venezuela e Australia. Più euro-orientata appare l’emigrazione dei fedeli siriaci (di nazionalità siriana, ma anche turca), che si trovano concentrati tra la Svezia (la diocesi siro-ortodossa conta una cinquantina di sacerdoti), la Germania (oltre 70 mila fedeli) e i Paesi Bassi.<br /><br />Anche i fedeli cristiani palestinesi (melchiti e latini) hanno favorito inizialmente l’America. L’area di Detroit per i cristiani di Ramallah, il Cile per quelli di Betlemme. Un aneddoto afferma che «in ogni villaggio cileno si incontrano inevitabilmente tre personaggi: un prete, un poliziotto e un palestinese». L’ex presidente del Salvador, Elías Antonio Saca, è figlio di immigrati di Betlemme, come pure l’ex presidente honduregno Carlos Roberto Flores.<br /><br />Da qualche anno ha cominciato a vacillare anche la storica resistenza dei cristiani egiziani alla tentazione dell’esodo. Oggi si calcola che circa due milioni di copti vivano in 55 Paesi fuori dall’Egitto. Un dato indicativo di questa emigrazione è la zona di Los Angeles dove, al posto dell’unica chiesa aperta nel 1970, se ne contano oggi una trentina, come pure l’Europa dove si moltiplicano diocesi e monasteri.<br /><br />Ma la vera emorragia riguarda oggi la Chiesa irachena. La Chaldean Town dell’area metropolitana di Detroit è diventata una moderna Babilonia, con chiese sempre stracolme alla domenica e in cerca continuamente di nuovi spazi per rispondere alla crescita della comunità: 170 mila persone solo nel Michigan. I nuovi arrivi seguono un percorso già battuto da migliaia di loro predecessori, arrivati da Mosul, Baghdad e Telkaif. I caldei rimasti in quest’ultima località sono probabilmente il 2 per cento di quelli chi vi abitavano e se ne sono andati.Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-39228257450815241482010-10-16T13:39:00.000-07:002010-10-16T13:41:32.409-07:00Iraq/ Vescovo a Sinodo: Invasione Usa ha portato solo rovine<span style="font-weight:bold;">Mons. Matoka: Cristiani erano 800mila, ora sono la metà<br /></span><br /><span style="font-weight:bold;">Città del Vaticano, 16 ott. (Apcom) </span>- La "invasione" e la "occupazione" statunitense ha portato "sull'Iraq in generale e sui cristiani in particolare distruzione e rovina a tutti i livelli": è la denuncia di mons. Athanase Matti Shaba Matoka, arcivescovo di Babilonia dei Siri in Iraq, nel corso del sinodo sul Medio Oriente in corso in Vaticano.<br /><br />"Oggi, dalla rivoluzione di Abd el Karim Kassem l'Iraq non cessa di vivere una situazione d'instabilità, di prove e di guerre, l'ultima delle quali è l'occupazione americana", ha detto il presule nel discorso pronunciato ieri pomeriggio e diffuso oggi. "I cristiani hanno sempre avuto la loro parte nei sacrifici e nelle prove con i martiri nelle guerre e in ogni sorta di prova. Dal 2003 i cristiani sono vittima di una situazione cruenta che ha provocato una grande emigrazione fuori dall'Iraq. Non vi sono statistiche certe, ma gli indicatori evidenziano che la metà dei cristiani ha abbandonato l'Iraq e che senza alcun dubbio rimangono solo circa 400.000 cristiani degli 800.000 che vi vivevano. L'invasione dell'Iraq da parte dell'America e dei suoi alleati ha portato sull'Iraq in generale e sui cristiani in particolare distruzione e rovina a tutti i livelli".<br /><br /><span style="font-weight:bold;">(segue) http://notizie.virgilio.it/notizie/politica/2010/10_ottobre/16/iraq_vescovo_a_sinodo_invasione_usa_ha_portato_solo_rovine,26554638.html</span>Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-33907112778504410282010-10-16T13:37:00.000-07:002010-10-16T13:39:36.037-07:00M.O./ Messaggio Sinodo sarà rivolto anche a ebrei e musulmani<span style="font-weight:bold;">Per cammino in comune di cristiani della regione</span><br /><br /><span style="font-weight:bold;">Città del Vaticano, 16 ott. (Apcom) -</span> E' stata presentata ai padri sinodali, durante l'assemblea speciale in corso in Vaticano sul Medio Oriente, la prima bozza del 'Nuntius', il messaggio finale, che sarà rivolto anche ad ebrei e musulmani.<br /><br />In dodici paragrafi - rende noto l''Osservatore romano' - il messaggio si rivolge in modo particolare ai fedeli della Chiesa cattolica nel Medio Oriente, senza dimenticare i figli della "diaspora", sottolineando sfide e preoccupazioni, aspettative e attese. Il Nuntius si indirizza però anche ai musulmani e agli ebrei nella speranza di poter iniziare un cammino comune, così come si rivolge alle Conferenze episcopali e a tutte le altre Chiese cristiane, ai Governi e ai responsabili politici per una maggiore presa di coscienza delle problematiche vissute in questa regione da parte di tutta la comunità internazionale.Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-2570551295389210432010-10-16T13:29:00.000-07:002010-10-16T13:36:14.489-07:00Vaticano/ Richiesta a Sinodo: Patriarchi orientali eleggano Papa<span style="font-weight:bold;">Esarca armeno per Sud America: Senza ricevere titolo cardinalizio</span><br /><br /><span style="font-weight:bold;">Città del Vaticano, 12 ott. (Apcom) </span>- L'ingresso di diritto di tutti i patriarchi delle Chiese cattoliche orientali nel Conclave che elegge un nuovo Papa è stato richiesto da un esarca della Chiesa armena nel corso del sinodo sul Medio Oriente in corso in Vaticano.<br /><br />"E' difficile capire perché le attività dei patriarchi, dei vescovi e dei sinodi delle Chiese orientali, vengono limitate al loro territorio", ha detto mons. Vartan Waldir Boghossian, salesiano, esarca apostolico per i fedeli di rito armeno residenti in America Latina e Messico. Fra le 23 Chiese di diritto proprio che formano oggi la Chiesa Cattolica, solo una, la latina non ha questa limitazione. Con difficoltà le ventidue Chiese Orientali, riescono a mantenere la loro identità e crescita, specialmente in Occidente". Non solo: "I patriarchi delle Chiese orientali cattoliche, per la loro identità di padri e capi di Chiese 'sui iuris' che compongono la cattolicità della Chiesa Cattolica, dovrebbero essere, membri, ipso facto, del collegio che elegge il Sommo Pontefice, senza necessità di ricevere il titolo latino di Cardinale. Per lo stesso motivo, dovrebbero anche avere la precedenza su di loro".Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-78040125502428531212010-10-16T13:14:00.000-07:002010-10-16T13:27:23.033-07:00Le Chiese Cattoliche di Rito Orientale sono 23Nel ventennale della promulgazione del codice di diritto canonico orientale, detto propriamente <span style="font-weight:bold;">“Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium”</span>, la Santa Sede ha diffuso il 7 ottobre una scheda informativa sulle Chiese cattoliche d’oriente unite a Roma.<br /><br />Tali Chiese sono 23 e si raggruppano attorno a cinque grandi tradizioni: alessandrina, antiochena, armena, caldea e bizantina.<br /><br />Il ripasso è tanto più utile in quanto da pochi giorni si e aperto a Roma un sinodo speciale sui cattolici nel Medio Oriente, nel quale parecchie di queste Chiese sono presenti.<br /><br />Per seguire i lavori sinodali, il sito della Radio Vaticana ha creato una sezione ad hoc in più lingue: italiano, inglese, francese, arabo, armeno, ebraico.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">SCHEDA INFORMATIVA SULLE CHIESE CATTOLICHE ORIENTALI</span><br /><br /><span style="font-style:italic;">Attualmente nella Chiesa Cattolica ci sono 23 Chiese “sui iuris” appartenenti alle cinque tradizioni orientali.</span><br /><br /><span style="font-weight:bold;">CHIESE DI TRADIZIONE ALESSANDRINA</span><br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa Patriarcale Copta</span><br />Nel 1824 la Santa Sede creò un patriarcato per i cattolici copti, che però esisteva soltanto sulla carta. Papa Leone XIII con la lettera apostolica “Christi Domini” del 26 novembre 1895, ristabilì il Patriarcato cattolico copto di Alessandria.
L’attuale Patriarca è Sua Beatitudine Antonios Naguib che ha iniziato il suo ministero il 30 marzo 2006. La sede patriarcale si trova nel Cairo. I copti cattolici si trovano esclusivamente in Egitto e nel Sudan in numero di 210.000.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa Metropolitana “sui iuris” Etiopica</span><br />Nel 1930 fu istituito un ordinariato per i fedeli di rito etiope in Eritrea, affidato ad un vescovo eritreo. Successivamente, nel 1951, fu istituito un esarcato apostolico di rito etiope ad Addis Abeba, e l’ordinariato per l’Eritrea fu elevato al rango di esarcato. Dieci anni dopo, il 9 aprile 1961, fu istituita una metropolia etiope, con Addis Abeba come sede metropolitana e Asmara (in Eritrea) e Adigrat (in Etiopia) come eparchie suffraganee. Nel 1995, due nuove eparchie, quelle di Barentu e di Keren, sono state erette in Eritrea.
Attualmente il Metropolita è S.E.R. Mons. Berhaneyesus Demerew Souraphiel, i fedeli sono 208.000, la lingua liturgica di questa Chiesa è Ge’ez, una lingua semitica caduta in disuso ormai da secoli.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">CHIESE DI TRADIZIONE ANTIOCHENA</span><br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa Patriarcale Sira</span><br />È la Chiesa degli ortodossi siriaci che si sono riuniti con Roma a partire dal 1783. La Chiesa ha una propria gerarchia, sotto l’autorità di un patriarca, che porta il titolo di Patriarca di Antiochia dei Siri.
Dal 20 gennaio 2009 il nuovo Patriarca è Sua Beatitudine Ignage Youssif III Younan. La sede è a Beirut (Libano), ma la maggior parte dei fedeli vivono in Iraq (42.000) e Siria (26.000), mentre 55.000 vivono nella diaspora: U.S.A., Venezuela.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa Patriarcale Maronita</span><br />La Chiesa maronita prende il nome dal suo fondatore, san Marone († 410), che la istituì nel IV secolo.
Il Patriarca di Antiochia dei Maroniti è Sua Beatitudine Em.ma il Sig. Card. Nasrallah Pierre Sfeir, con la sede a Bkerké, Libano, e un numero di tre milioni di fedeli. La Chiesa si trova in Libano, Cipro, Giordania, Israele, Palestina, Egitto, Siria, Argentina, Brasile, Messico, U.S.A., Canada, Australia.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa Arcivescovile Maggiore Siro-Malankarese</span><br />Nel 1930 un piccolo gruppo di religiosi e fedeli della Chiesa malankarese ortodossa, guidati dal vescovo Geevarghese Mar Ivanios chiesero ed ottennero la comunione con la Chiesa cattolica da papa Pio XI che nel 1932 diede vita alla nuova Chiesa cattolica siro-malankarese con l’erezione di due diocesi e l’imposizione del pallio a Mar Ivanios. Il 10 febbraio 2005 papa Giovanni Paolo II elevò la chiesa alla dignità di arcivescovile maggiore.
L’Arcivescovo Maggiore è Sua Beatitudine Baselios Cleemis Thottunkal, con la sede a Trivandrum e un numero di oltre 410.000 fedeli.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">CHIESA DI TRADIZIONE ARMENA</span><br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa Patriarcale Armena</span><br />La Chiesa armeno-cattolica nata nel 1742 dalla Chiesa nazionale armena. Fu riconosciuta da papa Benedetto XIV (1740-1758). È presente con comunità in Libano, Iran, Iraq, Egitto, Siria, Turchia, Israele, Palestina ed in altre realtà della diaspora armena nel mondo. Il numero dei fedeli è stimato in 540.000 (2008). La sede della Chiesa è a Bzoummar, in Libano.
Il capo della Chiesa è il patriarca di Cilicia degli Armeni che ha sede a Beirut; l’attuale patriarca è Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX Tarmouni.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">CHIESE DI TRADIZIONE CALDEA</span><br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa Patriarcale Caldea</span><br />Nel 1551 alcuni vescovi e fedeli si riunirono presso l’antico monastero di Rabban Hormisda ed elessero a patriarca Yochanan (Giovanni) Sulaqa, abate del monastero. Successivamente inviarono Sulaqa a Roma, dove l’abate venne ascoltato da papa Giulio III. Sulaqa si convertì al cattolicesimo. Nel 1553 il papa creò il Patriarcato della Chiesa cattolica di rito caldeo. Nel 1830 venne fissata l’unione definitiva con Roma, quando papa Pio VIII attribuì al patriarca il titolo di Patriarca di Babilonia dei Caldei. La sede rimase fino al XX secolo la città assira di Mossul.
Il Patriarca di Babilonia dei Caldei ha la sede a Baghdad; l’attuale patriarca è Sua Beatitudine Em.ma il Sig. Card. Emmanuel III Delly. I fedeli sono circa un milione, di cui 250.000 vivono in Iraq, dove rappresentano la maggioranza dei fedeli cristiani. La Chiesa si trova anche in Iran, Gerusalemme, Libano, Siria, Egitto, Turchia, Australia, U.S.A.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa Arcivescovile Maggiore Siro-Malabarese</span><br />Il 1662 (o il 1663) si considera la data di fondazione della Chiesa siro-malabarese. Nel 1896 furono fondati tre vicariati apostolici, alla cui guida vennero posti vescovi siro-malabaresi. Papa Pio XI diede vita nel 1923 ad una gerarchia propria per la chiesa siro-malabarese e nel 1934 diede il via ad un processo di de-latinizzazione dei riti che portò all’approvazione della nuova liturgia da parte di papa Pio XII nel 1957. Nel 1992 papa Giovanni Paolo II elevò la Chiesa ad arcivescovile maggiore nominando quale primo arcivescovo maggiore il cardinale Antony Padiyara (che è rimasto in carica fino alla scomparsa, nel 2000).
L’attuale Arcivescovo Maggiore è Sua Beatitudine Em.ma il Sig. Card. Varkey Vithayathil, con la sede a Ernakulam-Angamaly; il suo territorio è l’India specialmente lo Stato Kerala, il numero dei fedeli e di 3.600.000.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">CHIESE DI TRADIZIONE BIZANTINA<br /></span><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa Patriarcale Melkita</span><br />Nel 1724 la Chiesa melchita si divise in due rami, uno sotto l’influenza di Costantinopoli, detti “Ortodossi antiocheni”, gli altri “Melchiti cattolici”, che dichiararono formalmente l’unione con Roma nello stesso 1724. Oggi, i Melchiti cattolici sono presenti non solo in Medio oriente, ma anche in nazioni come il Canada, gli Stati Uniti d’America, il Brasile, l’Australia.
Il Patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti è Sua Beatitudine Gregorio III Laham, con la sede a Damasco; il numero dei fedeli è di 1.200.000.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa Arcivescovile Maggiore Ucraina</span><br />Fu concordata un’Unione, detta Unione di Brest, nel 1595 a Roma, poi ratificata a Brest Litovsk nel 1596: in quella occasione oltre all’arcieparchia metropolitana di Kiev ed altre eparchie dette della Rutenia Bianca, si unirono delle terre rimaste in territorio ucraino e cioè le eparchie della Volinia. L’Unione fu comunque ristabilita nel 1620 ed il Metropolita si stabilì nella città di Kiev. La Chiesa elevata allo statuto Arcivescovile Maggiore il 23 dicembre 1963, ha per capo l’arcivescovo maggiore di Kyïv-Halyč; la sede della Chiesa è stata ufficialmente trasferita dalla storica sede di Leopoli alla capitale Kiev il 6 dicembre 2004.
L’attuale titolare è Sua Beatitudine Em.ma il Sig. Card. Ljubomyr Huzar, con un numero di 4 284 082 fedeli, sparsi in tutto il mondo.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa Arcivescovile Maggiore Romena</span><br />Preparata ad Alba Iulia nel sinodo del 1697 e decisa ufficialmente in quello del 7 ottobre 1698, l’unione con Roma fu solennemente ratificata nel sinodo di Alba Iulia del 7 maggio 1700. Il 9 maggio 1721 il papa Innocenzo XIII conferma con la bolla “Rationi congruit” la fondazione di un vescovado per gli “uniti di Transilvania”, con la sede prima a Fagaras e poi, dal 1737, a Blaj. Nel 1853, con la bolla “Ecclesiam Christi ex omni lingua” papa Pio IX istituì la metropolia greco-cattolica rumena nell’eparchia di Fagaras-Alba Iulia con tre diocesi suffraganee. La Chiesa è stata elevata allo statuto di Chiesa Arcivescovile Maggiore il 16 dicembre 2005. Il suo capo è l’arcivescovo maggiore di Fagaras e Alba Iulia che ha sede a Blaj.
L’attuale arcivescovo maggiore è Sua Beatitudine Lucian Muresan. La Chiesa è suddivisa in sei eparchie delle quali cinque in Romania, riunite in una provincia ecclesiastica, e una negli Stati Uniti d’America immediatamente soggetta alla Santa Sede, con un numero di 737.900 fedeli.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa Metropolitana “sui iuris” Rutena</span><br />Con l’Unione di Uzhorod del 1646, la Chiesa rutena si riunì al resto della Chiesa cattolica. Nel XIX e XIX secolo molti cattolici di rito bizantino emigrarono negli Stati Uniti d’America, soprattutto nelle città minerarie. La Chiesa rutena oggi consiste nell’Eparchia di Mukacevo in Ucraina immediatamente soggetta alla Santa Sede, nell’Arcieparchia di Pittsburgh con le sue tre eparchie suffraganee e nell’esarcato apostolico della Repubblica Ceca.
La sede di questa Chiesa si trova fuori territorio dell’Ucraina, a Pittsburgh, Stati Uniti. Attualmente la sede è vacante con il decesso nel 10 giugno 2010 di S.E.R. Mons. Basil Myron Schott. I fedeli sono in numero di 594.000.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa Metropolitana “sui iuris” Slovacca</span><br />L’Unione di Uzhorod del 1646 fu unanimemente accettata sul territorio che include l’odierna Slovacchia orientale. Eretta il 22 settembre 1818, l’eparchia di Presov fu sottratta nel 1937 dalla giurisdizione del primate d’Ungheria e resa immediatamente soggetta alla Santa Sede. Nel 1997, Giovanni Paolo II eresse l’esarcato apostolico di Kosice. Il 30 gennaio 2008 papa Benedetto XVI ha riorganizzato la Chiesa rendendola metropolitana sui iuris con l’elevazione dell’Eparchia di Prešov a Metropolia, l’elevazione del Esarcato apostolico di Kosice ad eparchia e l’erezione dell’Eparchia di Bratislava.
La sede della Chiesa è a Presov e l’attuale Metropolita è S.E.R. Mons. Jan Bajak; i fedeli sono in numero di 350.000.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa “sui iuris” Albanese</span><br />La prima unione si è cercata nel 1660, quando un arcivescovo ortodosso si unì alla Chiesa cattolica, ma nel 1765 fu abbandonata a causa di ostacoli posti dai governanti ottomani. Nel 1895 un gruppo di villaggi a sud-est di Elbasan, nell’Albania centrale, decisero di passare al cattolicesimo. L’Albania meridionale diventa nel 1939 una giurisdizione ecclesiastica separata, sotto la cura di un amministratore apostolico. La Chiesa è costituita nell’Amministrazione Apostolica dell’Albania Meridionale, con più di 3.600 fedeli.
L’attuale amministratore apostolico è il vescovo di origine croata, francescano di rito bizantino, S.E.R. Mons. Hil Kabashi, che fu nominato nel 1996.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa “sui iuris” Bielorussa</span><br />Con l’Unione di Brest (1595-96), erano entrati in piena comunione con la Sede di Roma numerosi cristiani bielorussi. Nel 1931 la Santa Sede inviò un vescovo nel ruolo di Visitatore apostolico. Nel 1939, fu nominato un esarca per i fedeli bielorussi di rito bizantino. Nell 1960 la Santa Sede nominò un Visitatore Apostolico per i fedeli bielorussi all’estero. All’inizio del 2005, la Chiesa greco-cattolica bielorussa aveva 20 parrocchie, 13 delle quali avevano ottenuto il riconoscimento statale. Nel 2003, le città di Minsk, Polatsk e Vitebsk avevano due parrocchie greco-cattoliche ciascuna, mentre Brest, Grodno, Mogilev, Molodechno e Lida ne avevano una. I fedeli legati permanentemente a queste parrocchie erano circa 3.000, mentre circa altri 4.000 vivevano fuori dalla portata pastorale delle parrocchie. C’erano 10 preti e 15 seminaristi. A Polatsk c’era un piccolo monastero Studita.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa “sui iuris” Bulgara</span><br />Negli anni 1859-1861, i bulgari chiedono l’unione con Roma. Papa Pio IX accettò la loro richiesta e ordinò egli stesso l’archimandrita Joseph Sokolsky arcivescovo l’8 aprile 1861. Nel 1926, fu istituito un esarcato apostolico per i fedeli cattolici di rito bizantino. Al termine del 2004, l’esarcato apostolico di Sofia contava circa 10.000 battezzati in 21 parrocchie, assistiti da 5 sacerdoti eparchiali e 16 religiosi, con altri 17 religiosi e 41 religiose.
È attualmente retto da S.E.R. Mons. Christo Proykov.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa “sui iuris” Croata</span><br />Nel 1611 viene creato un vescovo per gli ortodossi gradualmente passati al cattolicesimo in Croazia. Nel 1853 l’Eparchia diventa suffraganea dell’Arcivescovo di Zagabria. Nel 1966 si fa il trasferimento della sede eparchiale a Zagabria. Nel 2001 dall’Eparchia viene staccato l’Esarcato Apostolico per i Macedoni (circa 6000 fedeli) e nel 2003 viene staccato l’Esarcato Apostolico di Serbia e Montenegro (circa 25.000 fedeli).
