Stemma Cardinalizio

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Creato Cardinale 25.05.1985

Storia personale

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TZADUA, Paulos (1921-2003) Birth . August 25, 1921, Addifini, eparchy of Asmara of Eritreans, Eritrea. Education . Seminary of Cheren, Asmara; Italian Lyceum "Ferdinando Martini", Asmara; Catholic University of Sacred Heart, Milan, Italy (doctorate in law). Priesthood . Ordained, March 12, 1944. Pastoral work in Asmara, 1944-1946; in the mission of Guarghe, south of Addis Abeba, 1946-1949. In Eritrea, faculty member, Minor Seminary, 1949-1953; further studies, Asmara, 1949-1953; in Milan, Italy, 1953-1958. Secretary to the bishop of Asmara and to the archbishop of Addis Abeba, 1960-1961. Secretary general of the Episcopal Conference of Ethiopia. In Addis Abeba, pastoral work with university students and service as archdiocesan curia official; faculty member, University of Addis Abeba, 1961-1973.

mercoledì 13 maggio 2009

Cattolici in Terra Santa-Santa Sede



Il viaggio di Benedetto XVI in un paese ostinanatamente chiamato Terrasanta, invece che Israele. I buoni rapporti della Santa Sede con l’Iran, che vorrebbe cancellare lo Stato di Israele dalle cartine geografiche. Sono cose che si tengono: basta aver presente che “la Terra Santa e i suoi luoghi santi appartengono al Cristianesimo, il Vero Israele” (L’Osservatore Romano, 14.5.1948).
“Provvisoriamente”, la rubrica di Luigi Castaldi su Vaticano e dintorni


- UN PO’ DI PASSATO - Nel giorno in cui nasce lo Stato di Israele, L’Osservatore Romano rompe un lungo silenzio e palesa, con amarezza, quali fossero, siano e saranno le pretese della Chiesa in Palestina: “La Terra Santa e i suoi luoghi santi appartengono al Cristianesimo, il Vero Israele“. È il 14 maggio 1948 e da quel momento in poi, la parola Israele diventa un tabù e perfino Paolo VI, primo papa in Terra Santa, riesce a non pronunciarla mai, né prima, né durante, né dopo il suo viaggio nello Stato - appunto - di Israele. La ferita è ancora fresca, diciamo.
“Per quanto riguarda il destino dei luoghi santi e in generale degli interessi cattolici in Palestina, il Vaticano avrebbe preferito che né gli ebrei né gli arabi, ma una terza forza esercitasse il controllo in Terra Santa; in ogni caso, sapeva bene che questa soluzione era irraggiungibile e, nelle presenti circostanze, preferiva gli arabi agli ebrei“, così scriveva, l’8 agosto 1949, il ministro plenipotenziario della Gran Bretagna presso la Santa Sede, John Victor Perowne. La decisione britannica di rimettere il mandato in Palestina era stata della primavera del 1947; la cosa aveva messo il Vaticano in grande difficoltà. Quando se n’era ventilata l’ipotesi, nel 1945, monsignor Thomas McMahon, massimo responsabile della politica vaticana in Medio Oriente, aveva scritto: “La Palestina è internazionale. Un governo internazionale della Palestina [il riferimento, oltre nel testo, era alle Nazioni Unite] è la soluzione migliore fra tutte, perché tutela il carattere sacro della terra natale di Cristo“.
Fin lì, il controllo britannico della regione aveva dato ottime garanzie alla Santa Sede che pure non aveva mancato di esprimere qualche timore, quando la cosa era ancora in discussione presso la Società delle Nazioni nel 1922, per voce del suo Segretario di Stato, il cardinal Pietro Gasparri, ancora una volta sulla possibilità che la posizione ebraica risultasse privilegiata. Poi, le cose s’erano messe per il meglio, e per nessuna delle tre confessioni - cattolica, musulmana ed ebraica - c’era stato di che lamentarsi troppo, almeno non ufficialmente.
Per la Santa Sede l’opzione dell’internazionalizzazione della Palestina poteva essere messa da parte, per essere tirata fuori un quarto di secolo dopo. A opporsi decisamente, allora, furono musulmani ed ebrei e non se ne fece nulla. Come sempre fa, quando non può far sentire la sua voce con la forza che vorrebbe, il Vaticano tacque, si ritirò dai maneggi e lasciò fare, limitandosi a dichiararsi “del tutto indifferenti alla forma di regime che la vostra stimata Commissione [delle Nazioni Unite] potrà proporre, purché nelle vostre proposte conclusive vengano presi in considerazione e tutelati gli interessi della Comunità cattolica, protestante e ortodossa“.
Andava prendendo corpo, però, qualcosa che la Santa Sede temeva più d’ogni altra, e che non si aveva idea di come si potesse ostacolare: la nascita dello Stato di Israele. Sir Alan Cunningham, l’ultimo dei commissari britannici in Palestina, scrisse nel 1947: “La cosa peggiore, dal punto di vista cattolico, è che Gerusalemme finisca sotto il controllo ebraico“. Qualche odierno residuo di screzio tra lo Stato della Città del Vaticano e lo Stato di Israele viene dalla storia certamente, poi chissà se pure dalla teologia. In ogni caso, fino a tutto il 1948, ogni voce vaticana si astenne scrupolosamente dal seppur minimo cenno alla Palestina, cercando di far garante il governo degli Stati Uniti, presso il quale si spese il cardinal Francis Spellman: “Se in ogni caso la spartizione sarà imposta - aveva scritto a George Wadsworth, ambasciatore Usa in Iraq - non bisogna perdere l’occasione di fissare un sistema accuratamente concepito e dettagliato di garanzie e tutele per i luoghi santi e per le minoranze cristiane“.
Seguono anni freddi in ogni senso, fino a quando nel 1967 la Santa Sede si rende conto, insieme al resto del mondo, che gli ebrei intendono difendere il possesso di Israele ad ogni costo, e che ci riescono pure facilmente. Da lì in poi, se non guarita, la ferita è come rimossa, traslata sul piano ecumenico, sicché diventa d’obbligo una nuova posizione verso l’Antico Testamento, e Gesù diventa sempre più ebreo. Sul piano diplomatico, non si può più tardare il riconoscimento dello Stato di Israele, e nel 1993 un papa lo fa: lo riconosce 45 anni dopo la sua nascita, mentre nel 2000 riconosce lo Stato palestinese, ad ora non nato.



