Stemma Cardinalizio
Storia personale
- Card. Paolos Tzadua
- TZADUA, Paulos (1921-2003) Birth . August 25, 1921, Addifini, eparchy of Asmara of Eritreans, Eritrea. Education . Seminary of Cheren, Asmara; Italian Lyceum "Ferdinando Martini", Asmara; Catholic University of Sacred Heart, Milan, Italy (doctorate in law). Priesthood . Ordained, March 12, 1944. Pastoral work in Asmara, 1944-1946; in the mission of Guarghe, south of Addis Abeba, 1946-1949. In Eritrea, faculty member, Minor Seminary, 1949-1953; further studies, Asmara, 1949-1953; in Milan, Italy, 1953-1958. Secretary to the bishop of Asmara and to the archbishop of Addis Abeba, 1960-1961. Secretary general of the Episcopal Conference of Ethiopia. In Addis Abeba, pastoral work with university students and service as archdiocesan curia official; faculty member, University of Addis Abeba, 1961-1973.
martedì 23 dicembre 2008
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI ALLA CURIA ROMANA IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI
Sala Clementina
Lunedì, 22 dicembre 2008
Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!
Il Natale del Signore è alle porte. Ogni famiglia sente il desiderio di radunarsi, per gustare l'atmosfera unica e irripetibile che questa festa è capace di creare. Anche la famiglia della Curia Romana si ritrova, stamane, secondo una bella consuetudine grazie alla quale abbiamo la gioia di incontrarci e di scambiarci gli auguri in questo particolare clima spirituale. A ciascuno rivolgo il mio saluto cordiale, colmo di riconoscenza per l'apprezzata collaborazione prestata al ministero del Successore di Pietro. Ringrazio vivamente il Cardinale Decano Angelo Sodano, che si è fatto interprete dei sentimenti di tutti i presenti e anche di quanti sono al lavoro nei diversi uffici, comprese le Rappresentanze Pontificie. Accennavo all'inizio alla speciale atmosfera del Natale. Mi piace pensare che essa sia quasi un prolungamento di quella misteriosa letizia, di quell'intima esultanza che coinvolse la santa Famiglia, gli Angeli e i pastori di Betlemme, nella notte in cui Gesù venne alla luce. La definirei "l'atmosfera della grazia", pensando all'espressione di san Paolo nella Lettera a Tito: "Apparuit gratia Dei Salvatoris nostri omnibus hominibus" (cfr Tt 2,11). L'Apostolo afferma che la grazia di Dio si è manifestata "a tutti gli uomini": direi che in ciò traspare anche la missione della Chiesa e, in particolare, quella del Successore di Pietro e dei suoi collaboratori, di contribuire cioè a che la grazia di Dio, del Redentore, diventi sempre più visibile a tutti, e a tutti rechi la salvezza.
L'anno che sta per concludersi è stato ricco di sguardi retrospettivi su date incisive della storia recente della Chiesa, ma ricco anche di avvenimenti, che recano con sé segnali di orientamento per il nostro cammino verso il futuro. Cinquant'anni fa moriva Papa Pio XII, cinquant'anni fa Giovanni XXIII veniva eletto Pontefice. Sono passati quarant'anni dalla pubblicazione dell'Enciclica Humanae vitae e trent'anni dalla morte del suo Autore, Papa Paolo VI. Il messaggio di tali avvenimenti è stato ricordato e meditato in molteplici modi nel corso dell'anno, così che non vorrei soffermarmici nuovamente in questa ora. Lo sguardo della memoria, però, si è spinto anche più indietro, al di là degli avvenimenti del secolo scorso, e proprio in questo modo ci ha rimandato al futuro: la sera del 28 giugno, alla presenza del Patriarca ecumenico Bartolomeo I di Costantinopoli e di rappresentanti di molte altre Chiese e Comunità ecclesiali abbiamo potuto inaugurare nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura l'Anno Paolino, nel ricordo della nascita dell'Apostolo delle genti 2000 anni fa. Paolo per noi non è una figura del passato. Mediante le sue lettere, egli ci parla tuttora. E chi entra in colloquio con lui, viene da lui sospinto verso il Cristo crocifisso e risorto. L'Anno Paolino è un anno di pellegrinaggio non soltanto nel senso di un cammino esteriore verso i luoghi paolini, ma anche, e soprattutto, in quello di un pellegrinaggio del cuore, insieme con Paolo, verso Gesù Cristo. In definitiva, Paolo ci insegna anche che la Chiesa è Corpo di Cristo, che il Capo e il Corpo sono inseparabili e che non può esserci amore per Cristo senza amore per la sua Chiesa e la sua comunità vivente.