L’eparchia di Krizevci è attualmente guidata dal primate della Chiesa S.E.R. Mons. Nikola Kekic e comprende tutti i fedeli di rito bizantino di Croazia. Sede vescovile è la città di Krizevci. Il territorio è suddiviso in 34 parrocchie con un totale di 15.311 fedeli.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa “sui iuris” Greca</span><br />Le prime conversioni greche al cattolicesimo si verificarono alla fine del XIX secolo con la creazione di una Chiesa “sui iuris”. L’Esarcato Apostolico di Grecia per i fedeli di rito bizantino è stato eretto l’11 giugno 1932, nel 2004 contava 2.300 battezzati. È attualmente retta dal primate della Chiesa, S.E.R. Mons. Dimitrios Salachas. L’Esarcato Apostolico di Costantinopoli per tutti i fedeli di rito bizantino di Turchia è stato eretto l’11 giugno 1911, la sede è vacante dal 1957. L’amministratore apostolico è S.E.R. Mons. Louis Pelatre.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa “sui iuris” Italo-Albanese</span><br />È costituita da due eparchie e dall’Abbazia territoriale di Grottaferrata. L’eparchia di Lungro è stata eretta il 13 febbraio 1919 con la bolla “Cattolici fideles” di papa Benedetto XV. Nel 2004 contava 32.800 battezzati su 33.182 abitanti. È attualmente sede vacante, dopo l’accettazione alla rinuncia per limiti di età di S.E.R. Mons. Ercole Lupinacci nel 10 agosto 2010. Il territorio è suddiviso in 29 parrocchie. Il 26 ottobre 1937 la bolla “Apostolica Sedes” di papa Pio XI segnò l’erezione dell’eparchia di Piana dei Greci, con giurisdizione sui fedeli di rito bizantino della Sicilia. L’eparchia nel 2004 contava 28.500 battezzati su 30.000 abitanti. È attualmente retta dall’eparca S.E.R. Mons. Sotir Ferrara. L’abbazia territoriale di Santa Maria di Grottaferrata comprende la sola abbazia di Grottaferrata. Nel 2004 contava 98 battezzati su 98 abitanti. È attualmente retta dall’archimandrita Emiliano Fabbricatore, O.S.B.I. L’abbazia viene fondata nel 1004 da San Nilo da Rossano, sul terreno di un’antica villa romana concesso ai monaci dal feudatario del luogo Gregorio I dei Conti di Tuscolo.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa “sui iuris” Macedone</span><br />Costituita dall’Esarcato Apostolico di Macedonia, che fu fondato nel 1918, abolito poi nel 1924. Nel 2001, dopo la dissoluzione della Jugoslavia, la Santa Sede ristabilì l’Esarcato apostolico di Macedonia. la Santa Sede dal 2001 ha nominato i vescovi di rito latino di Skopje a capo dell’Esarcato Apostolico di Macedonia. Attualmente i membri della Chiesa greco-cattolica macedone ammontano a circa 11.400.
L’attuale esarca è S.E.R. Mons. Kiro Stojanov vescovo di Skopje.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa “sui iuris” Russa</span><br />Si unì formalmente con Roma nel 1905. Nel 1917 fu fondato il primo esarcato apostolico per i cattolici russi e nel 1928, fu fondato un secondo esarcato apostolico a Harbin per i cattolici russi in Cina. I due esarcati ufficialmente esistono ancora ma non sono nominati nuovi vescovi<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Chiesa “sui iuris” Ungherese</span><br />Nel XVIII secolo molti ungheresi protestanti furono convertiti al cattolicesimo, adottando il rito bizantino. L’8 giugno 1912, Papa Pio X creò l’Eparchia di Hajdudorog per le 162 parrocchie greco-cattoliche di lingua ungherese. Il 4 giugno 1924 viene eretto l’Esarcato Apostolico di Miskolc.
Il primate della Chiesa è S.E.R. Mons. Peter Fulop Kocsis vescovo dell’eparchia di Hajdudorog, con sede a Nyiregyhaza e con circa 300.000 fedeli.Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-19996275615675861532010-07-29T05:48:00.000-07:002010-07-29T05:56:04.398-07:00THE DIVINE LITURGY<strong>According to the Rite of the Ethiopian (Ge'ez) Church </strong> <br /><br /><strong>By Archbishop Paulos Tzadua (Cardinal)</strong><br /> <br /><br /><strong>HISTORICAL BACKGROUND</strong><br />The Ethiopian rite is one of the oldest rites and is used by the Ethiopian Orthodox Church as well as by that group which is in full communion with the Church of Rome, The Ethiopian Catholic Church. In its essential elements, it stems from the Alexandrian rite and the language used in the services is classical Ethiopian called Ge’ez.<br /><br /> <br /><br />Because local documents are lacking, it is difficult to reconstruct the history of the Ethiopian rite, and to study the various phases through which it attained its actual form. This lack of historical witness is the result of politico-religious upheavals that led to the destruction of the literary and archeological patrimony to do with the liturgy.<br /><br /> <br /><br /><strong>Early turmoil destroys documentation</strong><br /><br />Ethiopia, in fact, had been twice the scene of such uprisings: at first in the 10th century and again in the 16th century. The first protagonist was the famous woman Judith of the Falashas group that claims to descend from the Jews who immigrated in the distant past. The second was the Muslim Mohammed Gragn. Both of them gave their disruptive movements an anti-Christian background and consequently they destroyed temples and monasteries and all the treasures of the sacred literature preserved there.<br /><br /> <br /><br />The difficulty in making a historical reconstruction of the liturgical rite is further increased by the inaccessibility of Ethiopian monasteries. These monasteries are the very depositories of the few documents that could be saved from the above-mentioned destructions.<br /><br /> <br /><br /><strong>St. Frumentius invested as first bishop of ethiopia</strong><br /><br />The starting-point of the history of the Ethiopian rite must, in any case, coincide with the introduction of Christianity into Ethiopia. The evangelization of Ethiopia, in its true, strict sense, began about the middle of the 4th century. The first bishop was St. Frumentius who was invested by the great St. Athanasius, Patriarch of Alexandria. Before his investiture as Bishop of Ethiopia, St. Frumentius had, together with his brother Edessius, a long stay in Ethiopia as minister of the court of Axum, historical capital of the Ethiopian Empire. All these are confirmed by the historian Rufinus of Aquileia in his Historia Ecclesastica1 and by an authentic comment inserted in the Apologia of St. Athanasius, namely in the letter sent by Constance to the king of Axum2 and, before all, in the Ethiopian tradition itself.<br /><br /> <br /><br />Concerning the history of the Ethiopian liturgy, some facts can also be deduced from the historical sources mentioned above of the Ethiopian tradition, which relate to the work of St. Frumentius before and after his consecration as Bishop of Ethiopia. During his stay at Axum as minister of the court, he took advantage of any occasion to do apostolic work among the foreigners established there for business. Rufinus expressly says that Frumentius "nequerere sollicitus est soqui inter negotiatores Romanos Christiani essent" (he took pains to find out whether there were Christians among the Roman businessmen.) Then, having discovered them, he gave them a helping hand "ut conventicula per lova singula facerent ad quae Romano ritu orationis causa confluerent" (that they may have their assemblies in the different places where they could come together for prayer according to the Roman Rite.)3<br /><br />In reference to the inhabitants of the country, Ethiopian tradition relates that Frumentius had found an environment saturated with Judaism and Christian influence.<br /><br /> <br /><br />He inquired of the people how it came about that having circumcision and (Christian) faith, they did not have Baptism and Eucharist. The people told him that circumcision was practiced because it was inherited from their ancient Levite Fathers, that they had the faith from the eunuch of Queen Candace4, while as for Baptism and the Eucharist no Apostles were sent to them. Tradition adds that Frumentius, after having gone to Alexandria, remained there for five years and was instructed by St. Athanasius on the New Testament because he had been sufficiently instructed in the Old Testament in the milieu of [an] Axum prone to Judaism. After his Episcopal consecration, Frumentius returned to Ethiopia carrying with him the entire liturgy.5<br /><br /> <br /><br /><strong>Development of the liturgy </strong><br />As regards the general history of the liturgy, Ethiopia was included in the Christian world in the middle of the fourth century; the situation may be described as follows: After a period of religious intolerance, the Church began to have more space to breathe. The basilicas were built and the liturgy, basically the same in all the churches, from a simple systematic ceremony, began to be enriched and it developed with characteristics different from one place to another. Although the liturgical language was Greek, everywhere, there arose, especially in the East, various types of liturgy, before all the Antiochene and Alexandrian types.<br /><br /> <br /><br /><strong>St. Frumentius brings Alexandrian rite to Axum</strong><br />The insertion of Ethiopia in the Christian world occurred during this period of liturgical development, and this happened precisely under the influence of the Church of Alexandria. The type of liturgy introduced in Ethiopia by St. Frumentius could not be any other therefore, than that of the Alexandrian type. The liturgical language used in the beginning was, there is no doubt, Greek. In fact, with the Macedonian conquest at first and later with the influence of the Ptolemies, the Greek language spread not only in that part of Africa around the Mediterranean basin, but also to the court of Axum, in Ethiopia. This is proved by the inscriptions on the steles, which trace their origin to the 4th century A.D. and also from the inscriptions on coins of the same period.<br /><br /> <br /><br />In this century, the liturgical language of all the local churches was still Greek. St. Frumentius, during his first stay in Ethiopia as a minister of the court of Axum, worked primarily among the foreigners who were certainly Greek speaking. Returning to this country as bishop of Ethiopia in Axum, he facilitated the construction of oratories. This construction-work was probably the starting-point of his formal apostolate to the Ethiopians and they were redolent of Hellenism. This, nevertheless, only emphasizes that the need for a translation of the liturgy into the Ethiopian language was not yet urgent. The common people had not yet succumbed fully to the Hellenic culture either linguistically or in other aspects of life, therefore it is certain, that the need for translating the liturgy into their mother tongue was understood. <br /><br /> <br /><br /><strong>Translation into vernacular</strong><br />This eventually happened as religion entered among the common classes of people. It is not possible, however, to pinpoint the date of the translation of the liturgy. Yet it is certain that, at the end of the 5th century, it was already a fact. It is probable that the work of translation might have had its beginning at the time of St. Frumentius, because it is inconceivable that the saint limited his apostolate to Greek-speaking foreigners.<br /><br /> <br /><br />It has been stated that the liturgy introduced by St. Frumentius into Ethiopia was without doubt the Alexandrian one. This is the one into which he would have been initiated by St. Athanasius. The Ethiopian Rite, therefore, derives its origin from Alexandria.<br /><br /><strong>language, customs and songs make rite unique.</strong><br /> <br /><br />A comparison between the Ethiopian liturgy and the ancient Alexandrian one confirms the dependence of the Ethiopian Rite on that of Alexandria. There is a similarity between the Ethiopian and the Egyptian Coptic Rites, which stems from their common origin. This can be seen not only in their structure but also, in some instances, texturally. The Ethiopian Rite is undoubtedly Alexandrian in origin, but it has undergone such an evolution that the actual form of the liturgy, so very distant from the original, seems on the point of assuming the dignity of an independent rite. Language, customs and songs contributed largely to this evolution, giving the Ethiopian rite its own characteristic features. <br /><br /> <br /><br />Just as every rite presupposes a set of canonical norms that govern it, so also the Ethiopian rite has its own canonical rules, as far as liturgy is concerned, which were taken from the deposit of ancient legislation.<br /><br /> <br /><br /><strong>Ge'ez church documents</strong><br /><br />The canonical discipline, which governs the Ethiopian liturgy, is contained mainly in the books called in Ethiopia Sinodes, Metsehafa Kidan Ze’egzi’ne Yesus Krestos, Didesqelya, and Fetha-Negast.<br /><br /> <br /><br />The Sinodos is a vast collection of ancient canons extinct in the Ethiopian Church because it is a version of the Egyptian Church Order. In it, besides canons attributed to the Apostles, the canons of Clement, the canons of Hippolytus of Rome, the canons of the Synods of Ancrya, Neocaesarea, Gangra, Antioch, Laodicaea, and the canons of the Ecumenical Council of Nicaea are also included. The Metsehafe Kidan Ze’egzi’na Yesus Krestos is the Ethiopian version of the Testamentum Domini nostri Jesu Christi, Testament of our Lord Jesus Christ, a document of Syrian origin (5th century), and the Didesqelya is the Ethiopian version of the Didascalia Apostolorum, patterned on books I-VII of the Apostolic Constitutions.6-7<br /><br /> <br /><br />The Fetha Negast (The Law of the Kings) is a translation of the Namocanon which, it is believed, was written by the Egyptian As-Safi ibin al-‘Assal around the middle of the 13th century. It deals with matters related to the canon and civil laws and, in small part, also to the criminal law. Originally compiled for the Christians living in Egypt, it was introduced into Ethiopia where it became the fundamental book for the teaching of law in the Ethiopian schools up to modern times.<br /><br /> <br /><br />The Fetha Negast is divided into two distinct parts. The first deals with religious matters depending on the ancient church canons and the writings of a number of the Fathers of the Church, while the second deals with secular matters depending mainly on Roman Byzantine laws. Containing canon and civil laws, its sphere of influence is vaster than that of the other three books. Consequently, this book is more circulated and easier to find, particularly because printed editions are available.8<br /><br /> <br /><br />It seems certain that the Fetha Negast was introduced into Ethiopia and translated from Arabic towards the 15/16th century. As for the other three books, scholars believe that they were introduced towards the 14/15th century and that they were translated from Arabic.9<br /><br /> <br /><br />There are, however, scholars who believe that the Sinodos and the Testament of Our Lord has been translated from Greek.10 It is worthwhile to note that in Ethiopia the period of translation from Greek was from the 4th-7th centuries.11 It is also to be noted that the Ethiopian Church adds the Sinodos and the Testament of Our Lord2 to the number of the Canonical books of the New Testament. This confirms that it knew them from early times.<br /><br /> <br /><br /><strong>Authority of documents goes back to apostolic times</strong><br /><br />This is why these books, besides the rules of Christian life the ecclesiastical regulations were based on, and, in particular, detailed canons regarding the liturgy were found [to be of utmost importance]. Formalities, prayers, formularies for all the liturgical services from the celebration of the Holy Sacrifice to the administration of the Sacraments are based on these books. Two formularies for the Divine or Eucharistic Liturgy are based respectively on the Sinodos and the Testament of our Lord and as will be seen below, one of these, i.e. the extract from Sinodos, is the principal model for the other formularies of later origin. <br /><br /> <br /><br />The importance that the Sinodos, the Testament of Our Lord and the Didescalia had and continue to have up to our days with regard to the canonical discipline of the liturgy, can be estimated from the disposition contained in the Metsahafa Qeddasie, the Ethiopian 'Missal', which says :"Whoever he might be, Metropolitan or Bishop, Presbyter or deacon, who does not have sufficient instruction or who does not know the contents of the books of the Testament of Our Lord, of the Sinodos and of the Didesqelya and all the rubrics, do not enter into the sanctuary for the ministry; and if he rashly dares to enter, let him be taken away from the church and degraded."<br /><br /> <br /><br /><strong>Liturgical reform of 15th century king</strong><br />In spite of all this, it is not to be believed that the liturgical discipline remained static with regard to the rules of the canons contained in the books already mentioned. The canonical rules pertaining to the cult developed indeed with the progressive changing of the liturgy. This is seen from numerous works that continued to follow in the various centuries. The epoch that knew a considerable expansion and evolution of liturgical discipline in general was the 15th century. Due to the impetus of the Emperor Zer'a Ya'qob (1434-14680, there was a great movement for the reform of the worship in his empire.3<br /><br /> <br /><br /><strong>Our Lady honored</strong><br /><br />During this epoch, the Ser'at we'Tezaz, the 'Rules of Precepts', comments, collections of canons and rubrics from the Liturgy and the administration of the Sacrament were compiled. There appeared also at the same time the Metsehafa Bahrey or 'Book of Essence' and the Teaqebo Mistir or 'Care of the Sacrament'. The first contains the rules that have to be observed in administering the Anointing of the Sick, while the latter prescribes which care is to be observed in regard to the Eucharist that there be no profanation in administering or in receiving it4. The reorganization of the liturgical feasts as well as the introduction of new feasts in honor of Our Lady, the Angels and the Saints are also attributed to Zer'a Ya'qob. <br /><br /> <br /><br />The new feasts gave occasion for composition or translation of the new proper parts and new holies related to these feasts. <br /><br /> <br /><br /><strong>Apostasy to Islam</strong><br />No sector of the cult was neglected in the reforms and the reorganizations of Zer'a Ya'qob. In the 16th Century, a ritual was written which was called Metsehafa Qeder or 'Book of Impurity ', i.e. a penitential book. The drawing up of this ritual was brought about by the fact that, during the Muslim invasion under the leadership of Mohammed Gragn, many Christians apostatized embracing the Muslim religion. When the power of the Muslims had been overthrown, this ritual provided for the reconciliation with and the reinstatement into the Church of those had had apostatized5.<br /><br /> <br /><br /><strong>Liturgy evolves over centuries</strong><br />In the 17th century, there appeared also the penitential book entitled Fewse Menfesawi or 'Spiritual Medicine', which was translated from Arabic6 and contained rules for some liturgical acts. On the whole it can be affirmed that, on the basis of the canonical rules of the ancient book, the Ethiopian rite did not cease to develop both in its discipline as well as in its essence over the course of the centuries. Concerning this evolution, however, there was a lack of centralized direction for coordinating and regulating the necessary stages in the evolution. The hierarchy sent by the Coptic Patriarchate of Alexandria was a stranger to both the language and the liturgy of the country. The only task reserved to the then respected hierarch (Abuna) was to administer Holy Orders, to bless the holy Oils and the tabot (the sacred tables or stones for the altars). The elaboration and the transcription of the liturgical texts, the teaching of the liturgy were entrusted to the professors, mainly laymen (the so-called Debtera) who had a theoretical knowledge of liturgical question. By entrusting such persons with the monopoly of the liturgy, without central control, it was quite natural that postpositions, additions, omissions and doublings occurred rather arbitrarily as can be noted in the liturgical texts of the different epochs.<br /><br /> <br /><br /><strong>THE HISTORICAL EVOLUTION: THE ANAPHORAS</strong><br /><br />When treating the historical evolution of the Eucharistic Liturgy in its essence, it must be stated, first of all, that the Divine Liturgy according to the Ethiopian rite, as in all other rites, is divided into two parts, i.e. the introductory part called the Ordo Communis and the Eucharistic part called Anaphora. <br /><br /> <br /><br /><strong>Structure of the liturgy</strong><br />The Ordo Communis is invariable except for the readings from the New Testament, for the Gospel and the three verses taken from one of the Psalms and sung by the deacon alternating with the people before the gospel. The Ethiopian sources say that St. Basil of Antioch arranged this.7 Anyway, structurally, it comes from the corresponding part of the Ancient Alexandrian liturgy, which in the 4th century followed this order:<br /><br /><br /><strong>The greeting of the priest to the faithful and their response</strong><br /><br /><br /><strong>Readings and hymns<br /><br /><br />Gospel and Homily<br /><br /><br />Dismissal of the Catechumens<br /><br /><br />The Kiss of Peace<br /><br /><br />The Offertory8</strong><br />Keeping this structural basis in its essential lines, the Ethiopians Ordo Communis developed in such a way that it is somewhat similar to the other Oriental Liturgies yet having its own characteristic features. Parallel to other Oriental Liturgies, the Rite of Preparation was introduced placing the Offertory at the beginning of the Divine Liturgy; later the Ceremony of Incensing, the Song of the Trisagion and the Creed were introduced.