Sul Corriere della Sera del 15 febbraio 2000, l’incipit e la chiusa di un articolo a firma di Luigi Accattoli fanno l’affresco storico: “Yasser Arafat viene oggi a Roma, incontra Carlo Azeglio Ciampi e Massimo D’Alema e va per la nona volta in Vaticano: lì assisterà alla firma di un importante «accordo» tra l’Autorità palestinese (di cui è presidente) e la Santa Sede, che dovrebbe avere - nei confronti del mondo palestinese - lo stesso rilievo che ebbe l’accordo del 30 dicembre 1993 con Israele. [...] «Non era necessario che Arafat venisse a Roma per la firma dell’accordo», dicono ancora in Vaticano. È Arafat che ha chiesto di vedere il Papa in questa occasione e Giovanni Paolo II ha accettato di riceverlo «come fa sempre volentieri». Secondo fonti palestinesi, l’accordo conterrebbe anche una clausola su Gerusalemme, nella quale il Vaticano si impegnerebbe a «non riconoscere» eventuali «decisioni unilaterali» di Israele su «Gerusalemme orientale». È nota la posizione vaticana in materia: «Gerusalemme orientale è occupata illegalmente», disse per esempio l’arcivescovo Jean-Marie Tauran - responsabile vaticano dei rapporti con gli Stati - il 23 ottobre del 1998, parlando proprio da Gerusalemme“.
Eccoci ad oggi, o quasi. Nel 2006, il papa, quello che oggi è in pellegrinaggio verso Gerusalemme, arriva a dire - e sono belle soddisfazioni per gli ebrei, cazzarola! - che “lo Stato d’Israele deve poter sussistere pacificamente in conformità alle norme del diritto internazionale” (udienza del 20.1.2006). Nessuno nota che è usato il verbo sussistere invece che il verbo esistere? Sussistere è il verbo che il Concilio Vaticano II ha scelto per significare che la vera Chiesa è la (esiste come) Chiesa cattolica apostolica romana. Lo Stato che si dice “di Israele” - lo Stato che ha per capitale Tel Aviv, perché il diritto internazionale non ha mai riconosciuto come valide le dichiarazioni di Gerusalemme capitale - “deve poter sussistere“: Gerusalemme, almeno «Gerusalemme orientale», non gli è data nel pieno governo.