Tre specifici avvenimenti dell'anno che s'avvia alla conclusione saltano particolarmente agli occhi. C'è stata innanzitutto la Giornata Mondiale della Gioventù in Australia, una grande festa della fede, che ha riunito più di 200.000 giovani da tutte le parti del mondo e li ha avvicinati non solo esternamente – nel senso geografico – ma, grazie alla condivisione della gioia di essere cristiani, li ha anche avvicinati interiormente. Accanto a ciò c'erano i due viaggi, l'uno negli Stati Uniti e l'altro in Francia, nei quali la Chiesa si è resa visibile davanti al mondo e per il mondo come una forza spirituale che indica cammini di vita e, mediante la testimonianza della fede, porta luce al mondo. Quelle sono state infatti giornate che irradiavano luminosità; irradiavano fiducia nel valore della vita e nell'impegno per il bene. E infine c'è da ricordare il Sinodo dei Vescovi: Pastori provenienti da tutto il mondo si sono riuniti intorno alla Parola di Dio, che era stata innalzata in mezzo a loro; intorno alla Parola di Dio, la cui grande manifestazione si trova nella Sacra Scrittura. Ciò che nel quotidiano ormai diamo troppo per scontato, l'abbiamo colto nuovamente nella sua sublimità: il fatto che Dio parli, che Dio risponda alle nostre domande. Il fatto che Egli, sebbene in parole umane, parli di persona e noi possiamo ascoltarLo e, nell'ascolto, imparare a conoscerLo e a comprenderLo. Il fatto che Egli entri nella nostra vita plasmandola e noi possiamo uscire dalla nostra vita ed entrare nella vastità della sua misericordia. Così ci siamo nuovamente resi conto che Dio in questa sua Parola si rivolge a ciascuno di noi, parla al cuore di ciascuno: se il nostro cuore si desta e l'udito interiore si apre, allora ognuno può imparare a sentire la parola rivolta appositamente a lui. Ma proprio se sentiamo Dio parlare in modo così personale a ciascuno di noi, comprendiamo anche che la sua Parola è presente affinché noi ci avviciniamo gli uni agli altri; affinché troviamo il modo di uscire da ciò che è solamente personale. Questa Parola ha plasmato una storia comune e vuole continuare a farlo. Allora ci siamo nuovamente resi conto che – proprio perché la Parola è così personale – possiamo comprenderla in modo giusto e totale solo nel "noi" della comunità istituita da Dio: essendo sempre consapevoli che non possiamo mai esaurirla completamente, che essa ha da dire qualcosa di nuovo ad ogni generazione. Abbiamo capito che, certamente, gli scritti biblici sono stati redatti in determinate epoche e quindi costituiscono in questo senso anzitutto un libro proveniente da un tempo passato. Ma abbiamo visto che il loro messaggio non rimane nel passato né può essere rinchiuso in esso: Dio, in fondo, parla sempre al presente, e avremo ascoltato la Bibbia in maniera piena solo quando avremo scoperto questo "presente" di Dio, che ci chiama ora.
Infine era importante sperimentare che nella Chiesa c'è una Pentecoste anche oggi – cioè che essa parla in molte lingue e questo non soltanto nel senso esteriore dell'essere rappresentate in essa tutte le grandi lingue del mondo, ma ancora di più in senso più profondo: in essa sono presenti i molteplici modi dell'esperienza di Dio e del mondo, la ricchezza delle culture, e solo così appare la vastità dell'esistenza umana e, a partire da essa, la vastità della Parola di Dio. Tuttavia abbiamo anche appreso che la Pentecoste è tuttora "in cammino", è tuttora incompiuta: esiste una moltitudine di lingue che ancora attendono la Parola di Dio contenuta nella Bibbia. Erano commoventi anche le molteplici testimonianze di fedeli laici da ogni parte del mondo, che non solo vivono la Parola di Dio, ma anche soffrono per essa. Un contributo prezioso è stato il discorso di un Rabbì sulle Sacre Scritture di Israele, che appunto sono anche le nostre Sacre Scritture. Un momento importante per il Sinodo, anzi, per il cammino della Chiesa nel suo insieme, è stato quello in cui il Patriarca Bartolomeo, alla luce della tradizione ortodossa, con penetrante analisi ci ha aperto un accesso alla Parola di Dio. Speriamo ora che le esperienze e le acquisizioni del Sinodo influiscano efficacemente sulla vita della Chiesa: sul personale rapporto con le Sacre Scritture, sulla loro interpretazione nella Liturgia e nella catechesi come anche nella ricerca scientifica, affinché la Bibbia non rimanga una Parola del passato, ma la sua vitalità e attualità siano lette e dischiuse nella vastità delle dimensioni dei suoi significati.