<br /><br /> <br /><br />Its Evolution, with its own characteristics, can be seen from the various manuscripts and the printed texts of the different periods. The changes and developments, to which this part was subject, are arranged into three stages by the Ethiopian doctors.<br /><br /> <br /><br /><strong>Early missal printed in rome</strong><br />The first stage of development includes the parts added to the primitive text of the Divine Liturgy and is documented in the manuscripts dating back to the beginning of the 16th century and also in the MISSAL printed in Rome in 1549 by the Ethiopian monk Abba Tesfa-Sion.<br /><br /> <br /><br />The second stage, documented in manuscripts of the 17th and 18th centuries, includes additions and the changes the established order was subject to in the manuscripts of the 16th century. This meant that the rubrics, the brief and expressive prayers their order of succession, set down in the first documents, were subject to the developments and changes in the texts of the 17th and 18th centuries. <br /><br /> <br /><br />The third stage covers further developments of the second stage that are verified by modern texts. Under the guidance of the texts of the period, it appears that the parts that underwent the greatest developments and changes are the preparatory parts--the Offertory and the Ceremony of Incensing. These parts which in the first documents, had a number of proportioned and limited prayers and formulas together with a systematic arrangement of ceremonies, became, in the course of time, lengthened in prayers and formularies and more refined and pompous in ceremony.<br /><br /> <br /><br /><strong>Liturgy subject to innovation</strong><br /><br />Because of the nature itself of the liturgical act, which is an expression of religious vitality corresponding to the psychology of the people and of the surroundings where it is carried out, it may be said that the Ordo Communis as a whole did not remain rigid in the original formulas. With the passing of time, it was therefore subject to innovations: New prayers and new ceremonies were introduced, already existing ones were suppressed or simply transposed.<br /><br /> <br /><br /><strong>Variety of eucharistic prayers (anaphoras)</strong><br />Speaking now of the Eucharistic part of the Anaphora, we must state, first of all that it is changeable according to the feast days of the liturgical year. Because of this variability, the Ethiopian rite has a rather large number of Anaphoras. It is further affirmed that, among the Oriental Churches, the Ethiopian Church has the second greatest number of Anaphoras, being preceded only by the Syro-Antiochene Church. Up to now, 20 anaphoras are known:<br /><br /><br /><strong>Anaphora of the Apostles<br /><br /><br />Anaphora of Our Lord<br /><br /><br />Anaphora of St. John the Evangelist<br /><br /><br />Anaphora of the 318 Orthodox Fathers (of the Council of Nicaea<br /><br /><br />Anaphora of Our Lady (I) (which is said to have been composed by Kyriakos of Behnsa) <br /><br /><br />Anaphora of St. Athanasius<br /><br /><br />Anaphora of St. Basil<br /><br /><br />Anaphora of St. Gregory of Nyssa<br /><br /><br />Anaphora of St. Epiphanius<br /><br /><br />Anaphora of St. John Chrysostom<br /><br /><br />Anaphora of St. Cyril(I)<br /><br /><br />Anaphora of St. James of Sarug<br /><br /><br />Anaphora of St. Gregory<br /><br /><br />Anaphora of St. Dioscorus<br /><br /><br />Anaphora of Our Lady (II) by Gyiorgis of Gasseccia<br /><br /><br />Anaphora of St. Mark<br /><br /><br />Anaphora of St. James, Brother of the Lord<br /><br /><br />Anaphora of Our Lady (111)by Gregory<br /><br /><br />Anaphora of Our Lady (IV) by Gregory<br /><br /><br />Anaphora of St. Cyril (II)</strong><br /> <br /><br />The Ethiopian Orthodox Church recognizes and accepts only the Anaphoras listed from 1-14. It does not recognize any of the other Anaphoras. They consider them apocryphal. The last edition of the Metsehafe Qeddassie printed under the auspices of the Sacred Congregation for the Oriental Churches which is used by the Catholics of Ethiopia, includes, besides the number accepted by the Ethiopian Orthodox Church, also number 15, 16,and 17. We know of the Anaphoras 18-20 only from scholarly works.<br /><br />The general premise about the historical origin, the chronology and the authors of almost all the Ethiopian anaphoras is that up to now nothing definite has been said. However, it should be asked which of the above-listed anaphoras are the oldest in the Ethiopian Church.<br /><br /> <br /><br />It is historical fact that St. Frumentius was sent from Alexandria as the First Bishop of Ethiopia. This fact could induce one to believe that he brought the liturgy under the name of St. Mark, the (Greek) anaphora of the same name, at that time used by the Church in Alexandria. It can and must be admitted that the ritual system, i.e. the organizing structure of the rite brought and used by St. Frumentius, was that which carried the name of the Liturgy of St. Mark. As far as the particulars about the anaphora are concerned, it is only a mere presumption. As for the Greek liturgy of St. Mark (with respective anaphora), it is well known that it has been translated or adapted by St. Cyril of Alexandria (444 A.D.), almost a century after St. Frumentius. At the present, the Greek anaphora of St. Mark exists in the Coptic Church of Alexandria under the name of St. Cyril. There is also the Ethiopic Anaphora of St. Mark, (no. 16). Some scholars have stated that at certain times it was used in Ethiopia9 and that it must have been the ordinary Anaphora in the Ethiopian Church0 during the 14/15th centuries. On the other hand, however, besides the fact that it is not an exact translation of the Anaphora of St. Mark/St. Cyril, the Ethiopian Orthodox Church does not recognize it. The Ethiopian doctors know of its existence, but they maintain that it was composed or translated doctrum gratia and they definitely consider it apocryphal. All this, and in particular the unfavorable attitudes of the Ethiopians toward this anaphora, make it bewildering [impossible] to declare it as the oldest in use by the Ethiopian Church, at least in its actual form.<br /><br /> <br /><br /><strong>Anaphora of the apostles accorded primacy</strong><br /><br />The oldest anaphora used in Ethiopia seems to be that of the Apostles (no.1). It is in fact, an almost faithful reproduction of one of the oldest Eucharistic prayers known, namely the Eucharistic prayer of the Traditio Apostolica of Hippolitus of Rome (A.D. 250). It is certain that at the time in which St. Frumentius was appointed and sent as Bishop of Axum (about 340 AD), the Traditio Apostolica was known in Egypt (Egyptian Church Order) 1, and that the Eucharistic prayer therein was used by the Egyptian Church. Perhaps it can be presumed that St. Frumentius had had an endowment from Alexandria, a copy of the Traditio Apostolica (alias Egyptian Church Order)22, or an excerpt of the Eucharistic prayer therein, which later on will be developed and enriched with other elements. On the other hand, there were the Roman businessmen to whom St. Frumentius gave help to have their assemblies for prayer according to the Roman rite. Isn't it possible to presume that the liturgical text of this rite might be that of the Traditio Apostolica? It could also be presumed that at least the work of translation of this liturgy might have taken place at the time of St. Frumentius or of his immediate successors for the pastoral reasons exposed before.<br /><br /> <br /><br />The fact that the Anaphora of the Apostles is based on the Sinodos and the latter is believed to have been translated from the Egyptian Church Order into the Ethiopic language in the 14/15th century has induced some authors to state that the said anaphora was introduced into Ethiopia during that time.23 But it would be interesting to investigate if the 14/15th century translation of the Sinodos was only translation. Or was it also a compilation i.e. a collecting or putting together in one corpus canons translated at that time and canons already translated, such as parts in which the Eucharistic prayer in question is included.4<br /><br /> <br /><br />As for the Ethiopian tradition, on the other hand, there does not seem to be only [any] disagreement that the Anaphora of the Apostles holds priority over all the anaphoras. The Ethiopians agree that the Anaphora of the Apostles preceded the other anaphoras and, therefore it is considered as medebawi, i.e. as the model or basis for the others.<br /><br /> <br /><br />Another anaphora that came to be considered in Ethiopia as being quite ancient, perhaps as ancient as that of the Apostles, is the Anaphora or Our Lord (no.2). It is derived from the well-known work entitled the Testament of Our Lord. <br /><br /> <br /><br />To conclude, the fact that these two anaphoras came from the two books (the Sinodos and the Testament of Our Lord) which, according to E. Bishop, "embody the ancient, genuine and native tradition of the Ethiopic (Abyssinian) Church"5 confirms once again their primacy.<br /><br /> <br /><br />With regard to the other anaphoras, we must say, first of all, that when we speak of the names of the authors, we are deal with pseudonyms. These pseudonyms are names of Apostles and of the Church Fathers that are added to the text to give it more credibility.6<br /><br /> <br /><br /><strong>Authentic ethiopian anaphora</strong><br />We can only speak with certainty about the author and the origin of the Anaphora of Our Lady (II) (No. 15). The author is, in fact, the famous Ethiopian monk Abba Gyorgis of Gasseccia who flourished during the reign of Amda-Sion (1314-1344). 27 It is therefore, an authentic Ethiopian production. Besides the author and the origin, the chronology of this anaphora is certain. The text of the anaphora is in rhyme, which supports the assertion and the fact that it was originally composed in Ethiopian; it is to be noted however, that the poetic form is verifiable also in parts of many other anaphoras, especially in nos. 2-14 and nos. 18 and 20. This fact may lead to the supposition that many anaphoras, if they are not originally composed in Ethiopia, are perhaps free translations.<br /><br />According to the German scholar E. Hammer Schmidt 8, the following list includes those anaphoras, which almost certainly originated in Ethiopia and those, which are composed from foreign elements in such a way that they must be regarded as typically Ethiopian in character:<br /><br /><strong>Anaphora of St. John the Evangelist (no.3)<br /><br />Anaphora of the 318 Orthodox Fathers (no. 4)<br /><br />Anaphora of Our Lady (1) by Kyriakos of Behnsa (no.5)<br /><br />Anaphora of St. Athanasius (no. 6)<br /><br />Anaphora of St. Gregory (no.8)<br /><br />Anaphora of St. Epiphanius (no 9)<br /><br />Anaphora of St. John Chrysostom No.10)<br /><br />Anaphora of St. Cyril (nos. 11 and 20)<br /><br />Anaphora of St. Gregory (no. 13)<br /><br />Anaphora of St. Dioscorus (no. 14)<br /><br />Anaphora of Our Lady (III) by Gregory (no. 18)</strong><br />In this list, the Anaphora (II) of Our Lady by Gyorgis of Gasseccia is also included but we refer to what has been said about it above.<br /><br /> <br /><br />Examining the inner content of the Anaphora (I) of Our Lady No.5), and the Anaphora of St. Athanasius (no.6), we find that they have some peculiarities which deserve being mentioned.<br /><br /> <br /><br />The Anaphora of Our Lady (I) has certain connections with a Dersan (homily) on Our Lady, which the Ethiopian Church possesses, but which is certainly of foreign origin. It resembles the Oratio et Laudatio in Sanctissimam Dei Genitricem Mariam (Panegyric or Praise of the Most Holy Mother of God, Mary) of Proclus9. This may mean that such an anaphora has partially a foreign influence.<br /><br /> <br /><br />As for the Anaphora of St. Athanasius, its text refers to keeping Sunday holy. There are, on the other hand, the well-known "Dersane-Senbet", more or less long homilies on Sunday0, considered by the Ethiopian Church as part of its ancient sacred literature. Between the Anaphora of St. Athanasius and the Dersana-Senbet, there is a connection as both the anaphora and the Dersane-Senbet exalt Sunday.1<br /><br /> <br /><br /><strong>Syriac influence</strong><br />There are anaphoras, which represent a foreign influence such as the Anaphora of St. Mark (no. 16), St. James, Brother of Our Lord (no. 12) and of St. James of Sarug (no. 17). The latter two show a definite Syriac influence. Ethiopian tradition affirms that the Anaphora of James of Sarug was of Syriac origin and was introduced into Ethiopia by an Ethiopian called Woldesellasie.2 <br /><br />An Anaphora, which can be considered as a true translation, the Anaphora of St. Basil (no. 7) does correspond more or less to the anaphora of the same name used in the Coptic Church of Alexandria.<br /><br /> <br /><br />As for the Anaphora of Our Lady by Gregory (IV) (no. 19), we can only say that it exists but still remains unpublished. <br /><br />The exact origin of the greatest part of the anaphoras is still far from a certain solution. What can be said with certitude is that they are found only in the Ethiopian Church in their present form, with the exception of St. Basil.<br /><br /> <br /><br /><strong>History of sacred literature</strong><br /><br />Leaving aside the Anaphoras of the Apostles, of Our Lord and the Anaphora of Our Lady (II), the question of chronology or of the date of composition or translation of the text of the other anaphoras remains even more uncertain. The oldest existing manuscripts go back only to the 16th century, but obviously the dates of the manuscripts should not be the only criterion for determining the true age of the texts contained in them. If we turn out attention to the general history of Ethiopian sacred literature, we find that there were two periods of fruitful literary production.<br /><br /> <br /><br />The first period goes from the fifth to the seventh century and in this period the Sacred Scriptures and many works of monastic life were translated, especially from the Greek.<br /><br /> <br /><br />After a long period of silence, which lasted up to the middle of the 13th century, came the second period of literary production. At this time, we find many original works such as the Anaphora of Our Lady (I), and also the translation of many works from the Arabic were produced. The drive to translate from Arabic was encouraged by the Egyptian Metropolitan Salama with the intention of renewing and fostering the contact between the Ethiopian Church and the Coptic Patriarch of Alexandria. The translation of the Anaphora of St. Basil and the composition or (free) translation of many other anaphoras may have coincided with this second period. <br /><br /> <br /><br />Regarding the inner structure of the anaphoras, it must be said that, in general, all of them were more or less elaborated according to the classical form of the Anaphora of the Apostles.<br /><br /> <br /><br /><strong>Thanksgiving dialogue</strong><br /><br />There are however, some variations that must be mentioned here. As is customary in all prefaces, a textual characteristic of the Anaphora of the Apostles is to recapture the concept of thanksgiving at the beginning of the Eucharistic prayer. This echoes the thanksgiving proclaimed by the celebrant in the penultimate phrase of the dialogue, which precedes the prayer as follows:<br /><br /><strong>CELEBRANT: Give thanks to our God.<br /><br />PEOPLE: It is right and just.<br /><br />CELEBRANT: We give You thanks, O Lord…</strong><br /> <br /><br />Besides the Anaphora of Our Lord, the Anaphora of St. Gregory of Nyssa, the Anaphora of St. Gregory, the Anaphora of our Lady (III) by Gregory, the Anaphora of Our Lady (IV) by Gregory, the Anaphora of St. Cyril (II) and in an approximate way, the Anaphoras of St. Mark and St. James, the Brother of the Lord, have followed this form. Many of these anaphoras adhere also to the sober, clear and well-proportioned form of the Anaphora of the Apostles.3 <br /><br /> <br /><br />The other anaphoras begin the Eucharistic prayer without any conceptual connection with the dialogue and the length of some is disproportionate with respect to the anaphora model of the Apostles. The main parts, as the introduction of the Eucharistic Prayer, the Prayer of Intercession, the Sanctus, the Institution Narrative, the Epiclesis have the same order of succession. There are, however, some remarks to be made about the Prayer of Intercession and the Epiclesis in reference to some few anaphoras. With regard to the Prayer of Intercession, while it is normally placed within the introducing Eucharistic Prayer and Sanctus, exceptions are found in the Anaphoras of St. James, the Brother of the Lord, and of St. Basil. In these two anaphoras the said prayer comes after the Epiclesis as in the Anaphoras of the Syriac-Antiochan type. In the Anaphora of St. Gregory of Nyssa, while the Epiclesis in this anaphora seems to have an unusual placing as will be seen below.<br /><br /> <br /><br /><strong>Epiclesis placed after invocation</strong><br /><br />As for the Epiclesis, it is normally placed after the consecration and it has the well-known characteristic of being a prayer for the descent (or the sending) of the Holy Spirit on the bread and cup, and to have always the same rubric which says: "CELEBRANT: in low voice and with his head bowed down"4 <br /><br /> <br /><br />Among the anaphoras from No. 1-17, as listed above, there are three anaphoras in which the Epiclesis with the said rubric and with the express allusion to the Holy Spirit is certainly missing. These are the anaphoras of Our Lady (no.5), of St. Athanasius (no. 6), and of St. Gregory (no.13). In the Anaphora of St. Gregory of Nyssa, there is a prayer before the consecration with the same rubric of the Epiclesis, which says: "O my Master… send the Holy Spirit and power on this bread and on this cup which sanctify our souls, bodies and spirits…"35. This is certainly an Epiclesis, but its placing is unusual. <br /><br /> <br /><br />In the Anaphora of James of Sarug, there is an Epiclesis, but the prayer is for the descent of the Lamb instead of the descent of the Holy Spirit. As for the passage which follows and which reads: "Let 'Melos' the fearful sword of fire be sent and appear over this bread and cup to fulfill this offering"6, the term Melos is rendered as 'the Holy Spirit' in the Aramaic version of the Ethiopian Missal.7 Between the Prayer of Intercession and the Sanctus, there are some exhortations addressed by the deacon to the faithful, which alternate with prayers of the celebrant. The usual order of succession of these exhortations is as follows:<br /><br /><br /><strong>"You who sit, arise!"<br /><br /><br />"Look to the East!"<br /><br /><br />"Answer!" (followed by the Sanctus)</strong><br />Many anaphoras, however, have undergone transpositions, and in one instance (Anaphora of St. Gregory of Nyssa), the penultimate exhortation is redundant as it says, "Let us look at the beauty of our God's glory."<br /><br /> <br /><br /><strong>ORDER AND STRUCTURE OF THE DIVINE LITURGY</strong><br />Church architecture<br /><br />It seems useful to examine briefly the organization and inner structure of the Ethiopian Divine Liturgy. We will begin with a description of the place where the cult is celebrated, the church. It is generally round, divided into three concentric circles in imitation of the ancient temple of Jerusalem. The first circle is the chorus where the singers and the people have their place. The second is the Sancta, which is reserved for those who will be receiving Holy Communion, and the third is the Sancta Sanctorum, or Holy of Holies, where the Tabot or the altar is placed. Here, only the officiating ministers may enter. There are very few modern churches in the big cities. Older Catholic churches do not adhere to the above description but follow the Western style.<br /><br /> <br /><br /><strong>Sung rite</strong><br />In the Ethiopian rite, the Divine Liturgy is always sung, and it usually lasts for about two hours. Consequently, as a general rule, low Masses are unheard of. Only among Catholics, in the imitation of the Latin practice, has this last form been introduced.