Un de iure, insomma. Lo Stato di Israele usurperebbe la Terra Santa facendo coincidere la sua capitale con la Gerusalemme che è capitale del “Vero Israele“. I piani sono tenuti separati, così l’ambiguità trova soddisfazione, e la sempre reclamata pretesa sui luoghi santi tradizionalmente affidati ai cristiani (tradizione datata dalle crociate) rimane estensivamente intesa. Sicché il gesuita Samir Khalil Samir, che oggi è il più ascoltato consigliere vaticano per il Medioriente, può tranquillamente dire, nel preparare il viaggio di Benedetto XVI, che “il problema [israelo-palestinese] risale alla creazione dello stato d’Israele e alla spartizione della Palestina nel 1948, decisa dalle grandi potenze senza tener conto delle popolazioni presenti in Terra Santa. È questa la causa reale di tutte le guerre che ne sono seguite. Per porre rimedio a una grave ingiustizia commessa in Europa contro un terzo della popolazione ebrea mondiale, la stessa Europa, appoggiata dalle altre nazioni più potenti, ha deciso e ha commesso una nuova ingiustizia contro la popolazione palestinese, innocente rispetto al martirio degli ebrei“.


- UN PO’ DI PRESENTE - Il virgolettato che chiude il precedente paragrafo è 11tratto dalla newsletter di Sandro Magister del 6.5.2009. Qui vi viene rammentato: “la benevolenza mostrata dal Vaticano nei confronti dell’arcinemico di Israele, l’Iran, durante e dopo la controversa conferenza di Ginevra sul razzismo”; “il silenzio delle autorità vaticane e dello stesso papa sulla proditoria impiccagione a Teheran della giovane iraniana Delara Dalabi“; che l’anno scorso “il presidente Ahmadinejad definì il Vaticano una forza positiva per la giustizia e la pace nel mondo“; e che “una sola volta, e in forma velata, il Vaticano ha stigmatizzato i ripetuti anatemi di Ahmadinejad contro l’esistenza di Israele [...] [nel] lontano 28 ottobre 2005: dopo di allora, silenzio“. Di vostro rammenterete che Ahmadinejad è quello che vorrebbe cancellare Israele dalle carte geografiche, ma quando dice “Israele” intende dire “Stato di Israele“, e questo non dà alcun fastidio al “Vero Israele“. Insomma, non tanto da evitare di scambiare cortesie con l’Iran che impicca gli omosessuali, giusto per fare un esempio. Anzi, può addirittura far mancare la firma del papa alla richiesta di censura ai paesi - fra i quali l’Iran - che considerano l’omosessualità un reato penale.
Sull’altro versante - quello che nel cosiddetto trialogo è il rapporto tra fratello maggiore e fratello minore - vediamo fino a che punto l’ambiguità del “Vero Israele” può fare la confusione dovuta perché un “papa pellegrino” possa presentarsi a Gerusalemme da “crociato disarmato”, visto che le crociate furono dette “pellegrinaggi armati” dai suoi venerabili predecessori: “Nell’Antico Testamento, Dio si era rivelato in modo parziale, in modo graduale, come tutti noi facciamo nei nostri rapporti personali. Ci volle tempo perché il popolo eletto approfondisse il suo rapporto con Dio. L’Alleanza con Israele fu come un periodo di corteggiamento, un lungo fidanzamento. Venne quindi il momento definitivo, il momento del matrimonio, la realizzazione di una nuova ed eterna alleanza. In quel momento Maria, davanti al Signore, rappresentava tutta l’umanità. Nel messaggio dell’angelo, era Dio ad avanzare una proposta di matrimonio con l’umanità. E a nome nostro, Maria disse di sì” (Benedetto XVI, 20.7.2008). Insomma, si può capire perché siano necessari oltre 40.000 uomini per garantire la sicurezza di Sua Santità in Terra Santa: a saper mettere insieme un po’ di presente e un po’ di passato, non mancano ebrei, non mancano musulmani. Solo la nostra ingenuità può farci credere che Benedetto XVI sia andato in Terra Santa per devozione.

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