Della presenza della Parola di Dio, di Dio stesso nell'attuale ora della storia si è trattato anche nei viaggi pastorali di quest'anno: il loro vero senso può essere solo quello di servire questa presenza. In tali occasioni la Chiesa si rende pubblicamente percepibile, con essa la fede e perciò almeno la questione su Dio. Questo manifestarsi in pubblico della fede chiama in causa ormai tutti coloro che cercano di capire il tempo presente e le forze che operano in esso. Specialmente il fenomeno delle Giornate Mondiali della Gioventù diventa sempre più oggetto di analisi, in cui si cerca di capire questa specie, per così dire, di cultura giovanile. L'Australia mai prima aveva visto tanta gente da tutti i continenti come durante la Giornata Mondiale della Gioventù, neppure in occasione dell'Olimpiade. E se precedentemente c'era stato il timore che la comparsa in massa di giovani potesse comportare qualche disturbo dell'ordine pubblico, paralizzare il traffico, ostacolare la vita quotidiana, provocare violenza e dar spazio alla droga, tutto ciò si è dimostrato infondato. È stata una festa della gioia – una gioia che infine ha coinvolto anche i riluttanti: alla fine nessuno si è sentito molestato. Le giornate sono diventate una festa per tutti, anzi solo allora ci si è veramente resi conto di che cosa sia una festa – un avvenimento in cui tutti sono, per così dire, fuori di sé, al di là di se stessi e proprio così con sé e con gli altri. Qual è quindi la natura di ciò che succede in una Giornata Mondiale della Gioventù? Quali sono le forze che vi agiscono? Analisi in voga tendono a considerare queste giornate come una variante della moderna cultura giovanile, come una specie di festival rock modificato in senso ecclesiale con il Papa quale star. Con o senza la fede, questi festival sarebbero in fondo sempre la stessa cosa, e così si pensa di poter rimuovere la questione su Dio. Ci sono anche voci cattoliche che vanno in questa direzione valutando tutto ciò come un grande spettacolo, anche bello, ma di poco significato per la questione sulla fede e sulla presenza del Vangelo nel nostro tempo. Sarebbero momenti di una festosa estasi, che però in fin dei conti lascerebbero poi tutto come prima, senza influire in modo più profondo sulla vita.