<br /><br /> <br /><br /><strong>Ministers of the Eucharist</strong><br />Normally the officiating ministers must be five in number, i.e. the celebrating priest, the priest assistant, the deacon, the sub-deacon and the lector. But this number is in derogation of the canons, which prescribe that the minimum number should be seven: they still add fan-holder and the candle-bearer. The derogation is done because in small centers, it is hardly possible to find the number of ministers requested by the canons. The canonical rule of having seven ministers is, however, strictly observed in the monasteries. Sometimes even 13 ministers celebrate, but this is rare. On the other hand, the six additional ministers have no particular duties, except giving the celebration some solemnity.<br /><br /> <br /><br />Regarding the ordinary practice of five ministers, this is their placement during the liturgical service: the celebrant is in the center facing the East. To his right are the sub-deacon and the lector. In front of the celebrant is the deacon holding the asrykar cross (i.e. facing West).<br /><br /> <br /><br />Concelebration, as practiced in the Latin right in which the same matter is consecrated (consecrare simul eandem materiam) by many celebrants, is not known in the Ethiopian rite. There exists a form of concelebration, which may be called inappropriate. This occurs when there are three celebrants united in prayers and in the singing while having three different altars with their own bread and wine and their own ministers. A like practice is known in the Syro-Antiochen rite.<br /><br /> <br /><br />According to the regulation of the Fet’ha Negest, the vestments must be white in memory of the Transfiguration of Our Lord. Red is also permitted in remembrance of the Precious Blood of Christ. In practice, however, any color is allowed.8<br /><br />Holy Communion is distributed, as in all Oriental rites, under both species.<br /><br /> <br /><br /><strong>Ordo-communis</strong><br />Regarding the structure of the Divine Liturgy, it has been said above that it is composed of two parts: the Ordo Communis and the Anaphora. The Ordo Communis includes the rite of preparation of the Offertory, of the Absolution of the Son (i.e. the prayer is addressed to Christ), of incensing, of the various readings, the Gospel, the Creed and the Kiss of Peace.<br /><br /> <br /><br />The Rite of Preparation consists of the personal preparation of the celebrant as well as the preparation of the sacred vessels of the cult and of the altar. On entering the temple, the celebrant recites a penitential prayer and the Psalms 24, 60, 101, 102, 121 and 130. He concludes with other prayers imploring a blessing on the temple and on the sacred vessels. Intensifying the Preparation, the celebrant recites prayers said to have been composed by St., Gregory, and, having approached the veiled entrance to the Sancta Sanctorum, he recites a third prayer attributed to St. John. Thereafter, he begins with the preparation of the altar and of the sacred vessels with appropriate prayers. Having finished these preparations, the celebrant addresses another prayer to God the Father asking help for himself and for the people. Finally, he adds the last preparatory prayer taken from different psalms.<br /><br /> <br /><br />Now he puts on the sacred vestments and, having washed his hands, he begins the Introit while the congregation sings: "Halleluiah! Hail our Mother Holy Church…" <br /><br /> <br /><br />The Liturgy continues in this order: the blessing of the bread, the Offertory, the blessing of the chalice, the Doxology: "One is the Holy Father, One is the Holy Son, and One is the Holy Spirit" and Psalm 116. The celebrant continues the prayer of thanksgiving attributed to St. Basil, after which the assistant says the prayer for those who have brought the gifts for the sacrifice. When the bread and the chalice are covered, the Prayer of Absolution to the Son is said by the assistant, and the deacon continues with the litanical intercessions to which the people answer: "Lord, have mercy on us--Kyrie Eleison." <br /><br /> <br /><br />Now the Incensing ceremony begins. The celebrant, while reciting the prayer for the Church, the altar, the hierarchy, the priests and the whole Church, burns incense on the altar. <br /><br />Then come the readings in a fixed order: from the Epistles of St. Paul, from the Catholic Epistles and from the Acts of the Apostles. Prayers of the celebrant and songs of the faithful follow each reading. After the third reading, some praises of the Holy Virgin are read by the celebrant. Then, as the sub-deacon carries the Gospel, preceded by many candles, all the ministers leave the Holy of Holies. The celebrant blesses the priests present while those officiating and the people alternately sing the solemn hymn of incense. Thereafter follow the Trisagion, the prayer before the Gospel, and some litanies, which are recited by the assistant. <br /><br />With the reading of the Gospel, the Liturgy of the Catechumens comes to a close. The catechumens are exhorted to leave by the deacon saying: "Leave, O catechumens!"<br /><br /> <br /><br />The Liturgy of the Faithful begins with the prayers for peace, for the hierarchy and for the congregation of the faithful, after which the deacon exhorts the people to sing the Creed. Then the celebrant uncovers the Eucharistic bread and wine, and he washes his hands. After the hand washing, the prayer of the Kiss of Peace, attributed to St. Basil, is recited. With the Kiss of Peace, the unchangeable part of the Liturgy, the Ordo Communis, comes to its end.<br /><br /> <br /><br /><strong>Anaphora (eucharistic prayer)</strong><br />Now it is to be seen how the Eucharistic part of the anaphora is developed. The Ordinary formula is the Anaphora of the Apostles. Prior to the dialogue of introduction, the celebrant sings the first part of the Eucharistic Prayer, the deacon sings the prayer of Intercession, and thereafter the assistant recites some prayers of benediction. The celebrant continues by taking over the second part of the Eucharistic Prayer, which is interrupted now and then by the deacon who, with special phrases, urges the faithful to pay attention because of the seriousness of the moment.<br /><br /> <br /><br />As a corollary to the prayer, the celebrant sings the Sanctus, which is repeated by the faithful at the invitation of the deacon: "Answer!" Then begins the institution Narrative. While the consecration is going on, the faithful profess their faith in the Eucharist by repeating: "We believe, we believe, we believe that this is truly Your Body; we believe…that this is truly your Blood." Now the people sing a short song recalling the death, the resurrection and the Second Coming of Our Lord. The celebrant recites the Prayer of Anamnesis and of Epiclesis invoking the Holy Spirit to sanctify the Eucharistic gifts and all those who will share in them. After the Epiclesis, the prayer of the Breaking of the Bread is recited or sung by the celebrant alternating with the faithful. <br /><br /> <br /><br /><strong>Lord's prayer</strong><br /><br />At the invitation of the deacon: "Pray!", the faithful sing the Lord's Prayer. The celebrant takes up again the embolism; prayers and hymns sung by the celebrant and the faithful follow. Then the deacon invites those present to prostrate themselves in fear, and the celebrant recites the "Prayer of the Penitents" (this prayer is addressed to God the Father) and two commemorative prayers for the hierarchy and for the faithful to attention saying: "Let us be attentive". The celebrant, raising the host, says: "Holy to the Holies;" to this, the faithful respond with a Trinitarian profession. Then, alternating between the celebrant and the faithful, the invocation, "O Lord, have mercy on us, O Christ" is repeated forty one times. Now the celebrant turns to the faithful and recites a penitential prayer, then turning to the altar, he makes a profession of faith in the Holy Eucharist and in the Mystery of the Incarnation. <br /><br /> <br /><br />After preparatory prayers recited by the celebrant and the faithful, Holy Communion takes place. During Communion, the priests who are present and the choir sing Psalm 150 as well as other Eucharistic antiphons, until the distribution is finished. <br /><br />The principal act after Holy Communion is the Thanksgiving with the prayer, said by the celebrant, called "The Pilot of Souls." Purification of the Sacred Vessels, the final blessing and the farewell exhortation to the faithful by the deacon ("Go in peace") bring the Liturgy to a close.<br /><br /> <br /><br /><strong>APPENDIX</strong><br />The Anaphora of the Apostles<br /><br />ENGLISH TRANSLATION<br /><br />CELEBRANT: The Lord be with you all<br /><br />PEOPLE: And with your spirit.<br /><br />CELEBRANT: Give thanks to our God.<br /><br />PEOPLE: It is right to give Him thanks.<br /><br />CELEBRANT: Lift up your hearts.<br /><br />PEOPLE: We lift them up unto our Lord.<br /><br /><strong>CELEBRANT:</strong> We give you thanks, O Lord, by your beloved Son, Our Lord Jesus Christ, whom in the latter days you sent for us. He is Your Son the Savior and Redeemer, the angel of your counsel. He is the Word who is from You and through whom You made all things by your will…You sent your Son from heaven into the bosom of the Virgin…He became flesh, and was borne in the womb, and his birth was made known by the Holy Spirit…He came and was born of a virgin to fulfill your will and make a holy people for You…He stretched his hands to the passion, suffering to save the suffering who have trusted in Him. He offered Himself on His own will to the passion that He might destroy death, and burst the bond of Satan, trample on hell, lead forth the Saints, confirm the law, and make known his resurrection.<br /><br /> <br /><br />He took bread...He gave thanks…saying: Take, eat, this is my Body which is broken for you…<br /><br />In the like manner, He took the chalice, saying: Take drink, this is my Blood which is shed for you…As often as you will do this, you will do it in remembrance of me.<br /><br /> <br /><br />Now also, O Lord, remembering His death and His resurrection, we offer unto you this Bread and this Chalice giving thanks to You. You have given us the favor of standing before You and doing Your priestly service…Uniting all those who are to receive his Body and his Blood, grant that it may be for their sanctification and that they may therefore receive the fullness of the Holy Spirit, and being confirmed in the true faith, they may give you glory and praise through your beloved Son, Jesus Christ. <br /><br /> <br /><br /><strong>ENDNOTES</strong><br />1 Ruffinus, HISTORIAE ECCLESIASTICA, 1. I, 9.<br /><br />Ruffinus is documented in Eusebius of Caesarea, whose CHURCH HISTORY he has translated and extended for some decades.<br /><br />2 Migne, PATROLOGIA GRAECA, 45, 481-489<br /><br />3 Rufinus, ibid.<br /><br />4 Acts, 8:26-40<br /><br />5 ETHIOPIAN MISSAL (METSE’HAFE-QEDDASE), Addis Abeba, 1918 (Eth. Cal.). p. 16, column 1<br /><br />6-7 cf. I. Guidi, STORIA DELLA LETERATURA ETHIOPICA, Roma 1932, p.11;<br /><br />E. Cerulli,, LA LETTERATURA ETIOPIA, Milano 1968, p. 14-18.<br /><br />J.M. Harden, ETHIOPIC DIDASCALIA, London, 1920.<br /><br />8 I. Guidi, IL "FET’HA NAGAST" O "LA LEGISLAZIONE DEI RE", Roma 1899.<br /><br />Abba Paulos Tzadua, THE GET’HA NAGAST, THE LAW OF THE KINGS, Addis Abeba, 1968<br /><br />9 cf. I. Guidi, STORIA DELLA LETTERATURA ETIOPICA, op. cit. pp. 337-38, 40.<br /><br />10 J.M. Harden, THE ANAPHORAS POF THE ETHIOPIC LITURGY, London, 1928, p.1-3. Harden makes also reference to Cooper and Macdlean, THE TESTAMENT OF OUR LORD, P/ 248.<br /><br />11 i. Guidi, STORIA DELLA LETTERATURA…OP. CIT. P. 49FF.<br /><br />12 A.F. Matthew, THE TEACHING OF THE ABYSSINIAN CHURCH, London 1936, p.62<br /><br />13 I. Guidi, STORIA DELLA LETTERATURA….op. cit. P.49ff.<br /><br />14 I. Guidil, ibid. p.51<br /><br />15 I. Guidi, ibid. p.72<br /><br />16 That is according to foreign scholars (I.Guidi, Storia…op.cit. p.78; E.Cerulli, LA LETTERAURA…op cit. p. 176). Ethiopian sources give different versions, such as, for instance, the period of the FEWSE MENFESAWI appearance in Ethiopia, which is believed to be the 15th century; cf. Liqe Seltanat Habtemariam Worqenah, TENTAWI Ye-TIOPIA TEMHERT, (The ancient/School/Learning in Ethiopia) Addis Abeba 1963 (Ethiopian Calendar) p. 227.<br /><br />17 See S.B. Mercer, THE ETHIOPIC LITURGY, London 1915, p. 151 where it is said that the British Museum Manuscript N545, at the beginning of the Order of the Mass (Ordo Communis) there is an ascription which reads: 'This is the order which Basil of Antioch compiled.' Cf. Also Hammer Schmidt, STUDIES OF THE ETHIOPIC ANAPHORAS, Berlin 1961, p.48 and fn.n.5. St. Basil, as well as being the author of many church rules, is also recalled as "ASTEGABA'I", i.e. compiler of many anaphoras; cf. ETHIOPIAN MISSAL (METSE'HAFE-QUEDDASE) op. Cit. p. 336, col 1. See C.F.A. Dillman, LESICON LINGUAE AETHIOPICAE, 1864, P. 1173:"Astegaba-I" compilator libri.<br /><br />18 I.M. Hannssens, INSTITUTIONES LITURGIAE DE…….Rome, 1930: V.11, p. 473<br /><br />19 About the Ethiopian Anaphora of St. Mark, see A.?T.M. Semharay in EPHEMERIDES LITURGICAE,42 (1928( p. 440 ff, 507ff.<br /><br />20 I.M. Hannssen, INSTITUTIONES….op. cit. p. 641.<br /><br />21 cf. A. Raes. INTRODUCTION IN LITURGIAM ORIENTALEM, Rome 1942, p. 20.<br /><br />24 After all , it seems usual that kind of collections need to pass through several stages before becoming a definite single compendium. As for the Sinodos, cf. L. Seltanat Habtemariam Worqeneh,TENTAWI Ye-iTUIOUA…op. Cit. p. 225-226.<br /><br />25 In the Journal of theological studies 12 (1911) P. 399.<br /><br />26 E. Hammerschmidt, Studies…op. Cit. p. 41<br /><br />28 E. Hammerschmidt, studies…op. Cit. p.48<br /><br />29 E. Hammerschmidt, ibid. p.76 fn. N.4.<br /><br />30 See C.A.F. Dillman, LEXICON lINGUAE…op. Cot. P.1094: Dersan (pl. Dersanat) -tractatus, dissertatio, Libellus…homilia, oratio sacra…<br /><br />31 The exaltation of Sunday is dealt with often in homilies attributed to some Father of the Church. In Sinodos there is a Dersane-Senbet and in 1959 (Eth. Cal.) two Dersane-Senbet were printed in Addis Abeba: the first "to be read on Christian Sabbath (Sunday)" contains various Christian teachings and there are some points, especially at the end, which exalt Sunday. The second besides containing Christian teachings, exalt Sunday in many points which show direct connections with the Anaphora of St. Athanasius, such as the following: "Listen o dearest children of the church on the greatness and the honor of the Christian Sabbath (Sunday), the Father hallowed it, the Son blessed it and the Holy Spirit honored and exalted it". Similarly in the Anaphora of St. Athanasius one reads: OH this day is what the Father hallowed, the Son blessed and the Holy Spirit exalted' )See THE LITURGY OF THE ETHIOPIAN CHURCH, English translation of the Ethiopian Missal by the Ethiopian Orthodox Church, Addis Abeba 1954, p.144) For some opinions regarding the Ethiopian sources which possibly might have influenced the composition of the Anaphora of St. Athanasius, cf. E. Hammerschmidt, Studies…op. Cit. p.72ff.<br /><br />32 cf. A.T.M. Semharay, LA MESSE ETHIOPENNE, Rome 1937, p.99<br /><br />33 As for Theological and Christological Characteristics in the introductory Eucharistic prayer of the Ethiopic Anaphoras, cf. Hammerschmidt, Studies…op. cit. p.72ff.<br /><br />34 See the Ethiopian Missal (Metsehafe Qeddase) printed under the auspices of the Sacred Congregation for the Oriental Churches, Rome 1938 (Ethiopian Ca.) It must be noted here that the concept of the Epiclesis in the Ethiopian context is expressed by the term 'Ye-reseo' "May He (the Holy Spirit_ make them literally It"--i.e., the bread and the cup the Body and Blood of…. With regard to the said term and the 14 Anaphoras recognized by the Ethiopian Orthodox Church, some Missals in use in the same Church have a note which says that seven Anaphoras have the Ye-reseo and they are those of the Apostles, of Our Lord, of St. John the Evangelist, of St. Basil, of St. Epiphanius, of St. John Chrysostom and of Dioscorus. The other seven do not use such a term, but they make use of other formulas.<br /><br />36 See THE LITURGY OF THE ETHIOPIAN CHURCH, English translation, op. Cit. p.175.<br /><br />37 See the ETHIOPIAN MISSAL (Metsehafe Qeddase) (1818) cit. p. 439, col. 2. The term Melos is also found in the Anaphora of St. Cyril (no.11). In C.F.A. Dillmann, Lexicon…cit. p.146, Melos, peregrinum incertes notionis, cf. Also E. Hammerschmidt, Studies…op. Cit. p.161ff.<br /><br />38 cf. A. Paulos Tsadua,THE FET'HA NEGAST, op. Cit. p.82.<br /><br /> <br /><br /><strong>BIBLIOGRAPHY</strong><br />PRIMARY SOURCES:<br /><br />SINODOS, Manuscript in the Church of Ledeta Mariam, Addis Abeba<br /><br />METSEHAFE KIDAN (Testament of Our Lord), Manuscript in the Church of St. Gabriel, Addis Abeba<br /><br />THE ETHIOPIAN DIDASCALIA, English translation by J.M. Harden, London, 1920<br /><br />CANONES APOSTOLORUM AETHIOPICAE, Latin translation by W. Fell, Leipzig 1871<br /><br />DERSAME SENBET, Addis Abeba 1959, (Eth. Cal.)<br /><br />METSEHAFE-QEDDASE, (the Ethiopian Missal), Ge'ez-Amharic Text with extensive commentary by Ethiopian Doctors, Addis Abeba, 1918 (Eth. Cal.), Ethiopian Missal (Metsehafe-Qeddase) by the Sacred Congregation for the Oriental Churches, Rome 1938 (Eth. Cal.)<br /><br />THE LITURGY OF THE ETHIOPIAN CHURCH, English translation of the Ethiopian Missal, by the Ethiopian Orthodox Church, Addis Abeba, 1954.<br /><br />THE FET'HA NAGAST,(The Law of the Kings), English translation by A. Paulos Tsadua, Addis Abeba, 1968.<br /><br />SECONDARY SOURCES:<br /><br />E. Cerulli: LA LETTERATURA ETIOPICA, Milano, 1968.<br /><br />I Guidi, STORIA DELLA LETTERATURA ETIOPICA, Roma, 1932.<br /><br />E. Hammerschmidt, STUDIES IN THE ETHIOPIC ANAPHORAS, Berlin, 1961.<br /><br />I.M. Hannssen, INSTITUTIONES LITURGICAE DE RITIBUS ORIENTALIBUS, VOLS II and III, Romae, 1930-32<br /><br />J.M. Harden, THE ANAPHORAS OF THE ETHIOPIC LITURGY, London 1920<br /><br />A.F. Matthew, THE TEACHING OF THE ABYSSINIAN CHURCH, London 1936<br /><br />S.B. Mercer, THE ETHIOPIC LITURGY, London 1915<br /><br />Abba Petros Hailu, MESSA ETHIOPICA DETTA DEGLI APOSTOLI, Rome, 1946.<br /><br />A. Raes, INTRODUCTIO IN LITURGIAM ORIENTALEM, Romae, 1947.<br /><br />A. Teclemariam Semharay, LA MESSE ETHIOPIENNE, Rome 1937<br /><br />S. Salaville, STUDIA ORIENTALIA LITURGICO-DOGMATICA, Roma, 1940.<br /><br />A. Teclamariam Semharay, VARIATIONES IN LITURGIA<br /><br />S. Merci, in Ephemerides Liturgicae, 42 (1928). Id. NOTA CIRCAM LITURGIAM AETHIOPICA, in Ephemerides Litrugicae, 42, 1928<br /><br />Id. MESSE DE NOTRE-DAME DITE "AGREABLE PARFUM DE SAINTETE", Rome 1937<br /><br />A.M. Mitnacht, DIE MEESLITURGIE DER KATHOLIKEN DAS ATHIOPISCHEN RITUS, Wursburg, 1960.<br /><br /> <br /><br /><strong>Source<br /><br />http://www.catholic-forum.com/churches/kidanemehret/liturgy.html</strong>Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-44120675541047393522010-05-30T01:42:00.000-07:002010-05-30T02:09:32.854-07:00Tutta la verità su Zeret inferno italiano in Etiopia<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://2.bp.blogspot.com/_KLVsjEhJ88Q/TAIlyWsUe9I/AAAAAAAAAKA/9LGf4bwZfE8/s1600/ETIOPIA_PR_11009321_medium.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 320px; height: 240px;" src="http://2.bp.blogspot.com/_KLVsjEhJ88Q/TAIlyWsUe9I/AAAAAAAAAKA/9LGf4bwZfE8/s320/ETIOPIA_PR_11009321_medium.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5476981643851103186" /></a><br />di <span style="font-weight:bold;">Antonio Marino<a href="http://www.laprovinciadicomo.it/stories/Cultura%20e%20Spettacoli/134630_tutta_la_verit_su_zeret_inferno_italiano_in_etiopia/"></a></span><br />Ad usare materialmente i gas proibiti, arsina e yprite, all'imbocco della caverna di Zeret, durante la guerra in Etiopia - uno degli episodi più agghiaccianti di quella campagna - fu un sergente maggiore del plotone chimico della divisione Granatieri di Savoia, Alessandro Boaglio. Tornato in Italia dopo la prigionia in un campo inglese, il sottufficiale non riuscì mai a dimenticare l'orrore di quella giornata e cercò di trasmetterne la memoria rielaborando un suo diario in un quadernetto di memorie coperto di una fitta scrittura a mano. Ritrovato da suo figlio, Giovanni, quel documento di eccezionale interesse è stato trasmesso a un giovane storico, Matteo Dominioni, che con Giovanni Boaglio ne ha ora curato la pubblicazione.<br />Nell'introduzione al volume, Matteo Dominioni, allievo di Angelo del Boca e autore di "Lo sfascio dell'impero" (studio sul colonialismo italiano in Etiopia, nel quale già venivano approfondite le circostanze e le modalità della strage di Zeret) confessa essergli toccata in sorte una testimonianza unica, invano inseguita per tanto tempo da tanti storici e di non aver mai letto, malgrado anni di ricerche sull'occupazione militare dell'Etiopia, un documento «così crudo» di parte italiana. Sono giudizi che la lettura del diario consente a chiunque di ritenere non iperbolici. Anche se in realtà, accanto alla franca sottolineatura di episodi che gettano una luce tragica sull'occupazione italiana - oltre a quello, centrale, di Zeret, va ricordata almeno la durissima repressione messa in atto a Addis Abeba nel febbraio del '37 dopo l'attentato a Rodolfo Graziani, con lo sconvolgente bilancio di undicimila vittime - il memoriale offre anche il resoconto di una lunga serie di vicende personali, minute, quotidiane, e di scarso rilievo politico-militare, ma di innegabile interesse umano, preziose per capire l'approccio a una realtà così diversa da quella italiana da parte di un giovane soldato.<br />Dominioni nota esplicitamente come, al contrario di altri, Boaglio non ecceda in esotismo gratuito, ma preferisca lasciarsi andare ogni tanto a qualche notazione bonariamente ironica, che non di rado mostra tutto il distacco fra la retorica ufficiale e le valutazioni quotidiane, personali, degli italiani in colonia. Così, il giovane sottufficiale parla ad esempio di resistenti etiopi visti penzolare dalla forca non come ribelli e banditi, ma come di «eroi dell'altra sponda». Del resto, la realtà appare sotto una serie di altri aspetti assai diversa da come la si vorrebbe presentare. La "barbarie" degli etiopi agli occhi di Boaglio è un'altra cultura, non priva di attrattiva, che egli si dispone ad esplorare frequentando i tucul e cercando addirittura di imparare qualche parola della lingua locale, per entrare in più diretta sintonia con quelli che avrebbero dovuto essere semplicemente i nemici ormai vinti. Lo stesso atteggiamento il sergente maggiore lo riserva ai rapporti di natura più intima con le indigene. Come rileva Dominioni, «l'autore (…) descrive tutta una serie di episodi in contraddizione palese tra quanto auspicato dal regime e invece quanto avveniva nella realtà (…). D'altronde alle autorità del regime non sarebbe stato possibile reprimere un fenomeno di massa e controllare decine di migliaia di giovani. Nei fatti, la legislazione razziale servì per mostrare un volto duro e integerrimo del fascismo ma la cosa più grave è che divenne un deterrente per esercitare un ricatto nei confronti di un vasto numero di persone». Ma il cuore vero del memoriale è la grotta di Zeret. «È - scrive l'autore nell'introduzione - un documento straordinario su una delle più efferate stragi avvenute in Etiopia; è una testimonianza unica nella storia coloniale. Non esistono da parte italiana descrizioni così lucide su una strage. Si consideri inoltre che a scrivere è uno degli esecutori e che egli descrive minuziosamente (...) l'impiego degli aggressivi chimici». In questo capitolo non c'è più traccia dei colori e dei profumi di un Paese esotico, o della sua cultura e delle sue tradizioni, o della sua lingua cantante. C'è solo una cappa pesante di orrore e la consapevolezza dolorosa di esserne gli artefici. L'uso dell'yprite è tale che lo stesso Boaglio ne viene contaminato e viene riconosciuto invalido di guerra. Ma chi è nella grotta si trova in una spaventosa trappola dove l'alternativa è quella di soffocare per l'arsina che la invade o uscire per finire sull'yprite o centrati dalle pallottole degli italiani. La scena da inferno dantesco si conclude tuttavia con una nota di speranza: in mezzo al gas, ai cadaveri, alle teste mozzate, al sangue, una giovane dà alla luce un bambino. È la rivincita della vita sulla follia devastante dell'uomo.Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-11722475229245595932010-05-30T01:38:00.000-07:002010-05-30T01:40:26.457-07:00L’Etiopia ridotta alla fame dà cibo ai ricchi Paesi arabiIl vento sferza seicento schiene quasi tutte piegate a terra, una terra fertile e rigogliosa. I foulard colorati delle operaie svolazzano nel cielo terso della Rift Valley, una cinquantina di chilometri a sud di Addis Abeba. Qui si raccoglie la verdura degli sceicchi, che a Gedda o Dubai pagheranno a caro prezzo i broccoli “Agassi” raccolti da mani callose per una paga di 75 centesimi di euro al giorno. Nel blocco “3 B”, due campi più in là rispetto ai cavolfiori, cresce la lattuga che qualcuno gusterà in una altrettanto costosa insalata servita in un ristorante degli Emirati. La verdura globale si mangia nel Golfo arabo ma cresce in quest’azienda agricola di 70 ettari in Etiopia, uno dei Paesi più affamati dell’Africa con oltre 10 milioni di persone bisognose di assistenza alimentare. Con una dozzina di grandi laghi, altrettanti corsi d’acqua principali e oltre 3,5 milioni di ettari di terra irrigata, l’Etiopia è il «sogno blu» per gli investitori dell’arido Golfo arabo.<br /><br />I sauditi dal 2015 cesseranno la produzione di cereali sul proprio territorio per decentralizzarla, soprattutto in Africa. Non hanno acqua nel loro deserto. Qui sotto, invece, di acqua ne scorre tanta. «L’irrigazione non è un problema, abbiamo scavato cinque pozzi», spiega Tibebe Demeke, direttore della Jittu, società che da circa un anno coltiva ed esporta ortaggi a foglia verde.<br />Più che con l’aratro, i campi sembrano tracciati col righello. Accanto alle grandi serre usate per la crescita dei germogli, le file di sedano e prezzemolo sono incastonate in geometrie impeccabili. Passa anche dall’Etiopia la nuova «corsa alla terra» africana. Terra ubertosa ma soprattutto quasi gratuita.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">AAA AFFITTASI TERRE<a href="http://www.avvenire.it/Mondo/LEtiopia+ridotta+alla+fame+d+cibo+ai+ricchi+Paesi+arabi_201005240744248530000.htm"></a></span><br />La proprietà dei latifondi resta del governo, ma mezzo secolo d’affitto costa davvero poco agli investitori stranieri. «Pochissimo, quasi nulla» assicura Messele Fisseha, un ricercatore di Addis Abeba. Nell’ordine di una manciata di dollari all’ettaro, per concessioni di decine d’anni su immensi appezzamenti. Gli attivisti lo chiamano “land grabbing”, accaparramento della terra. Ma in Etiopia è lo stesso governo ad offrire – o svendere, secondo alcuni – i suoi campi. «Incoraggiamo gli investitori motivati e seri a impegnarsi nel settore agricolo» si legge sul volantino del ministero dell’Agricoltura e dello Sviluppo rurale. Da pochi mesi è stata creata anche un’apposita «agenzia di sostegno agli investimenti», per convincere società straniere a scommettere pregiata valuta estera (indispensabile al governo) nell’Eldorado verde del Corno d’Africa. Il dicastero etiopico garantisce che dei 74 milioni di ettari coltivabili solo 12 milioni sono usati dai contadini locali. Il resto può soddisfare quelli che l’organizzazione non governativa spagnola Grain definisce «nuovi colonizzatori». Che vengono dal vicino Golfo arabo ma anche da Cina, Egitto, Corea del Sud e India.<br />Da Bangalore arriva la Karuturi, numero uno al mondo nell’esportazione di rose recise e già attiva in Etiopia nel settore della floricoltura. Nello Stato di Gambella, al confine col Sudan, ha da poco avviato la produzione di riso. Da quelle parti, il governo federale di Addis Abeba mette a disposizione tra gli altri un lotto di 385mila ettari, equivalente da solo alle superfici delle province di Milano e Bergamo.<br />Su Wellega Road, appena fuori dalla capitale, si vedono le grandi “green house”, le serre usate per floricoltura e orticoltura. Inerpicandosi verso Wenchi, un vulcano spento dove apicoltori e guide turistiche sono sostenute da un progetto dell’italiana Slow Food, appare evidente invece il frazionamento dei piccoli terreni dei contadini: un mosaico dalle mille toppe verdi.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">IL PARADOSSO DELL’ARATRO</span><br /><br />Scendendo verso la regione del Guraghe, si tagliano valloni fertili e rigogliosi. Visto da quest’angolo dell’Etiopia, non ci si spiega perché il secondo Paese più popoloso dell’Africa non riesca a raggiungere l’autosufficienza alimentare.<br />«È un paradosso: la maggior parte degli etiopi è costretta a coltivare solo piccoli appezzamenti, su cui a malapena sopravvive» osserva un funzionario dell’ufficio di Addis Abeba della Banca mondiale, che chiede l’anonimato. Spiega che il programma “Safety Net”, finanziato dai donatori internazionali con 500 milioni di dollari l’anno, garantisce cibo o soldi in contanti a 8 milioni di etiopi in cambio di un mese di lavoro all’anno per la loro comunità locale. «Appare evidente – aggiunge – il contrasto tra i grandi lotti ceduti per fini commerciali agli stranieri e i piccoli terreni riservati alla sussistenza per 65 milioni di contadini», su una popolazione di 80 milioni.<br />Ad Awassa, circa 300 chilometri a sud della capitale, la Saudi Investments del miliardario saudita Mohammed al-Amouni (etiope di nascita) sta costruendo un modernissimo impianto di lavorazione degli ortaggi, in vista di ulteriori acquisizioni fino a mezzo milione di ettari. Nel Guraghe, invece, l’aratro è trascinato dai buoi. <br /><br />A Getche, non lontano dal capoluogo regionale Welkite, anche la famiglia di Getachew s’affida a due stanche bestie da soma per arare un campicello. Il duro lavoro agricolo permette di sopravvivere dentro un tukul, la tipica capanna a pianta circolare. Sotto lo stesso tetto di fascine di paglie, uno steccato di legno divide i giacigli di questo contadino, dei suoi 5 figli e degli animali. Il bue fa capolino in una sorta di open space, realizzato non per vezzo architettonico ma per necessità di razionalizzare i pochi ambienti a disposizione. Le capanne sono disposte lungo una strada sterrata che il governo sta finalmente iniziando ad asfaltare. Addis Abeba dista tre ore d’auto ma sembra una distanza infinita.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">BANANO FINTO E VERO</span><br />L’unico presidio sanitario nel raggio di decine di chilometri è un dispensario gestito dalle suore siciliane Figlie della Misericordia e della Croce. Suor Francesca Shurabet, la capo-infermiera etiope, mostra un registro con l’elenco delle prestazioni nel mese di aprile 2010: 84 casi di malaria, di cui quattro falciparum, che qui continua a mietere vittime. «Oltre alle cure di base, forniamo anche un po’ di educazione sanitaria». La religiosa s’infervora quando spiega che qui si coltiva l’Ensete, il cosiddetto falso banano, del tutto simile a quello da frutto ma da cui si ricava invece la farina per il kotcho, un pane tradizionale. «Ho suggerito decine di volte ai contadini di coltivare il vero banano, che garantirebbe un minimo di fabbisogno vitaminico. Ma qui non glielo spiega nessuno». Eppure, riflette, «su questa terra butti un seme e cresce subito». Adesso lo sanno anche i cowboys dell’agrobusiness. Che cavalcano verso la nuova frontiera africana senza perdere tempo.<br /><span style="font-weight:bold;">Emiliano Bos </span>Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-87588713196191733202010-04-19T13:34:00.000-07:002010-04-19T13:41:07.186-07:00Il Papa Benedetto XVI al pranzo per il 5° anniversario del suo pontificato (Ansa)<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://1.bp.blogspot.com/_KLVsjEhJ88Q/S8y_2jNIuGI/AAAAAAAAAJ4/Q3Pg0uCwiG0/s1600/papa-compleanno-ansa.jpg_415368877.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 320px; height: 169px;" src="http://1.bp.blogspot.com/_KLVsjEhJ88Q/S8y_2jNIuGI/AAAAAAAAAJ4/Q3Pg0uCwiG0/s320/papa-compleanno-ansa.jpg_415368877.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5461951391977748578" /></a><br />E' un momento di "tribolazione" per una Chiesa "ferita e peccatrice", che tuttavia confida nell'aiuto di Dio, lo ha detto papa Benedetto XVI, con un implicito riferimento allo scandalo degli abusi, durante il pranzo oggi con i cardinali residenti a Roma, organizzato oggi in Vaticano in onore del suo quinto anno di Pontificato. Ratzinger ha anche detto di non sentirsi "solo", perché avverte attorno a sé la presenza e l'appoggio dell'intero collegio cardinalizio.<br />“Non sono solo" - In questo momento - ha riferito l'Osservatore Romano in un breve articolo sul pranzo di oggi - il Papa "sente, molto fortemente, di non essere solo; sente di avere accanto a sé l'intero Collegio cardinalizio che con lui condivide tribolazioni e consolazioni. Il Papa si è espresso così davanti ai 46 cardinali che hanno condiviso con lui il pranzo. "Il Papa - riferisce il quotidiano vaticano - ha voluto ringraziare per l'aiuto che riceve giorno dopo giorno. Soprattutto nel momento in cui sembra vedersi confermata la parola di sant'Agostino citata dal Vaticano II, che la Chiesa ha peregrinato 'inter persecutiones mundi et consolationem Dei'".<br />Il Papa ha una responsabilità personale - A questo proposito il Pontefice ha accennato ai peccati della Chiesa, "ricordando - si legge nell'articolo - che essa, ferita e peccatrice, sperimenta ancor più le consolazioni di Dio". "Nella Chiesa - ha spiegato - esistono due principi: uno personale e uno comunionale. Ora il Papa ha una responsabilità personale, non delegabile; il vescovo è circondato dai suoi presbiteri. Ma il Papa è circondato dal collegio cardinalizio che potrebbe essere chiamato in termini orientali quasi il suo sinodo, la sua compagnia permanente che lo aiuta, l'accompagna, lo affianca nel suo lavoro".<br />Sì al processo di purificazione - Anche nel suo viaggio a Malta, incontrando le vittime di preti pedofili, il Papa ha dimostrato come voglia procedere in un processo di "purificazione", è quanto scrive, in un editoriale, Gian Maria Vian, direttore dell'Osservatore Romano. "In questo processo di purificazione incessante la Chiesa di Roma è chiamata all'esemplarità, e questo sta facendo il suo vescovo sin dal giorno in cui è stato scelto come successore di Pietro", spiega. "Per questo - prosegue - anche a Malta Benedetto XVI ha indicato la via ai suoi fedeli e al mondo, incontrando alcune vittime di abusi da parte di membri del clero cattolico. Per dichiarare la sua vergogna e il suo dolore, per assicurare che tutto sarà fatto per ristabilire la giustizia, ma soprattutto per pregare e mostrare loro la vicinanza di Dio". "Perché - conclude Vian nell'editoriale sull'Osservatore Romano - questo è il compito principale del Papa: ripetere a ogni creatura che Dio la ama. E come nessuno Benedetto XVI sa annunciare la festa di Cristo risorto".Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-20950135334203408612010-04-19T13:21:00.000-07:002010-04-19T13:24:42.804-07:00In Occidente cristiani sotto attacco<span style="font-weight:bold;">Non ci sono solo le persecuzioni e i massacri in Africa e in Asia, specialmente nei Paesi musulmani: l’intolleranza religiosa si fa strada in Europa e in America. Lo rivela un libro scritto da Mario Mauro, eurodeputato del Pdl</span><span style="font-style:italic;">di Stefano Filippi<a href="http://www.ilgiornale.it/esteri/in_occidente_cristiani_sotto_attacco/16-04-2010/articolo-id=437978-page=1-comments=1"></a></span><br />Dall’inizio del nuovo millennio in varie parti del mondo (Europa compresa: un caso è accaduto a Bruxelles) sono stati uccisi 263 fra vescovi, preti, suore, seminaristi, catechisti. Nel solo 2009 sono stati 37 gli omicidi causati dall’odio anticristiano, quasi il doppio delle uccisioni del 2008. E il 2010 si è aperto con l’assassinio di sei cristiani copti nel villaggio egiziano di Nag Hammadi il giorno del Natale ortodosso, mentre nei giorni successivi la comunità islamica locale ha bruciato proprietà dei cristiani e danneggiato edifici. Nello stesso periodo, in Malesia sono state assalite chiese e luoghi di culto cristiani: un tipo di discriminazione di cui le minoranze cristiane sono frequentemente oggetto in numerosi Paesi ma che raramente diventano di pubblico dominio in quanto non ci sono vittime.<br />Questa è l’altra faccia dei limiti alla libertà religiosa dei cristiani nel mondo: ci sono le persecuzioni (gli omicidi, i ferimenti, la caccia ai cristiani) e ci sono le discriminazioni, cioè l’intolleranza, l’intimidazione, l’ostilità di natura ideologica e religiosa diffusa non soltanto in Asia o Africa, ma anche nell’Occidente. Le minoranze cristiane vivono «tra l’incudine dell’indifferenza per il fattore religioso, propria del laicismo occidentale, e il martello del fondamentalismo islamico e delle dittature comuniste. Il fattore cristiano è fonte di irritazione tanto là dove è minoranza quanto nell’ambiente politico e culturale europeo». È l’argomento di fondo del libro «Guerra ai cristiani» (Lindau) scritto da Mario Mauro, eurodeputato e capo della delegazione Pdl nel gruppo dei Popolari europei a Bruxelles. Il volume viene presentato questa sera a Verona in un dibattito con i vescovi missionari Cesare Mazzolari (Sudan) e Camillo Ballin (Kuwait) e con lo scrittore francese René Guitton, autore del recente «Cristianofobia», edito sempre da Lindau e già diventato un caso editoriale.<br />Mauro dal 2009 è rappresentante personale del presidente Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e le discriminazioni. Da questo osservatorio è testimone di una recrudescenza delle persecuzioni anticristiane nel mondo. I cristiani sono sotto attacco in India, dove i fondamentalisti indù hanno mietuto decine di vittime; sono discriminati in nazioni islamiche come Egitto, Turchia, Arabia Saudita, Iran, Pakistan, Sudan, Somalia, Maldive. Vengono osteggiati in Paesi a guida comunista come Corea del Nord (che secondo l’organizzazione non profit americana Open Doors è lo Stato dove le persecuzioni sono più massicce), Cina, Vietnam, Laos, Birmania. Ma sono presi di mira anche in contesti cattolici, come nei Paesi latinoamericani dominati dal narcotraffico come Colombia e Messico a causa dell’opposizione al commercio della droga.<br />Le persecuzioni più cruente vengono perpetrate a «est di Vienna» (così si intitola uno dei capitoli del libro), in particolare nei Paesi a maggioranza musulmana e nei regimi comunisti. Per Open Doors, 35 delle 50 nazioni più spietate con i cristiani sono islamiche. Comprendono le stragi in Egitto, le crocifissioni in Sudan, le decapitazioni in Indonesia, i massacri in Irak dove dal 2003 a oggi sono stati uccisi 825 cristiani, tra cui il vescovo caldeo monsignor Rahho. Ma c’è anche il caso della «laica» Turchia, dove nel 2006 fu assassinato don Andrea Santoro. La Costituzione turca garantisce libertà di culto, ma lo scontro sempre più acceso tra le fazioni dei nazionalisti e dei fondamentalisti islamici nasconde crescenti sentimenti anticristiani, la cui presenza è antichissima e articolata in un’infinità di riti, lingue e tradizioni, ma in questo contesto diventano il terzo incomodo nella strategia della tensione tra i due grandi gruppi rivali.<br /> Ma i cristiani non vengono combattuti soltanto con le armi. Discriminazioni e intolleranza sono presenti anche nell’Occidente. Crescono le restrizioni al diritto di professare liberamente la fede. Mauro racconta dello «zapaterismo» e dei recenti provvedimenti del governo canadese che limitano l’obiezione di coscienza, l’insegnamento della religione, la ridicolizzazione dei simboli religiosi, che alimentano pregiudizi e intolleranza. Secondo l’Osce, questa propaganda genera in molti casi fenomeni di violenza conosciuti come hate crimes, crimini basati sull’odio religioso. Certamente l’Occidente non va messo sullo stesso piano dei regimi di Pechino, Pyongyang o Teheran. «Tuttavia la tentazione di una discriminazione a livello legislativo nei confronti dei cristiani è reale».Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-33821018399441761352010-02-18T23:32:00.000-08:002010-02-18T23:33:16.126-08:0001/02/2010 - 14:43 - ECUMENISMO: IN LIBANO INCONTRO COMMISSIONE DIALOGO CHIESE ORTODOSSE ORIENTALI E CATTOLICASi è concluso ieri presso la sede del Catholicossato armeno di Cilicia in Antelias, Libano, il settimo incontro della Commissione internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali. L’incontro – si legge in un comunicato diffuso oggi dal Catholicossato armeno – si è svolto “in un clima amichevole e cordiale” sotto la co-presidenza del card. Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, e del metropolita di Damiette, Anba Bishoy, segretario generale del Santo sinodo della Chiesa copta. Al tavolo dei lavori, con i delegati della Chiesa cattolica, hanno partecipato i rappresentanti della Chiesa copta ortodossa, della Chiesa etiope ortodossa, della Chiesa sira ortodossa, del Catholicossato di tutti gli Armeni, della Chiesa apostolica armena, della Chiesa sira del Malabar. La Chiesa di Eritrea non ha potuto partecipare all’incontro pur facendo parte della Commissione. Come è d'uso, il primo giorno (27 gennaio), le due delegazioni si sono incontrate separatamente. Poi dal 28 al 30 gennaio, hanno preso il via le sessione plenarie durante le quali i membri della Commissione hanno preso in considerazione le reazioni e le valutazione che le singole Chiese hanno elaborato riguardo al documento pubblicato lo scorso anno dal titolo "Natura, costituzione e missione della Chiesa".<br />Durante la sessione di lavoro, i membri della Commissione hanno svolto una serie di incontri: il 27 gennaio hanno incontrato il presidente del Libano Michel Sleiman, presso il Palazzo presidenziale e nello stesso giorno hanno fatto visita al card. Mar Nasrallah Butros Sfeir, Patriarca della Chiesa maronita. Durante un servizio di preghiera ecumenica nella cappella patriarcale, il Patriarca ha rivolto “un caloroso benvenuto ai suoi ospiti”, e ha parlato del documento approvato dalla Commissione nel gennaio 2009. Questo testo – ha detto il Patriarca, "presenta la tradizione ecclesiologica comune a tutte queste Chiese, una tradizione che è rimasta abbondante e sana, a dispetto dei 1500 anni di separazione". Egli ha parlato anche delle relazioni ecumeniche positive che esistono tra le Chiese del Libano ed ha augurato ai membri della Commissione “grande successo per il loro incontro” che è – ha detto - “un segno di incoraggiamento e di speranza”. Il 28 gennaio, i membri della Commissione sono stati ricevuti dal Catholicos Sua Santità Aram I ed in una conferenza stampa il card. Kasper ha parlato della “importanza della partecipazione dei fedeli al dialogo perché – ha detto - l’unità della Chiesa riguarda tutto il popolo di Dio e non solo i teologi”. Il prossimo incontro della Commissione si terrà a Roma presso il Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani dal 24 al 29 gennaio 2011. <a href="http://www.toscanaoggi.it/news.php?IDNews=18672&IDCategoria=1"></a>Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-25384809514759506062010-01-31T02:53:00.000-08:002010-01-31T02:54:45.538-08:00C come Con-TattoPoche settimane fa ero in viaggio fra le chiese dell’altopiano etiope durante la celebrazione delle festività del Natale ortodosso. Un Natale profondamente vissuto, con migliaia di pellegrini riuniti nei cortili delle chiese e raccolti in preghiera, un Natale molto diverso dal nostro impregnato di consumismo.<br /><br />… sono al monastero di Na’akuto La’ab e osservo i pellegrini inginocchiarsi ai piedi del sacerdote che con una croce non solo li benedice, ma li tocca in varie parti del corpo. Un contatto fisico che già da solo mi sembra avere poteri taumaturgici, almeno per quella gente profondamente credente. <span style="font-weight:bold;">Poi avviene un piccolo incidente. Accanto a me una turista per distrazione batte violentemente il capo contro il ramo di un albero, accorre un sacerdote in suo aiuto, ma prima ancora che possa avvicinarsi, lei lo guarda e gli grida: “non toccarmi”. Lui si allontana senza pronunciare parola…</span><br /><br />Una scena che continua a tornarmi in mente. <span style="font-weight:bold;">Forse è un invito a riflettere.</span> Ripenso alle migliaia di corpi pigiati all’inverosimile l’uno accanto all’altro dentro il cortile di Bet Maryam la notte di Natale. Ripenso ai pellegrini che si stringono ancora di più, sfidando qualsiasi legge fisica, per farmi posto alle cerimonie. Ripenso alle mani che mi toccano, mi trattengono perché io non cada dallo spalto della chiesa, alto diversi metri. E ai bambini che nei mercati cercano la mia mano. Alla gente che si saluta abbracciandosi tre volte e non limitandosi come noi all’abituale stretta di mano che mantiene le distanze. Ripenso a un ragazzo di nome Tilahun, cui mi lega una profonda affezione, che reincontrandomi dopo diversi anni continua ad abbracciarmi con una gioia semplice e pura.<br /><br />Emozioni e sensazioni di “pelle”. Ma c’è anche una spiegazione più razionale per i diversi comportamenti. Un’interessante scienza dal nome strano, prossemica, studia proprio il variare delle distanze nelle diverse culture. Intorno a noi ci sono una serie di bolle virtuali che delimitano la distanza intima, quella personale per l’interazione fra amici, quella sociale fra conoscenti e quella per le pubbliche relazioni. Sembra essere un’eredità ancestrale derivata dagli animali che reagiscono con aggressività o paura alla vicinanza dell’altro, in quanto limitazione del proprio spazio vitale.<br /><br />E’ importante viaggiando conoscere anche queste regole non scritte, osservare come si comportano le persone e cercare di adeguarsi per evitare situazioni di disagio o anche offensive. Ma al di là della variabilità di queste distanze a seconda della cultura di appartenenza, perché sentirci minacciati se qualcuno ci tocca? Si è allargata così tanto la nostra bolla virtuale? Viviamo in spazi urbani sempre più ristretti, ci ammassiamo dentro metropolitane, nelle discoteche o sulle spiagge, ma poi evitiamo qualsiasi contatto. Il sesso non è più tabù, ma lo è diventato invece il contatto fisico al di fuori del rapporto sessuale. Curiosiamo nella vita delle persone attraverso i social network, esterniamo fatti personali su stampa e televisione, ma nel quotidiano siamo sempre più diffidenti e ci costruiamo intorno muri virtuali e reali per proteggere la nostra privacy. E in nome della privacy, nuovo moderno feticcio, ci rendiamo la vita infinitamente più complicata. In realtà stiamo solo proteggendo la nostra solitudine.<br /><br />Forse il viaggio in luoghi affollati d’umanità e non solo di gente, ci può far perdere qualche paura e far ritrovare il piacere del con-tatto, quello di pelle, diverso dai tanti contatti virtuali che affollano le nostre rubriche mail.<br /><br />Consiglio due libri scritti da viaggiatori che non temono di mescolarsi alla gente su treni, corriere e taxi-brousse : Gianni Celati “Avventure in Africa” e Maruja Torres “Amor America, Un viaggio sentimentale in America Latina”, entrambi di Feltrinelli.Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-63032304188241463042009-10-17T12:07:00.000-07:002009-10-17T12:10:04.080-07:00PAULOS L'Etiopia, segnata da Dio e dalla sua salvezza di Abuna Paulos<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://2.bp.blogspot.com/_KLVsjEhJ88Q/StoWfXvQ_QI/AAAAAAAAAJw/l3jTpHcShXs/s1600-h/Patriarca+Paolos+d%27Etiopia.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 265px; height: 186px;" src="http://2.bp.blogspot.com/_KLVsjEhJ88Q/StoWfXvQ_QI/AAAAAAAAAJw/l3jTpHcShXs/s320/Patriarca+Paolos+d%27Etiopia.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5393648231933607170" /></a><br />07/10/2009 - Al Sinodo è intervenuto il Patriarca della Chiesa ortodossa etiope, la più antica del Continente. Nella sua relazione, l'augurio che «Gesù torni in Africa, come fece quando era bambino». Ecco la traduzione dell'Osservatore Romano e la risposta del Papa<br /><br />Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Dio Uno, amen!<br />Cari partecipanti a questo grande incontro di cardinali e vescovi, è per me un onore e un privilegio essere stato invitato a questo grande Sinodo e tenere un breve discorso sull’Africa e sulle Chiese in questo continente. Sono grato in particolar modo a Sua Santità, Papa Benedetto XVI, che ha voluto che fossi fra voi oggi e che mi ha testimoniato personalmente il suo amore per l’Africa e il suo rispetto per la Chiesa etiopica ortodossa Tewahedo nel corso del nostro ultimo incontro fraterno qui a Roma nel giugno scorso.<br />L’Africa è, per grandezza, il secondo continente. È la patria di ogni genere di popolazione con una grande varietà di colori, che vivono in una situazione di armonia e di uguaglianza.<br />Questo spettro di colori è un dono di Dio all’Africa e aggiunge bellezza al continente. È inoltre la prova che l’Africa è un continente in cui ogni genere di persona vive nell’uguaglianza a prescindere dalla differenza di colore e di razza.<br />Antropologi, filosofi e accademici hanno confermato che l’Africa in generale e l’Etiopia in particolare sono in effetti la culla del genere umano. E la Sacra Bibbia conferma questa profonda convinzione. La storia, secondo il calendario etiopico, comincia da Adamo e da Noè. Vale a dire che, per gli etiopi, l’inizio del genere umano, il nostro presente e il nostro futuro sono segnati oggi e per sempre da Dio e dalla sua salvezza.<br />L’Africa, del cui popolo l’antica dignità è incisa sulle pietre dell’obelisco di Axum, delle piramidi egizie, dei monumenti così come nei manoscritti, non è stata solo una sorgente di civiltà. Secondo la Sacra Bibbia, l’Africa è stata anche rifugio per persone colpite dalla fame: è questo il caso degli Ebrei ai tempi di Giacobbe, quando trascorsero sette anni in Egitto.<br />La Sacra Bibbia afferma che gli ebrei e il profeta Geremia, che soffrirono molto per l’invasione dei babilonesi, trovarono rifugio in Etiopia e in Egitto. Quanti vivevano nella parte mediorientale del mondo trovarono sollievo dalla fame in Etiopia e in Egitto.<br />Lo stesso Gesù Cristo e Maria Santissima furono accolti in Egitto, mentre fuggivano dalla crudele minaccia di Erode. È evidente che gli africani si prendono cura dell’umanità!<br />L’Africa continua a essere un continente religioso i cui popoli hanno creduto in Dio onnipotente per secoli. La regina di Saba aveva insegnato ai suoi compatrioti l’Antico Testamento che aveva appreso da Israele. Da allora l’Arca dell’Alleanza si trova in Etiopia, nella città di Axum.<br />Il figlio della regina di Saba, Menelik I, aveva seguito il suo esempio ed era riuscito a portare l’Arca dell’Alleanza di Mosè in Africa, in Etiopia.<br />La storia dell’eunuco etiope e della Legge forte e ben organizzata di Mosè, e delle profonde pratiche e culture religiose esistenti in Etiopia, indicano che la Legge di Mosè in Etiopia veniva messa in pratica meglio che in Israele. Se ne può avere una testimonianza ancora adesso, studiando la cultura e lo stile di vita degli etiopi.<br />È ad Alessandria, in Egitto, che la Sacra Bibbia è stata tradotta in lingue non ebraiche. Questa traduzione africana è conosciuta come la Versione dei Settanta saggi (Sebeka Likawunt).<br />La Sacra Scrittura indica che, come ai tempi remoti dell’Antico Testamento, gli africani hanno l’abitudine di adorare Dio secondo la legge di coscienza del periodo del Nuovo Testamento.<br />L’allora re dei re etiope, l’imperatore Baldassarre, fu uno dei re che si recò a Betlemme per adorare il Bambino Gesù.<br />Il Vangelo ci dice che fu un africano, un uomo proveniente dalla Libia di nome Simone di Cirene, a prendere la croce di Gesù, mentre saliva sul Golgota. E osservate: un eunuco etiope si era recato a Gerusalemme nell’anno 34 per adorare Dio secondo la Legge di Mosè. Per ordine dello Spirito Santo l’eunuco fu battezzato da Filippo. Al suo ritorno in Africa, egli predicò il cristianesimo alla sua nazione. L’Etiopia divenne quindi la seconda nazione dopo Israele a credere in Cristo; e la Chiesa etiopica divenne la prima Chiesa in Africa.<br />Grandi storie di fede hanno caratterizzato i primi secoli del cristianesimo in Africa, poiché gli africani hanno sempre vissuto una profonda carità e una grande devozione per il Nuovo Testamento.<br />L’Africa è la regione da cui provengono eminenti studiosi e Padri della Chiesa come sant’Agostino, san Tertulliano, san Cipriano, come pure sant’Atanasio e san Kerlos. Questi Padri vengono venerati sia nel continente che nel mondo.<br />San Yared, che ha composto bellissimi inni sacri e che il mondo onora per la sua straordinaria creatività, era parimenti originario dell’Africa. San Yared è un figlio dell’Etiopia. I suoi inni rappresentano una delle meraviglie del mondo per cui l’Etiopia è conosciuta ovunque. Le opere di tutti questi Padri caratterizzano l’Africa.<br />Secondo gli studiosi, è in Africa che è stato definito il primo canone della Sacra Bibbia.<br />La storia ci ricorda anche il martirio dei cristiani in Nordafrica, quando il loro re, un non credente, alzò la spada contro di loro nel tentativo di distruggere completamente il cristianesimo. Allo stesso tempo cristiani che venivano maltrattati e perseguitati in diverse parti del mondo sono andati in Africa, specialmente in Etiopia, e hanno vissuto in pace in quella regione.<br />Devoti fedeli etiopi hanno offerto la loro straordinaria ospitalità ai nove santi e ad altre decine di migliaia di cristiani che erano stati perseguitati in Europa orientale e fuggivano in Africa a gruppi. Le abitazioni e le tombe di questi cristiani perseguitati sono state custodite come santuari in diverse parti dell’Etiopia. In Africa e in Etiopia conserviamo pezzi della Santa Croce. La parte destra della Croce si trova in Etiopia, in un luogo chiamato la Montagna di Goshen.<br />Anche i cristiani in Africa si sono fatti carico della Croce di Cristo. Penso alla mia Chiesa, che ultimamente ha subito una dura persecuzione durante la dittatura comunista, con molti nuovi martiri, tra cui il patriarca Teofilo e, prima di lui, Abuna Petros durante il periodo coloniale. Io stesso, che allora ero vescovo, ho trascorso diversi anni in prigione prima dell’esilio. Quando sono diventato patriarca, al termine del periodo comunista, c’era molto da ricostruire. È stato questo il nostro compito, con l’aiuto di Dio, le preghiere dei nostri monaci e la generosità dei fedeli.<br />L’Africa è un continente potenzialmente ricco, con un suolo fertile, risorse naturali e una grande varietà di specie vegetali e animali. Ha un buon clima e possiede molti minerali preziosi. Poiché è un continente con molte risorse naturali non ancora sfruttate, molti le tengono gli occhi addosso. È inoltre innegabile che i progressi nella civiltà in altre parti del mondo siano il risultato delle fatiche e delle risorse dell’Africa.<br />Gli africani hanno fatto tante opere sante per il mondo. Cosa ha fatto il mondo per loro?<br />L’Africa è stata colonizzata con brutalità e le sue risorse sono state sfruttate. Le nazioni ricche che si sono sviluppate sfruttando l’Africa si ricordano di essa quando hanno bisogno di qualcosa. Non hanno mai sostenuto il continente nella sua lotta per lo sviluppo.<br />Tutte e ciascuna delle nazioni del continente affrontano diversi problemi e sfide. I problemi possono essere sociali, politici, economici, come pure spirituali.<br />Mentre lo standard di vita delle popolazioni dell’Africa è più basso rispetto al resto del mondo, vi sono alcuni motivi per cui questi standard già bassi peggiorano e si espandono in tutto il continente. La mancanza di accesso all’educazione rappresenta il problema più grande, perché i giovani non riescono a ricevere un’istruzione adeguata. Nessun Paese e nessun popolo può svilupparsi e prosperare senza istruzione e conoscenza.<br />Come tutti ben sappiamo, non è stato possibile sconfiggere la pandemia dell’Hiv/Aids nonostante gli sforzi incessanti. Tuttavia dobbiamo incoraggiare tutte quelle esperienze che ci mostrano come guarire e contrastare il male, per dare speranza creando sinergia e fornendo all’Africa le stesse cure che ha ricevuto l’Europa. Allo stesso tempo altri generi di patologie attualmente ci minacciano. Rivolgiamo un appello al mondo a lavorare in armonia a questo riguardo. Il Concilio di tutte le Chiese in Africa sta facendo ogni sforzo per limitare i problemi che sono emersi nel continente, soprattutto il caos che stanno creando gli estremisti. I capi religiosi del cristianesimo e i fedeli in generale devono essere uniti in questo sforzo.<br />L’Africa è nella morsa di un pesante debito globale, che né questa, né la generazione futura potranno sostenere.<br />Come possiamo condannare la guerra civile, di solito combattuta da soldati bambini, che sono le stesse vittime di questi tragici atti di violenza? Come condannare gli spostamenti e le migrazioni visibili e nascoste delle popolazioni?<br />La legislazione internazionale sui diritti umani afferma che ogni persona sotto i 18 anni non può far parte di un gruppo armato perché “bambino”. Tuttavia attualmente alcuni paesi stanno costringendo ad arruolarsi nell’esercito ragazzi al di sotto dei 18 anni. Questa è una palese violazione dei diritti umani. È quindi un dovere per i capi delle Chiese africane gridare con una sola voce che questi comportamenti devono cessare immediatamente.<br />Per questo vorrei servirmi di quest’ assise per esortare tutti i capi religiosi a operare per la pace, a proteggere le risorse naturali che Dio ci ha donato e a difendere la vita e l’innocenza dei bambini.<br />In numerosi Paesi africani, alcune necessità basilari quali il cibo, l’acqua potabile e l’alloggio, non sono disponibili. In generale la maggior parte degli africani vive in una situazione in cui scarseggiano le infrastrutture e i servizi umani fondamentali. Anche se l’Africa si è liberata dal colonialismo da tempo, esistono ancora molte situazioni che la rendono dipendente dai paesi ricchi. L’enorme debito, lo sfruttamento delle sue risorse naturali da parte di pochi, le pratiche agricole tradizionali e l’insufficiente introduzione di moderni sistemi agricoli, la dipendenza delle popolazioni dalle piogge, che incidono negativamente sulla sicurezza alimentare, la migrazione e la fuga di cervelli colpiscono duramente il continente.<br />Spero che, avendo i Signori cardinali e vescovi africani già trattato precedentemente questi argomenti, oggi questo Sinodo voglia dibattere e proporre possibili soluzioni.<br />Credo che noi, guide religiose e capi delle Chiese, abbiamo un compito e una responsabilità veramente unici: riconoscere e sostenere, quando lo riteniamo necessario, i suggerimenti che vengono dalle persone, come pure, per contro, respingerli quando contravvengono al rispetto e all’amore per l’uomo, che affondano le proprie radici nel Vangelo.<br />Ci si aspetta che i cristiani siano messaggeri di cambiamenti nel portare la giustizia, la pace, la riconciliazione e lo sviluppo. È quello che ho visto fare con decisione e umiltà dalla Comunità di Sant’Egidio in tutta l’Africa: frutti di pace e di salvezza sono possibili e contrastano ogni forma di violenza con la forza e l’intelligenza cristiana dell’amore. I capi religiosi africani non devono preoccuparsi solo delle opere sociali, ma anche rispondere alle grandi necessità spirituali degli uomini e delle donne dell’Africa.<br />L’apostolato e le opere sociali non possono essere trattati separatamente. L’impegno sociale è il senso dell’apostolato. Ogni parola deve tradursi in pratica. Quindi dopo ogni parola e promessa occorre che seguano azioni pratiche. Ci si aspetta inoltre che i religiosi promuovano la consapevolezza delle persone affinché rispettino i diritti umani, la pace e la giustizia. La società ha bisogno degli insegnamenti dei suoi religiosi, per aiutarla a risolvere i suoi problemi nell’unità e a non essere più la vittima di un problema.<br />Perciò i capi delle Chiese africane, con il potere di Dio onnipotente e dello Spirito Santo, devono dar voce al linguaggio della Chiesa. È inoltre necessario capire quando, come e con chi parlare. Ciò va fatto per la sicurezza delle Chiese.<br />Sono veramente molto felice di partecipare a questo Sinodo della Chiesa cattolica sull’Africa. Sono africano. La mia Chiesa è la più antica dell’Africa: una Chiesa di martiri, santi e monaci. Offro il mio sostegno come amico e fratello a questo impegno della Chiesa cattolica per l’Africa. Ringrazio Sua Santità per l’invito e gli auguro una lunga vita e un ministero fecondo.<br />Parliamo al cuore degli africani del Vangelo di Gesù Cristo e Gesù tornerà in Africa, come fece quando era bambino con la Vergine Maria. E con Gesù torneranno la pace, la misericordia e la giustizia.<br />Che Dio benedica le Chiese in Africa e i loro pastori! Amen!Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-24685660246771547442009-10-17T12:03:00.001-07:002009-10-17T12:04:19.243-07:0005/10/2009 - SINODO AFRICA, MONS. ETEROVIĆ: LA RICONCILIAZIONE SARÀ IL CUORE DELLA RIFLESSIONE“L’insegnamento sulla riconciliazione, sorgente della pace e della giustizia”: questo “il cuore della riflessione” del Sinodo sull’Africa. È quanto ha ricordato questa mattina mons. Nikola Eterović, segretario generale del Sinodo dei vescovi, nella sua relazione all’apertura dei lavori dell’assise sinodale (Vaticano, 4-25 ottobre). Rivolgendosi ai 244 padri sinodali, mons. Eterović ha spiegato che “l’insegnamento sulla riconciliazione presuppone l’Annuncio della Buona Notizia e la sua assimilazione”. Per questo, ha aggiunto, “di fronte a tanti esempi di conflitti, di violenza e anche di odio, sembra urgente intraprendere una nuova evangelizzazione anche là ove la Parola di Dio è stata già annunciata”. In Africa, ha ricordato il segretario generale del Sinodo, “la situazione varia da un Paese all’altro. Dall’Egitto, Etiopia ed Eritrea, ove si è mantenuta la continuità del cristianesimo con i tempi apostolici, fino all’Africa sub-sahariana ove alcune Chiese particolari hanno celebrato 500 anni della fondazione, mentre altre hanno ricordato il primo secolo dell’evangelizzazione. Se si va dalla costa verso l’interno del continente vi sono Paesi in cui i primi missionari sono venuti appena 50 anni fa”. Mons. Eterović ha poi ribadito che “tutti i cristiani sono chiamati” all’“urgente e permanente compito” di “riconciliarsi con Dio e con il prossimo”.<br />“La disponibilità alla riconciliazione – ha detto mons. Eterović – è il barometro della profondità dell’evangelizzazione. Solamente da un cuore riconciliato con Dio, possono spuntare iniziative di carità e di giustizia nei riguardi del prossimo e della società intera”. Il segretario generale ha poi ricordato il tema dell’assemblea sinodale: “La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. «Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo» (Mt 5, 13.14)”. “Tali impegnative parole – ha spiegato – che sono al contempo una constatazione della dignità cristiana e un invito a viverla sempre meglio, sono indirizzate a tutti i cristiani, oggi in modo particolare a quelli dell’Africa. Essi sanno che la risposta affermativa presuppone la conversione”. Per mons. Eterović, “la Chiesa cattolica in Africa deve illuminare ancora di più le complesse realtà del continente, diventando sempre di più il sale della terra africana, immettendo il gusto divino nelle realtà di ogni giorno”. In Africa, ha detto, “la Chiesa è assai dinamica”: dal 1978 al 2007, il numero dei cattolici è passato da 55.000.000 a circa 165.000.000. È necessario, ha concluso mons. Eterović, che “tale crescita quantitativa diventi sempre di più anche qualitativa” per “avvicinarsi all’ideale” di essere “sale della terra e luce del mondo”.<br />“Le riflessioni dell’Assemblea sinodale contribuiscano a far crescere la speranza per i popoli africani e per il Continente nel suo insieme”. All’inizio dei lavori, mons. Nikola Eterović, segretario generale del Sinodo dei vescovi, ha invitato oggi i 244 padri sinodali a fare propria “la preghiera mariana composta da Benedetto XVI per accompagnare la preparazione dell’assise sinodale e per implorare l’abbondanza di grazie dello Spirito Santo allo scopo di ottenere un rinnovato dinamismo della Chiesa disposta a servire sempre meglio gli uomini di buona volontà del continente africano”. Questo “auspicio di Vostra Santità”, ha detto il segretario generale, “si sta realizzando. Ne sono testimoni i rappresentanti degli Episcopati di tutti i continenti che volentieri hanno accettato la nomina pontificia per partecipare all’Assise sinodale, significando la loro vicinanza alla Chiesa cattolica in Africa, parte promettente della Chiesa universale”. Essi, ha aggiunto mons. Eterović, “insieme con i loro confratelli d’Africa, sono disposti a pregare, a dialogare, a riflettere sul presente e sul futuro della Chiesa cattolica nel continente africano”. In questo modo, “si inseriscono nel processo sinodale di dare e di ricevere, di partecipare alle gioie e ai dolori, alle speranze e alle preoccupazioni, condividendo i doni spirituali per l’edificazione di tutta la Chiesa”.<br />Il segretario generale del Sinodo dei vescovi ha sottolineato l’importanza della visita apostolica di Benedetto XVI in Camerun e Angola (17-23 marzo 2009). In tale occasione, ha detto, il Papa “ha idealmente aperto i lavori dell’Assemblea speciale per l’Africa” consegnando l’“Instrumentum laboris” (il documento di lavoro). “Considerata l’importanza del messaggio apostolico per tutta l’Africa, come pure per le riflessioni sinodali”, “è sembrato assai utile”, ha detto mons. Eterović, dare ai padri sinodali i discorsi tenuti dal Papa, durante quella visita apostolica. Questi documenti, ha spiegato il segretario del Sinodo, “saranno di grande aiuto ai padri sinodali”. Mons. Eterović ha poi offerto alcuni dati statistici della Chiesa in Africa, sottolineando la crescita del numero dei cattolici (nel 2007: circa 165.000.000). Il vescovo ha anche parlato dei diversi ambiti in cui è impegnata la Chiesa cattolica, tra cui la pastorale della salute. “La Chiesa – ha ricordato – è in prima linea nella lotta contro il diffondersi dell’Aids. Essa è pure assai attiva nella cura dei malati di Aids”. Tuttavia, “non bisogna dimenticare che i dati statistici mostrano che la malaria è la causa maggiore di decessi nel continente”. Da qui l’appello alla comunità internazionale a “dedicare più energie e mezzi sia per prevenire la sua diffusione, sia per trovare un valido rimedio a tale e assai diffusa infermità”.Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-78085745745407761082009-10-17T11:59:00.000-07:002009-10-17T12:01:04.774-07:00Sinodo per l'Africa: chiusa la prima settimana di lavori. Intervista con l'arcivescovo di Addis AbebaR. – Questo sarebbe molto importante, perché la Chiesa universale ha una voce forte. Grazie a Dio, la voce del Papa e della Santa Sede ha un valore grande. Così, se la Santa Sede avesse un nunzio all’Unione Africana, la voce della Chiesa africana potrebbe essere sentita meglio.<br /> <br />D. – E questo lei crede sarebbe accolto bene anche da quei Paesi a maggioranza musulmana?<br /> <br />R. – Penso di sì, perché in molti casi i musulmani considerano la posizione cattolica, come per esempio per quanto riguarda il rispetto della vita. Noi educhiamo tanti musulmani, nelle nostre scuole e per questo loro sanno che noi svolgiamo questo lavoro senza forzare i musulmani a diventare cattolici; invece, diciamo loro che devono studiare per diventare voce per il loro popolo. Ma a livello dell’Unione Africana, più della metà dei membri sono cattolici! Ecco perché penso che questo nunzio possa anche aiutarli a prendere posizione secondo gli insegnamenti della Dottrina sociale della Chiesa.<br /> <br />D. – Lei ha invitato a studiare le cause che sono alla base del traffico di esseri umani …<br /> <br />R. – Io penso che questa situazione sia molto, molto seria per quanto riguarda la tratta delle donne e dei minori. Dal Sinodo deve uscire una forte presa di posizione su questo!<br /> <br />D. – Lei crede che una delle cause della tratta risieda in Africa?<br /> <br />R. – Sì: deve esistere una sorta di “accordo” internazionale, perché le persone non arrivano facilmente in Europa! Ci sono persone che hanno già pronti i visti d’ingresso: chi organizza tutto questo? Dopo gli armamenti e la droga, la tratta degli esseri umani è ora un business internazionale!<br /> <br />D. – Mons. Souraphiel, mi volevo soffermare sulla situazione nel suo Paese, in particolare per quanto riguarda la vita della Chiesa, la condizione dei cristiani …<br /> <br />R. – La Chiesa cattolica non è molto diffusa, in Etiopia, conta solo l’un per cento della popolazione. Lei sa che ha parlato, qui, il Patriarca Abuna Paulos della Chiesa ortodossa etiopica: loro rappresentano più del 45% della popolazione, per oltre 40 milioni di cristiani ortodossi in Etiopia. In Etiopia, i cristiani vogliono rimanere nel loro Paese …<br /> <br />D. – Lei ha detto che la povertà è una piaga per l’Etiopia …<br /> <br />R. – Devo dire che molte donne emigrano verso il Medio Oriente: perché vanno lì? Perché in Africa non c’è lavoro. Ma per andare lì, prima di tutto devono cambiare il loro nome cristiano in un nome musulmano, devono vestire come i musulmani … Posso dire che per la prima volta, in Etiopia, la povertà sta costringendo le persone a rinnegare la loro eredità cristiana. Quindi, emigrano, non sono pagati molto perché non sono qualificati … Ecco perché dico che ci sono cose che noi africani dobbiamo cambiare. Quando le donne o altre persone emigrano, è meglio preparare bene queste persone, offrire loro una preparazione professionale qualificata in modo che possano guadagnare di più e mandare più denaro alla loro famiglia, nel Paese d’origine. <a href="http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=324400"></a>Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-35148757825411929742009-06-18T06:06:00.000-07:002009-06-18T06:08:16.202-07:00VATICANO: CARDINALE VIENNA HA PRESENTATO PETIZIONE CONTRO CELIBATO PRETI<span style="font-weight:bold;">(ASCA) - Citta' del Vaticano, 17 giu - </span>Alla vigilia dell'apertura dell'anno sacerdotale voluto da papa Benedetto XVI, in Vaticano torna a porsi con forza la questione del celibato obbligatorio dei sacerdoti. A sollevare il tema e' stato uno dei cardinali piu' influenti della Chiesa, nonche' stretto collaboratore di papa Ratzinger, il card. Christoph Schonborn. Nella due giorni di incontri Oltretevere che il pontefice e i massimi esponenti della Curia romana hanno avuto il 15 e il 16 giugno con l'arcivescovo di Vienna e altri rappresentati dalla Chiesa austriaca non si e' infatti discusso soltanto del caso di Gerhard Maria Wagner, il prete ultra-conservatore nominato in febbraio vescovo ausiliare di Linz e successivamente costretto a dimettersi per la rivolta dei preti e dei laici della diocesi.<br /><br />In Vaticano, il card. Schonborn ha anche presentato la cosiddetta ''Iniziativa dei laici'' (Laieninitiativ), un appello di importanti cattolici austriaci lanciato all'inizio di quest'anno, che chiede l'abolizione dell'obbligo del celibato, il ritorno in attivita' dei preti sposati, l'apertura del diaconato anche alle donne e l'ordinazione dei cosiddetti 'viri probati'. Schonborn, che aveva incontrato i promotori dell'iniziativa pochi giorni prima di arrivare a Roma, in un'intervista alla Radio Vaticana spiega che, pur ''non condividendone alcune delle conclusioni, come ho detto piu' volte'', ha presentato il ''Memorandum'' dei laici austriaci - accompagnato da una nota di suo pugno - al prefetto della Congregazione per il clero, card. Claudio Hummes, ''pregandolo di leggerlo con attenzione''. ''Credo - ha spiegato ai microfoni del programma tedesco della Radio Vaticana - che sia importante che qualcuno a Roma sappia cosa pensa una parte dei nostri laici dei problemi della Chiesa''.<br /><br />Secondo quanto riferisce l'agenzia ufficiale dei vescovi austriaci Kap, durante il suo incontro con i promotori della petizione, Schonborn aveva promesso che avrebbe presentato le loro motivazioni e proposte a Roma, insieme con le relazioni sulle conseguenze che la carenza di preti sta provocando in 46 diverse parrocchie, soprattutto nelle zone rurali. In quell'incontro, l'arcivescovo di Vienna aveva espresso ''comprensione per le preoccupazioni'' dei laici, perche' anche a lui ''sta a cuore la cura pastorale da parte delle parrocchie'', tanto piu' in questo tempo di crisi per le famiglie. ''Senza dubbio - aveva aggiunto - la carenza di preti e' collegata all'aumento del numero di persone che rimangono lontane dalla Chiesa e dalla fede''.<br /><br />Naturalmente, il cardinale aveva ribadito la ''grande tradizione'' del celibato nella Chiesa. ''Pero' - aveva aggiunto - come ordinario per i cattolici di rito bizantino in Austria, il cui clero e' in gran parte sposato, non ho alcun disagio di fronte ai preti sposati''. I promotori dell'appello, secondo Schonborn, dovrebbero cercare ''non solo cio' che nelle presenti condizioni puo' esser desiderato solo in una prospettiva di lungo periodo, ma anche cio' che e' concretamente possibile'', e li aveva invitati a completare la loro iniziativa con un ''incoraggiamento'' ai giovani perche' scelgano il sacerdozio cosi' com'e' oggi. Un invito prontamente raccolto dai promotori, tra i quali spiccano tre politici di spicco del Partito popolare austriaco (il partito cristiano conservatore, per molti anni al potere, affine alla Cdu/Csu in Germania e alla Dc in Italia): un ex-segretario generale, un ex-presidente del Parlamento e un ex-vicecancelliere austriaco.<br /><br />Non a caso, pur senza esserne l'argomento ''centrale'', molti dei temi sollevati dalla petizione dei laici austriaci sono stati affrontati nei colloqui avuti in Vaticano dai vescovi austriaci. Secondo quanto riferisce ancora Schonborn, papa Benedetto XVI all'inizio e alla fine della due giorni di incontri ha ribadito con forza l'importanza del celibato dei preti, collegandolo all'anno sacerdotale che si aprira' domani in Vaticano. ''Il Santo Padre - ha spiegato l'arcivescovo di Vienna - ha detto qualcosa che ci ha molto colpito sulla questione del celibato, che naturalmente in Austria, e soprattutto nella regione di Linz, e' un tema molto 'caldo'. Ha detto che la questione, in fondo, e' se crediamo che sia possibile e che abbia senso vivere una vita fondata solo e soltanto su una cosa, Dio''.<br /><br />Nell'intervista a Radio Vaticana, Schonborn riferisce anche che durante i colloqui e' stato dedicato ampio spazio al ruolo dei laici, e che il caso della diocesi di Linz - scossa, come la Chiesa austriaca, da ''divisioni'' e ''profonde tensioni'' che e' inutile negare perche' sono ''fatti'' - e' un esempio positivo per il gran numero di laici attivi, che si riflette ad esempio in una partecipazione alla messa domenicale superiore alle media del Paese. ''C'e' stato accordo tra i responsabili della Chiesa romani ed austriaci che e' un bene che ci siano cosi' tanti laici impegnati nella regione... Abbiamo un bisogno impellente di laici che siano parte attiva della societa'''.<br /><br />Dopo il caso Wagner, nella diocesi di Linz sono emersi alcuni casi di preti che vivevano da anni con una donna, contribuendo cosi' a riportare all'attenzione dell'opinione pubblica austriaca la questione del celibato sacerdotale.<br /><a href="http://www.asca.it/news-VATICANO__CARDINALE_VIENNA_HA_PRESENTATO_PETIZIONE_CONTRO_CELIBATO_PRETI-838893-ORA-.html"></a>Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-43725242098079272122009-06-18T05:56:00.000-07:002009-06-18T05:59:58.350-07:00ll Patriarca d'Etiopia: "Il mondo conoscerà l'Arca dell'Alleanza"<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://2.bp.blogspot.com/_KLVsjEhJ88Q/Sjo6OPLlTEI/AAAAAAAAAJY/oGIJ-wPvze0/s1600-h/Abune_Paulos--400x300.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 320px; height: 240px;" src="http://2.bp.blogspot.com/_KLVsjEhJ88Q/Sjo6OPLlTEI/AAAAAAAAAJY/oGIJ-wPvze0/s320/Abune_Paulos--400x300.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5348651523723578434" /></a><br /><br /><a href="http://www.adnkronos.com/IGN/Altro/?id=3.0.3437754525"></a><span style="font-style:italic;">Il Patriarca ortodosso, Abuna Pauolos vuole svelare il millenario segreto e in un'intervista esclusiva all'ADNKRONOS spiega: ''Sono maturi i tempi per dire la verità". Ad Axum sorgerà un museo per il simbolo sacro.</span><br />Roma, 17 giu. (Adnkronos) - Presto il mondo potrà ammirare l'Arca dell'Alleanza descritta nella Bibbia come il contenitore delle Tavole della Legge che Dio consegnò a Mosè e al centro, nei secoli, di ricerche e studi. <br />Lo ha detto in un'intervista video esclusiva all'ADNKRONOS, visibile sul sito Ign, testata on line del sito Adnkronos (www.adnkronos.com), il Patriarca della Chiesa ortodossa d'Etiopia Abuna Pauolos, in questi giorni in Italia per il 'G8 delle Religioni', e che domani incontrerà il Papa Benedetto XVI per la prima volta e al quale, "se lo chiederà - ha proseguito il Patriarca - racconterò tutta la situazione attuale dell'Arca dell'Alleanza".<br /><br />"L'Arca dell'Alleanza - ribadisce Pauolos - si trova in Etiopia da molti secoli. Come patriarca l'ho vista con i miei occhi e soltanto poche persone molto qualificate hanno potuto fare altrettanto, finora". Secondo il patriarca è custodita in una chiesa, ma per difendere quella autentica, una copia del simbolo religioso e' stata collocata in ogni chiesa del Paese.<br /><br />L'annuncio ufficiale che l'Etopia consegnerà al mondo le chiavi del segreto millenario dell'Arca, verrà dato venerdì prossimo nel corso di una conferenza stampa alle 14 all'Hotel Aldrovandi a Roma dallo stesso Patriarca ortodosso d'Etiopia, insieme al principe Aklile Berhan Makonnen Haile Selassie, e al duca Amedeo D'Aosta, che sarà a Roma già domani mattina.<br /><br />Secondo alcuni studi l'Arca venne trafugata da Gerusalemme dal figlio di re Salomone e portata ad Axum, considerata la Gerusalemme d'Etiopia. E proprio ad Axum sorgerà il Museo chiamato a ospitare l'Arca, il cui progetto è stato finanziato dalla Fondazione del principe, erede designato al trono da Haile Selassie poco prima di morire, Crhijecllu, acronimo delle iniziali dei nomi dei figli del principe: Christian, Jessica, Clarissa, Lucrezia.<br /><br />Qualche settimana fa aveva fatto il giro del mondo la notizia secondo la quale sarebbe stata vista da un giornalista l'Arca autentica in una chiesa etiope. E' stato allora che il Patriarca Pauolos ha maturato la decisione di "dire una volta per tutte al mondo la verita'" sulla cassa di legno e oro con le Tavole della Legge di Dio. Il Patriarca ha giudicato maturi i tempi per chiudere definitivamente il capitolo sul quale fino ad ora nessuno storico, nessun ricercatore, nessun 'Indiana Jones', era riuscito a scrivere la parola fine.<br /><br />Il Patriarca dell'antichissima Chiesa ortodossa d'Etiopia ha voluto accanto a sé in questa avventura il nipote dell'ultimo Negus, capo di una famiglia importane, il cui ruolo è riconosciuto sia in Etiopia che all'estero. Il principe erede che due anni fa riuscì a rappacificare le fazioni musulmana e cristiana al centro in Etiopia di un duro contrasto.<br /><br />E' iniziato così il conto alla rovescia per svelare finalmente il mistero della sacra Arca dell'Alleanza, capace, secondo la leggenda, di sprigionare lampi di luce divini e folgori in grado di incenerire chiunque ne fosse colpito, come del resto efficacemente descritto nel cult movie 'I predatori dell'Arca perduta'. Dalla finzione cinematografica si passerà ora alla realtà.<br /><br />Venerdì prossimo la conferenza stampa con l'annuncio ufficiale, un evento che è stato possibile anche grazie alla collaborazione di Paolo Salerno, collaboratore del principe e del giornalista Antonio Parisi, che da qualche anno segue le vicende storiche delle famiglie reali e di quella Etiope in particolare, e naturalmente dell'Arca dell'Alleanza.<br /><br />Ma cos'è l'Arca dell'Alleanza , uno dei più grandi misteri dell'antichità sul quale fantasia, leggenda e storia hanno continuato a intrecciarsi per secoli? L'Arca, nella tradizione ebraica, contiene le Tavole della legge, cioè i Dieci comandamenti; il manufatto, in legno d'acacia, fu costruita da Mosè. All'esterno aveva decorazioni in oro ed è stata a lungo conservata dal popolo ebraico: ha accompagnato le sue vicissitudini, le battaglie e le sconfitte, le peregrinazioni e le lotte contro i filistei ed è stata conservata in diversi luoghi finché il Re Davide non l'ha collocata nella Rocca di Gerusalemme.<br /><br />Ma è Salomone, figlio e successore di Davide, a far sistemare l'Arca nel Tempio di Gerusalemme da lui stesso fatto costruire. Questa narrazione s'intreccia poi con eventi storici e altre tradizioni religiose e nazionali. Di fatto l'Arca dell'Alleanza scompare nel 586 a.C. con la conquista di Gerusalemme da parte dei Babilonesi e la conseguente distruzione del tempio di Gerusalemme.<br /><br />Tuttavia della sua effettiva rovina non c'è testimonianza scritta; da allora l'Arca diventa simbolo eternamente cercato dagli uomini e rintracciato in varie parti del mondo, dall'Africa al Medio Oriente. La tradizione etiope colloca l'Arca nel regno di Axum, dopo che Salomone l'aveva donata al figlio della Regina di Saba, Menelik I. Qui, sarebbe rimasta nel corso dei secoli protetta dai monaci ortodossi nella citta' santa di Lalibela nei pressi di Axum, dove si troverebbe tuttora.<br /><br />L'Arca, che non è visibile a nessuno tranne un monaco che la custodisce, viene preservata nel complesso della cattedrale di Santa Maria di Sion, e' dunque nascosta a tutti e viene portata in processione una volta all'anno ma avvolta in un panno.<br /><br />L'Arca ha accesso la fantasia di archeologi, scrittori, gruppi religiosi, sette di ogni tipo. Nella tradizione infatti si afferma che emana un potere particolare ma anche che chi la tocca veniva fulminato. Un oggetto che data anche la sua collocazione - Il Tempio di Gerusalemme - è stato di volta in volta al centro di storie legate alla Massoneria o ai Templari. Tuttavia va ricordato che sono molte in Etiopia le chiese nelle quali e' conservata un'''arca'', così come diversi studiosi - muovendosi spesso al limite del mistero e della leggenda - la collocano in varie parti del mondo.<br />http://www.adnkronos.com/IGN/Altro/?id=3.0.3437754525Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-50883835403212923122009-06-08T10:01:00.000-07:002009-06-08T10:04:48.164-07:00DA ARCHIVI SEGRETI NUOVE VERITA' SU PIO XI<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://3.bp.blogspot.com/_KLVsjEhJ88Q/Si1EpwTcyGI/AAAAAAAAAJI/4T1dTl5AcW0/s1600-h/Pio+XI.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 128px; height: 172px;" src="http://3.bp.blogspot.com/_KLVsjEhJ88Q/Si1EpwTcyGI/AAAAAAAAAJI/4T1dTl5AcW0/s320/Pio+XI.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5345003816890452066" /></a><br />MILANO (ANSA.it)- Nuove verità su Pio XI, il papa a cui toccò guidare la Santa Sede in uno dei periodi più foschi del secolo scorso, potrebbero emergere dagli ultimi studi svolti da esperti di tutta Europa sui materiali più recenti messi a disposizione dagli Archivi segreti vaticani.<br /><br />A tre anni dall'apertura degli Archivi nella parte riguardante papa Ratti, si terrà a Milano un convegno di due giorni, il 9 e 10 giugno prossimi. La copiosa documentazione, desecretata nel settembre del 2006 da Papa Benedetto XVI, è stata incrociata e sovrapposta con le fonti già note ed esistenti.<br /><br />"Di tante vicende avevamo forse un quadro completo ma mancava il punto di vista del Vaticano - ha spiegato il professor Alberto Guasco, della Fondazione per le Scienze religiose Giovanni XXII di Bologna, che ha organizzato le giornate di studio - la fonte insomma più diretta. Il lavoro - ha aggiunto - è stato molto complesso viste le dimensioni del materiale da studiare, ma ora abbiamo fatto un altro passo avanti per chiarire tanti interrogativi". Il convegno, che si svolge alla Fondazione Ambrosianeum. Titolo, ha per titolo 'Pio XI: Parole chiave Totalitarismo, Morale, Russia''. Nato a Desio il 31 maggio del 1857, Achille Ratti, divenne papa nel 1922 e guidò la Chiesa Cattolica fino al 1939, la vigilia della seconda guerra. Durante la sua vita ci furono cinque dittatori (Mussolini, che salì al potere otto mesi dopo la sua elezione, Salazar in Portogallo, Hitler in Germania, Franco in Spagna, Stalin in Urss), la crisi economica del 1929, la persecuzione in Messico e la guerra di Spagna, il concordato, le leggi razziali.<br /><br />Tutto registrato dalle fonti documentarie conservate nell'Archivio Segreto Vaticano e nell'Archivio della Seconda Sezione della Segreteria di Stato. Molti interrogativi sono già stati chiariti, <span style="font-weight:bold;">come quello dell'esistenza di un'enciclica di condanna alla dittatura o la lettera con cui Pio XI chiedeva a Mussolini di non intraprendere la guerra in Etiopia.</span> Altri sono ancora aperti. Nei due giorni di convegno, saranno analizzate le posizioni della Santa Sede in quel periodo, i nodi più critici, i contrasti, i silenzi che poi si sono prestati a molteplici interpretazioni. Ma si parlerà anche delle encicliche di Pio XI sui giovani, la famiglia, le donne, la nuova morale, le missioni e i movimenti cattolici. "Quella di Pio XI - ha detto Guasco - é una figura che ormai si sta ben delineando. Restano però gli interrogativi sul perché tanti documenti non sono stati pubblicati dopo la sua morte, perché sono stati tenuti nascosti e da chi, ma soprattutto perché si è preferito alle parole il silenzio".<br /><a href="http://www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/daassociare/visualizza_new.html_987743010.html"></a><br />http://www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/daassociare/visualizza_new.html_987743010.htmlCard. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-72224867211471309202009-06-07T13:47:00.000-07:002009-06-07T13:51:10.816-07:00Gli 80 anni dello Stato più piccolo del mondo<span style="font-style:italic;"><span style="font-weight:bold;">Con 44 ettari di superficie, lo Stato della Città del Vaticano è il più piccolo del mondo. Ha 800 abitanti, gode di extraterritorialità, ha una bandiera, un inno e può avere una propria flotta marittima . Dal 1984 è patrimonio dell'Unesco</span><a href="http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=120556"></a></span><br />A segnare la nascita dello Stato racchiuso nelle mura leonine furono infatti i Patti Lateranensi sottoscritti fra Italia e Santa Sede, fra Pio XI, rappresentato dal Segretario di Stato cardinale Pietro Gasparri, e Benito Mussolini, l'11 febbraio del 1929, ratificati poi dal Vaticano il successivo 7 giugno.<br /><br />La data segna in modo ufficiale la nascita dello Stato della Citta' del Vaticano. Da quel giorno ha preso forma anche istituzionalmente uno stato sovrano universalmente riconosciuto e distinto dalla Santa Sede, la massima istituzione della religione cattolica apostolica romana.<br /><br />L'accordo fra Italia e Vaticano venne confermato dalla Costituzione repubblicana e inserito nell'articolo 7 dove si stabiliscono ruoli e limiti di Stato e Chiesa. Poi nel 1984 i Patti divennero Concordato: Presidente del Consiglio allora era Bettino Craxi, il Pontefice Karol Wojtyla e il Segretario di Stato il cardinale Agostino Casaroli.<br /><br />La forma di governo vigente nello Stato Vaticano e' la monarchia assoluta. Tutti i poteri convergono infatti sul Papa che risiede entro i suoi confini o, nel periodo estivo, nelle Ville pontificie di Castelgandolfo. All'interno dei confini vaticani si trovano inoltre quasi tutti gli organismi e i dicasteri della Santa Sede, che formano il governo e che coadiuvano il Papa nella sua azione.<br /><br />Ma non c'e' solo questo nucleo di istituzioni concentrato in gran parte intorno a San Pietro, con qualche propaggine anche in altre zone della citta': ci sono migliaia di diocesi sparse in tutto il mondo, centinaia di congregazioni religiose maschili e femminili, nunzi apostolici - gli ambasciatori - del Papa che operano nelle capitali di tutto il mondo. La Chiesa vanta poi collegamenti con un'immensa e ramificata rete di istituzioni educative e assistenziali.<br /><br />La Santa Sede si e' resa completamente indipendente da qualsiasi altro potere al mondo. Tuttavia, la sua giurisdizione si estende anche oltre i confini dello Stato includendo aree della citta' di Roma e dei dintorni che godono dell'extraterritorialita', cioe' della rinuncia da parte dello Stato italiano ad esercitarvi poteri di polizia.<br /><br />La Santa Sede ha un sito internet e un organo ufficiale di stampa, l'Osservatore Romano. Come ogni altro Stato sovrano anche il Vaticano e' dotato di una vessillo. Dai colori giallo e bianco, divisi in senso verticale, la bandiera pontificia accoglie anche il simbolo dell'antica tiara papale e le chiavi del regno, dette "decussate", posizionati entrambi nella parte bianca.<br /><br />La Santa Sede possiede un inno, che dal 16 ottobre del 1946, per volere di papa Pio XII , e' La Marcia Pontificia. Batte anche la propria moneta, cioe' l'euro, che fa coniare alla Zecca dello Stato in Italia, non possedendo un proprio istituto, per il valore di un milione di euro l'anno, ed emette francobolli postali.<br /><br />Anche il Vaticano e' provvisto di corpi speciali che ne garantiscono la sicurezza: la Guardia Svizzera - antico corpo dalla caratteristica divisa, rossa gialla e blu - e il Corpo della Gendarmeria, che svolge funzioni di polizia e si occupa della sicurezza dello Stato. Entrambi questi corpi hanno visto negli ultimi anni aggiornare le loro funzioni e ruoli, compiti di intelligence e scambi con le polizie europee, sono diventati elementi indispensabili della loro attivita' in modo specifico all'indomani degli attentati dell'11 settembre.<br /><br />La Dichiarazione di Barcellona del 1921, approvata dalla Societa' delle Nazioni, consente allo Stato Vaticano, che non ha accesso diretto al mare, di navigare con navi battenti la propria bandiera. Tuttavia, lo Stato attualmente non esercita tale diritto.<br /><br />I suoi beni extraterritoriali sono garantiti al livello internazionale dalla Convenzione dell'Aja del 14 maggio 1954, che concerne la tutela dei beni culturali in caso di conflitto armato. Dal 1984 il Vaticano e' inoltre, Patrimonio dell'Unesco.Card. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-79276599777155826532009-06-06T10:16:00.000-07:002009-06-06T10:22:44.892-07:00Il crocifisso del samurai<a href="http://www.zenit.org/article-18495?l=italian"></a><br /><br /><span style="font-weight:bold;">Rino Cammilleri racconta la grande rivolta dei samurai cristiani</span><br /><br />di Antonio Gaspari<br /><br /><br />ROMA, mercoledì, 3 giugno 209 (ZENIT.org).- Un romanzo straordinario, il racconto di un fatto vero che ha segnato la storia di un paese e della comunità cristiana, un evento epico e commovente, una vicenda che narra l’eroismo di samurai e contadini, che pur di avere la libertà religiosa morirono tutti martiri.<br /><br />“Il crocifisso del samurai”, edito da Rizzoli e scritto da Rino Cammilleri, racconta la grande rivolta dei samurai cristiani di Shimabara avvenuta nel 1637.<br /><br />Quarantamila cristiani giapponesi, donne e bambini compresi, si ribellarono alla persecuzione e si arroccarono nella penisola di Shimabara, nel castello in disuso di Hara. Qui tennero testa per cinque mesi al più grande esercito di samurai che la storia del Giappone avesse mai visto.<br /><br />Nella battaglia finale i cristiani vennero uccisi, migliaia delle loro teste vennero infilzate su pali per terrorizzare chiunque avesse voluto farsi cristiano.<br /><br />L’armata dello Shogun riuscì a stroncare la ribellione, ma al costo di settantamila uomini ben armati e addestrati che morirono combattendo contro contadini e anziani samurai cristiani che pure erano affamati e indeboliti dal freddo, ma saldi nella fede in Gesù Cristo.<br /><br />Per evitare l’onta di non essere riuscito a domare la rivolta il generale giapponese Matsudaira Nobutsuna, offrì ai rivoltosi l’onore delle armi, la dilazione sulle tasse e il perdono, ma questi rifiutarono. L’unica cosa che chiesero era la libertà di professare la religione cristiana.<br /><br />Ma proprio questa libertà era ciò che le autorità giapponesi temevano. Per i due secoli successivi alla rivolta cristiana, il Giappone si isolò dal mondo e perseguitò tutti coloro che si dicevano seguaci di Cristo.<br /><br />Eppure, quando nella seconda metà dell’Ottocento i missionari europei poterono tornare in Giappone, trovarono che i discendenti di quegli antichi cristiani avevano conservato la fede nella clandestinità, tramandandosela di generazione in generazione.<br /><br />Rino Cammilleri, noto giornalista e saggista, ha svolto una intensa ricerca storica per scrivere questo romanzo così avvincente.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Cammilleri</span>, che ha trascorso la vita a indagare la storia della cristianità, è autore di rubriche in diverse testate giornalistiche. Ha pubblicato decine di libri, tra cui “I santi di Milano” (Rizzoli 2000), “Gli occhi di Maria” (con Vittorio Messori, Rizzoli 2001) e “Immortale odium” (Rizzoli 2007).<br /><br />ZENIT lo ha intervistato.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Per anni lei ha studiato e raccontato la storia del cristianesimo. Come è arrivato a questa struggente storia dei martiri giapponesi?</span><br /><br /><span style="font-weight:bold;">Cammilleri:</span> Chi mi segue sa che mi sono a lungo occupato di sfatare le “leggende nere” che gravano sulla storia della Chiesa. I presunti scheletri nell’armadio del cristianesimo (Inquisizione, Crociate, Galileo, Conquistadores…) ormai li ho revisionati tutti. Ma in tutti questi anni mi sono imbattuto in storie meravigliose che nessuno ha mai raccontato, almeno non col risalto che meritano. Sono storie così avvincenti da superare la fantasia e sono ideali per un romanzo storico, genere al quale i cattolici non si dedicano più da troppo tempo. Ho deciso, allora di farlo io. Col precedente “Immortale odium” (Rizzoli) ho messo in scena il braccio di ferro ottocentesco tra la Chiesa e la Massoneria, prendendo spunto dall’attacco al corteo funebre del b. Pio IX nel 1881. Con questo “Il crocifisso del samurai” (sempre Rizzoli) ho puntato il riflettore sulla grande rivolta di Shimabara, in cui nel 1637 quasi cinquantamila cristiani giapponesi, guidati da samurai cristiani, si immolarono in nome della libertà religiosa e del loro diritto a professare la religione di Cristo.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Perché le autorità giapponesi ebbero così paura del cristianesimo?</span><br /><br /><span style="font-weight:bold;">Cammilleri:</span> Con la battaglia di Sekigahara del 1600 erano finite le eterne guerre feudali e il clan dei Tokugawa si era imposto su tutto il Giappone, governando di fatto al posto dell’Imperatore. Il cristianesimo, portato da s. Francesco Saverio, era stato dapprima bene accolto e quasi trecentomila giapponesi si erano fatti battezzare. Ma contro di loro “remavano” i bonzi buddisti e i mercanti protestanti, invidiosi della concorrenza spagnola e portoghese. Misero la pulce nell’orecchio allo Shogun (il dittatore): i missionari cattolici erano l’avanguardia dell’invasione spagnola e portoghese. La prova? Il fatto che i cristiani, quando erano messi di fronte alla scelta tra le leggi dello Shogun e quelle di Cristo, preferivano farsi uccidere anziché disobbedire a quest’ultimo.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Perché il sangue di quei martiri sembra aver generato così poco frutto?</span><br /><br /><span style="font-weight:bold;">Cammilleri:</span> Non direi, anzi. Per due secoli, proprio a causa di quella rivolta, il Giappone si chiuse al mondo esterno. Quando i missionari poterono tornare, nella seconda metà dell’Ottocento, trovarono che il cristianesimo era sopravvissuto nelle catacombe, tramandato di padre in figlio. I «cristiani nascosti», sfidando la morte (il cristianesimo sul suolo giapponese ebbe il permesso di esistere solo alla fine del secolo), contattarono il primo missionario e gli fecero addirittura l’esame per vedere se era cattolico o protestante. Non si è mai vista una fedeltà così tenace. L’animo giapponese ha anche questo bellissimo aspetto.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Nella parte finale del romanzo lei ricorda la profezia di Tertulliano secondo cui “il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”, ma poi riflette anche sul fatto che in tanti luoghi il cristianesimo è stato soffocato nel sangue. Ha una spiegazione teologica per questa apparente contraddizione?</span><br /><br /><span style="font-weight:bold;">Cammilleri:</span> No. Io posso basarmi solo sui fatti storici. Nei luoghi dove si è stesa la cappa islamica, per esempio, il cristianesimo è praticamente scomparso. In Giappone la maggior concentrazione di cristiani era nella zona di Nagasaki. Ebbene, proprio a Nagasaki è stata sganciata la seconda bomba atomica. La cristianità nipponica è stata azzerata per due volte. Tutti i beatificati giapponesi sono martiri. Tertulliano aveva sotto gli occhi i cristiani romani. Noi, oggi, abbiamo una visuale più ampia della sua. Non basta impiantare il cristianesimo, occorre difenderlo: questo è quanto la storia ci insegna. In Indocina la persecuzione cessò solo quando intervennero le cannoniere francesi. In Cina, i massacri di cristiani da parte della setta dei Boxers smisero quando le potenze occidentali inviarono corpi di spedizione.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Oggi in Giappone solo il 4% della popolazione è cristiano. Crede che la situazione possa cambiare e che i cristiani possano crescere verso cifre significative?</span><br /><br /><span style="font-weight:bold;">Cammilleri</span>: Il cristianesimo ha dalla sua, agli occhi degli orientali, il prestigio dell’Occidente. Ma anche la pessima immagine di sé che, sul piano morale, l’Occidente secolarizzato ormai offre. E’ l’Occidente che, nel bene e nel male, dà il “la” all’intero pianeta. E se il sale non riacquista sapore non serve davvero a niente. Se si rievangelizza l’Occidente il resto seguirà.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">I samurai giapponesi sembrano molto simili ai legionari romani. Con la differenza che i legionari che si convertirono al cristianesimo, che pure morirono a migliaia, generarono chiese, devozione, altre conversioni, fino ad arrivare all’imperatore Costantino. Cosa è accaduto in Giappone perché la storia si svolgesse in maniera così diversa?</span><br /><br /><span style="font-weight:bold;">Cammilleri:</span> Proviamo a immaginare se non ci fosse stato Costantino, se il cristianesimo fosse stato bandito dalle legioni, se si fosse continuato a perseguitarlo con l’efficacia ossessiva di Diocleziano. Le precedenti persecuzioni erano state sporadiche e localizzate. La pressione non fu mai così capillare da impedire alla pianticella di respirare e svilupparsi. Costantino, da buon giardiniere, diede spazio e acqua e concime. Infatti, già con Teodosio, sessant’anni dopo, il cristianesimo era diventato maggioritario nell’Impero. Ma in Giappone non fu così. Il cristianesimo fu perseguitato nei modi più feroci per più di due secoli, e solo esso. Una pausa di settant’anni, poi, come sappiamo, giù una atomica. Tuttavia, oggi c’è un detto in Giappone: quando si commemora il giorno della bomba, «Hiroshima urla, Nagasaki prega». Proteste antiamericane nella prima, composte liturgie nella seconda. Il “piccolo gregge” giapponese ha la pelle dura, e la testa anche di più.<br /><br /><span style="font-weight:bold;">Per molti anni il mondo giornalistico e letterario cattolico italiano è stato impegnato a rispondere alle calunnie e alle allusioni di diversi scrittori contrari a Cristo e alla Chiesa cattolica. Con questa sua opera così come con il libro di Rosa Alberoni “La prigioniera dell’Abbazia” si può cominciare a dire che emerge e si consolida un filone di romanzi che ruotano attorno ai valori, alle virtù, all’epopea, alla storia, all’eroismo dei cristiani?</span><br /><br /><span style="font-weight:bold;">Cammilleri:</span> Le cose emergono se c’è qualcuno che le fa emergere. Spero proprio che si tratti di «filone», perché per il momento mi pare solo una cocciuta iniziativa di pochi. Cocciuta, ho detto, perchè questi combattono non più contro intellettuali avversari ma contro il mercato. Se la gente preferisce comprare libri sui vampiri o sui serial killer, i casi sono due: o i romanzieri cattolici non sono capaci di avvincere e non annoiare, o anche il pubblico cattolico preferisce vampiri e serial killer. In quest’ultimo caso siamo davvero messi male. <br />http://www.zenit.org/article-18495?l=italianCard. Paolos Tzaduahttp://www.blogger.com/profile/14520726092660317930noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4782902855171487527.post-91590692492430088682009-06-05T12:34:00.000-07:002009-06-05T12:47:52.103-07:00ታሪኽ ሕይወት ነፍሰኄር ብፁዕ አቡነ ኪዳነማርያም ተኽለሃይማኖት (በባ ብሩኽ ወልደጋብር ዘማኅበረ ሲታውያን)ካብ ባሻይ ተክለሃይማኖት ባርያኡን ወይዘሮ ኣበራሽ ገብረዝግን ብ5 ጳጉሜን 1925 ዓ.ም.ግ (10.09.1933 ዓ.ም.ፈ) ኣብ ዓድብፅዖ ወረዳ መንዅሰይቲ አውራጃ ኣከለጉዛይ ሃገረ ኤርትራ ተወልዱ።<br />ወዲ 8 ዓመት ምስ ኮኑ ኣብ ቝምስናኦም መባእታዊ ትምህርቲ ጀመሩ። ብቆሞሶም ተሓጊዞም ብ1938 ዓ.ም.ግ (1945 ዓ.ም.ፈ.) ናብ ቤት ትምህርቲ ዘርአ ክህነት ዓድግራት ኣተዉ። ን12 ዓመት ዚአክል ምስ ተማህሩ ሓምሳይ ርእሶም ብስም ሰበኻ ዓድግራት ናብ ጥንታዊ ደብረ ቅዱስ እስጢፋኖስ ዘቫቲካን ተልእኩ። ብ 6 ሓምለ 1957 ዓ.ም.ፈ ናብ ኢትዮጵያዊ ኮለጅ ቫቲካን ኣተዉ። ብ1952 ዓ.ም.ግ (ብ1960 ዓ.ም.ፈ) ናይ ፍስልስፍና “ባቸለር ዲግሪ” ብ1953 ዓ.ም.ግ (ብ1961 ዓ.ም.ፈ) ናይ ፍልስፍና “ማስተረይት ዲግሪ” ብ1955 ዓ.ም.ግ (ብ1963 ዓ.ም.ፈ) ከአ ናይ ንባበ መለኮት “ባችለር ዲግሪ ተቐበሉ።<br />ብ11 ታሕሣስ 1957 ዓ.ም.ግ (20.12.1964 ዓ.ም.ፈ) ኣብ ቫቲካን ብኢድ ብፁዕ አቡነ ያዕቆብ ገብረኢየሱስ መዓርገ ክህነት ተቐበሉ። ትምህርቶም ቀጺሎም ብወርኂ ሠነ 1957 ግዕዝ=1965 ዓ.ፈ.) ናይ ንባበ መለኮት ማስተረት ዲግሪ ንምጭባጥ በቅዑ። ድኅሪኡ ናብ ዓድፈረንሳ ናብ ከተማ ፓሪስ ተላእኩ። ንክልተ ዓመት ሥነ ሓዋርያነትን ሥነ መዕበያን (Pastoral Theology and Pedagogy) ተማሂሮም ንመኦኣርገ ዲፕሎማ በቕዑ። ነርባዕተ ወርኅን ፈረቓን ፈረንሳየኛ ኣጻርዮም ንኺምሃሩ ኣብ ከተማ ፓሪስ ጸንሑ። ብወርኂ ኅዳር 1960 ዓ.ም.ግ. (1967 ዓ.ም.ፈ) ናብታ ዝተዀስኰሱላ ገዳም መድኃኔ ዓለም ዓድግራት ተመልሱ። ሰበኻ ዓድግራት ካብ ትምሥረት 7 ዓመት ኮይኑ ነበረ። ብቐዳማይ ጳጳስ ብበዓል ሠናይ ዝኽሪ አቡነ ኃይለማርያም ካሕሣይ ትመሓደር ነበረት።<br />ናብ ዓድግራት ምስ ኣተዉ ኣባ ኪዳነማርያም ተኽለሃይማኖት ናይ መባእታ ትምህርቲ ርእሰ መምህር ኮኑ። ንኽልተ ዓመት እውን ኣገልግሎቶም አወፈዩ። ካብ መስከረም 1962 ዓ.ም.ግ (1969 ዓ.ፈ.) ክሳብ ንመዓርገ ጵጵስና ዚሽየሙ ግን ናይ ዓበይቲ ተመሃሮ ዘርአ ክህነት ሓለቓ ብምዃን መዝነቶም ኣክየዱ። ብዘመን ክህነታዊ ኣገልግሎቶም 16 ዲያቆናት ሰበኻ ዓድግራት ናብ መዓርግ ክህነት በጽሑ። ሢመተ ጵጵስናኦም ብወግዒ ምስ ተበሠረ ክልተ መዓርግ ንፍቀ ዲቁና ዝተቀበሉ ከምዝነበሩ ኣብ ናይ መጋቢት-ሚያዝያ 1977 ጋዜጣ ብርሃን ተመዝጊቡ ይርከብ።<br />መዓርግ ጵጵስና<br />ናይ ሰበኻ ዓድግራት ጳጳስ ብፁዕ አቡነ ስብሓትለአብ ብዋሕዲ ጥዕና መዝነት መሪሕነቶም ኬውርዱ ንመንበረ ጴጥሮስ ምስ ሓተቱ ር.ሊ.ጳ. አቡነ ዮሓንስ ጳውሎስ ዳግማዊ ንሕቶኦም ኣጽዲቆም ኣብ ክንዳኦም ብ2 ጥቅምቲ 1977 ዓ.ም.ግ (12.10.1984 ዓ.ም.ፈ) ነባ ኪዳነማርያም ተኽለሃይማኖት ብወግዒ 3ይ ጳጳስ ወይ ኤጳርቃ ዓድግራት ሸሙዎም። ኣቐዲምና ዝጠቐስናዮ ጋዜጣ ብርሃን ኣብ ገጽ 2 “ናይ ርእሰ ሊቃነ ጳጳሳት ዮሓንስ መበል 23 ትንቢት ሎሚ ተፈጺሙ” ይብል። ነቲ ዛንታ ዝገለጹን ናብ ጋዜጣ “ብርሃን” ዘስፈሩን ኣባ ተወልደብርሃን ተኽለሃይማኖት ከምዚ ይብሉ፦<br />“ር.ሊ.ጳ. ዮሓንስ መበል 23 ኣብ ኣታኽልቲ ቫቲካን ጽቡቕ ኣየር ንክረኽቡ ናባኡ ይመጹ ነበሩ’ሞ፣ ሓደ መዓልቲ ኣብቱ ኣታኽልቲ ምስ ኢትዮጵያውያን ተመሃርቲ ተራኸቡ። ተመሃርቲ ንር.ሊ.ጳ ዮሓንስ በብሓደ ክሳለሙዎም ከለዉ፣ ተመሃራይ ኣባ ኪዳነማርያም ተኽለሃይማኖት ከዓ ብተራኦም ተሳለሙዎም። ር.ሊ.ጳ ዮሓንስ ንኢድ ኣባ ኪዳነማርያም ኣብ ኪዶም ሒዞም ፦ ‘ኣታ እንትይ እዩ’ዙይከ ምውት? እንታይ ኮይኑ እዩ ከምዙይ ኢሉ ዓቢሩ? ሥራሕ ደኾን እናበዝሖ እዩ? ወዘተ እናበሉ ነቶም ተመሃርቲ ኣስሓቑዎም። ኣብ መጨረሻ ግን፣ ‘እሞ እዙይ ዓቢይ ኪኸውን እዩ’ ኢሎም ኣሰናበቱዎም። እኒሆ እምበአርከስ ወዮ ቅዱስ ኣቦና ዝተንበዩሎም ሎሚ ተፈጺሙ ንሪኦ ኣሎና”። እንኪብሉ ምእንታኦም ክንጽሊ ብምዝኽኻር ጽሑፎም ዛዘሙ።<br />ኣቡነ ኪዳነማርያም ተኽለሃይማኖት ብ3 የካቲት 1977 ዓ.ም. (10.02.1985 ዓ.ም.ፈ) ኣብ ካቲድራል መድኅኔ ዓለም ዓድግራት መዓርግ ጵጵስና ተቐብኡ። ዋና ቀባኢ ብፁዕ አቡነ ጳውሎስ ፃድዋ፣ ሓገዝቲ ቀባእቲ ብፁዓን አቡነ አብርሃ አቡነ ስብሓትለአብ አቡነ ዘካርያስ ነበሩ።<br /><br /><span style="font-weight:bold;">ትንተና ንጥፈታት ብዘመን መሪሕነት ኣቡነ ኪዳነ ማርያም ተኽለሃይማኖት</span><br /><br />ካብታ ንመዓርግ ጵጵስና ዝተሾሙላ ዕለት ኣዚዩ ጽንኩር ብዝኾነ እዋን ኢዮም ንሰበካ ዓድግራት ብንኡድ ትዕግሥትን ጥበብን ዝመርሕዋ። ሻራ ኣልቦ ዓለምለኻዊ ተመራመርትን ተዓዘብትን ብዛዕባ አቡነ ኪዳነማርያም ተኽለሃይማኖት እዚ ምስክርነታት ከም ዝመዝገቡ ይፍለጥ፦<br />አቡነ ኪዳነማርያም ብዓቢይ ተወፋይነት ምእንቲ ኵስኰሳ ክህነት ሰበኻ ዓድግራት ተጋደሉ። ካብ 1985 ክሳብ 1998 ዓ.ፈ ዝነበረ እዋን ዝተገብረ መጽናዕቲ ከምዝህብሮ 32 ዲያቆናት ሰበኻ ዓድግራት ናብ መዓርግ ክህነት በጽሑ። ኣብ ዝተፈላለየ መደብ ኃላፍነት ኣዋፊሮም ምስ ኣሥርሕዎም ካብኣቶም መሪጾም ናብ ዝለዓለ ናይ ዩኒቨርሲቲ ትምህርቲ ናብ ሞራባዊ ዓለም ይልእክዎም። ናብ ሰበኻኦም ተመሊሶም ከዓ ብብቕዓት ንምግልጋል ይዋፈሩ። ብዝሖም ካብ 10 ዚዛይድ ካህናት ሰበኻ ዓድግራት ክሳብ 1997 ዓ.ፈ ናብ ኢትዮጵያዊ ጳጳሳዊ ኮለጅ ቫቲካን ተጸንቢሮም ናብ ዝተፈላለያ ዪኒቨርሲታት ሮማ ተማሂሮም ናብ ክብ ዝበለ ደረጃ ትምህርቲ ከምዝበጽሑ ብናይ ቀረባ ሓበሬታ ኪፍለጥ ይከአል።<br />ብ1996 ዓ.ም.ፍ. ዝተሓትመ “Catholic Directory of Ethiopia and Eritrea” ከም ዚገልጾ ብዘመን አቡነ ኪዳነማርያም ብርክት ዝበላ ቍምስናታት ተመሥሪተን። ንአብነት ብ1985 ዓ.ፈ. ዝተመሥረታ ሠለስተ ቍምስናታት ካፍና ምርግዳ ማጋዑማ እንክኾና ብ1986 ከአ እንጋል ብ1989 ዝተመሥረታ ክልተ ከዓ ዳሮ ኮለተ-ግርዓና ይብሃላ።<br />ምስ ዚምልከቶም ኣኅሉቕ ማኅበራት ልኡካነ ወንጌል ኣፍሪቃን (white Fathers) ሳለዚያነ ናይ ዶን ቦስኮን ተዋሲኦም ልመና አቡነ ኪዳነማርያም ስለዝሠመረ እዞም ዝተጠቕሱ ገዳማውያን ኣብ ከተማ ዓድዋ ዓቢይ ቤት ትምህርቲ ተግባረ እድ፣ ኣብ ከተማ ውቕሮ ቤት ትምህርቲ ሞያ ንግድን ሞያ ሕርሻን ተሠሪሑ ንኡድ ኣገልግሎት የወፊ አሎ።<br />ብዛዕባ ኣቡነ ኪዳነማርያም ተኽለሃይማኖት ኣብ ላዕሊ ዝጠቅስናዮ መጽናዕቲ ካልእ ነገር እውን ይጠቅስ። ብ1987 ዓ.ም.ፈ ናይ ወረዳ ናይ ሃገራዊ ባይቶ ተወካሊ ንምዃን ብጽሑፍ ዕድመ ቀረቦም። ንሶም ግን እቲ ፖሊቲካዊ ሥልጣን ምስ መንፈሳዊ መሪህነቶም ሃቢሩ ኪኸይድ ከምዘይኽእል ብሥነ ስርዓት አፍለጡ። ምስ ሕዝቢ ሰባኻኦም ሓቢሮም ንዅሉ ሳዕቤናት ውግእ ስለ ዝተጻወሩ ግን ብዅሉ ሕዝቢ ሰሜን ኢትዮጵያ ከቢሮምን ተሓፊሮምን ነቢሮም።<br />እዚ ጉጅለ ምሁራት እዚ ትዕዝብቶም ብምቅጻል ነዚ ትንተና የቅርቡ። ኣቡነ ኪዳነማርያም ተኽለሃይማኖት ከም መጠን ጳጳስ ሰበኻ ዓድግራት ብጊዜ ደርግን ብድህሪኡ ዝመጸ መሪህነት መንግሥትን ዝተከተልዎ ኣቕዋም ምስ ናይ ካትሊክ ቤተ ክርስትያን ዝተኣሳሰረ መትከል ኢዩ። ናይ ካቶሊክ ቤተ ክርስትያን ሰነድ ጉባኤ ቫቲካን 2ይ ኣብ “ታሕጓስን ተስፋን” ድርሰቱ ቍ.76 ሃይማኖትን ፖለቲካን ኵነታት ብዘፍቀደሉ ምርድዳእን ስምምዕን ተሓባቢሩ ኪሠርሕ ከምዚግባእ ይገልጽ። ብኡኡ መሠረት ከዓ ይብሉ ተዓዘብቲ ናይ ሰበኻ ዓድግራት 3ይ ካቶሊካዊ ጳጳስ ብፁዕ አቡነ ኪዳነማርያን ተኽለሃይማኖት ነዚ ሚዛናውን ሻራ ኣልቦን መርገጺ ወትሩ ኢዮም ዚተኸተልዎ በዚ ኸአ እዞም ስሙይ አቡን ካብ ዝኾነ ሻራ ፖለቲካዊ ሰልፊ ነፃ ነበሩ።<br />ነዚ መንጎይና መርገጺኦም ዚጥሕስ ተግባር እንኬጋጥም ግን ኣቡነ ኪዳነማርያም ብሥነ ስርዓት ኢዮም ዚቃወምዎ። ነዚ ንኼረድኡ እቶም ተዓዘብቲ ዚጠቅስዎ ኣብነት ንመልከት።<br />ሓደ እዋን ገሊኦም ናይ መንግሥቲ ሰበሥልጣን ናብዞም ስሙይ አቡን ቀሪቦም መዝግብቲ ካቶሊክ ቤተ ክርስትያን ንምፍታሽ ጽኑዕ ፈተነ ገበሩ። ብፅዕነቶም ግን ብዘይ ናይ ቤት ፍርዲ ሕጋዊ ውክልና መዛግብቲ ቤተ ክርስትያን ምፍታሽ ከምዘይከአል ብልዝብነት ምስ መለሹሎም እቶም ሰበሥልጣን በታ ዝመጽዋ ተመልሱ። ተንተንቲ ታሪኽን ናይ ኢትዮጵያ ላዕለዎት ሰበ-ሥልጣንን ክብ ብዝበለ ሞሳን ምስጋናን ኢዮም ዚዝክርዎም። <br /><br />ለቡ፦ እዚ ታሪኽ እዚ ጥቀ ክቡር ኣባ ቡሩኽ ወደጋብር ወዲ ማኅበር ሲታውያን ብዕለት 8 ኅዳር 2001 ዓ.ም.ፈ ዝጸሓፍዎ እዩ።Card. 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