Con ciò, tuttavia, la peculiarità di quelle giornate e il carattere particolare della loro gioia, della loro forza creatrice di comunione, non trovano alcuna spiegazione. Anzitutto è importante tener conto del fatto che le Giornate Mondiali della Gioventù non consistono soltanto in quell'unica settimana in cui si rendono pubblicamente visibili al mondo. C'è un lungo cammino esteriore ed interiore che conduce ad esse. La Croce, accompagnata dall'immagine della Madre del Signore, fa un pellegrinaggio attraverso i Paesi. La fede, a modo suo, ha bisogno del vedere e del toccare. L'incontro con la croce, che viene toccata e portata, diventa un incontro interiore con Colui che sulla croce è morto per noi. L'incontro con la Croce suscita nell'intimo dei giovani la memoria di quel Dio che ha voluto farsi uomo e soffrire con noi. E vediamo la donna che Egli ci ha dato come Madre. Le Giornate solenni sono soltanto il culmine di un lungo cammino, col quale si va incontro gli uni agli altri e insieme si va incontro a Cristo. In Australia non per caso la lunga Via Crucis attraverso la città è diventata l'evento culminante di quelle giornate. Essa riassumeva ancora una volta tutto ciò che era accaduto negli anni precedenti ed indicava Colui che riunisce insieme tutti noi: quel Dio che ci ama sino alla Croce. Così anche il Papa non è la star intorno alla quale gira il tutto. Egli è totalmente e solamente Vicario. Rimanda all'Altro che sta in mezzo a noi. Infine la Liturgia solenne è il centro dell'insieme, perché in essa avviene ciò che noi non possiamo realizzare e di cui, tuttavia, siamo sempre in attesa. Lui è presente. Lui entra in mezzo a noi. È squarciato il cielo e questo rende luminosa la terra. È questo che rende lieta e aperta la vita e unisce gli uni con gli altri in una gioia che non è paragonabile con l'estasi di un festival rock. Friedrich Nietzsche ha detto una volta: "L'abilità non sta nell'organizzare una festa, ma nel trovare le persone capaci di trarne gioia". Secondo la Scrittura, la gioia è frutto della Spirito Santo (cfr Gal 5, 22): questo frutto era abbondantemente percepibile nei giorni di Sydney. Come un lungo cammino precede le Giornate Mondiali della Gioventù, così ne deriva anche il camminare successivo. Si formano delle amicizie che incoraggiano ad uno stile di vita diverso e lo sostengono dal di dentro. Le grandi Giornate hanno, non da ultimo, lo scopo di suscitare tali amicizie e di far sorgere in questo modo nel mondo luoghi di vita nella fede, che sono insieme luoghi di speranza e di carità vissuta.
La gioia come frutto dello Spirito Santo – e così siamo giunti al tema centrale di Sydney che, appunto, era lo Spirito Santo. In questa retrospettiva vorrei ancora accennare in maniera riassuntiva all'orientamento implicito in tale tema. Tenendo presente la testimonianza della Scrittura e della Tradizione, si riconoscono facilmente quattro dimensioni del tema "Spirito Santo".
1. C'è innanzitutto l'affermazione che ci viene incontro dall'inizio del racconto della creazione: vi si parla dello Spirito creatore che aleggia sulle acque, crea il mondo e continuamente lo rinnova. La fede nello Spirito creatore è un contenuto essenziale del Credo cristiano. Il dato che la materia porta in sé una struttura matematica, è piena di spirito, è il fondamento sul quale poggiano le moderne scienze della natura. Solo perché la materia è strutturata in modo intelligente, il nostro spirito è in grado di interpretarla e di attivamente rimodellarla. Il fatto che questa struttura intelligente proviene dallo stesso Spirito creatore che ha donato lo spirito anche a noi, comporta insieme un compito e una responsabilità. Nella fede circa la creazione sta il fondamento ultimo della nostra responsabilità verso la terra. Essa non è semplicemente nostra proprietà che possiamo sfruttare secondo i nostri interessi e desideri. È piuttosto dono del Creatore che ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci e con ciò ci ha dato i segnali orientativi a cui attenerci come amministratori della sua creazione. Il fatto che la terra, il cosmo, rispecchino lo Spirito creatore, significa pure che le loro strutture razionali che, al di là dell'ordine matematico, nell'esperimento diventano quasi palpabili, portano in sé anche un orientamento etico. Lo Spirito che li ha plasmati, è più che matematica – è il Bene in persona che, mediante il linguaggio della creazione, ci indica la strada della vita retta.
Poiché la fede nel Creatore è una parte essenziale del Credo cristiano, la Chiesa non può e non deve limitarsi a trasmettere ai suoi fedeli soltanto il messaggio della salvezza. Essa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l'acqua e l'aria come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere anche l'uomo contro la distruzione di se stesso. È necessario che ci sia qualcosa come una ecologia dell'uomo, intesa nel senso giusto. Non è una metafisica superata, se la Chiesa parla della natura dell'essere umano come uomo e donna e chiede che quest'ordine della creazione venga rispettato. Qui si tratta di fatto della fede nel Creatore e dell'ascolto del linguaggio della creazione, il cui disprezzo sarebbe un'autodistruzione dell'uomo e quindi una distruzione dell'opera stessa di Dio. Ciò che spesso viene espresso ed inteso con il termine "gender", si risolve in definitiva nella autoemancipazione dell'uomo dal creato e dal Creatore. L'uomo vuole farsi da solo e disporre sempre ed esclusivamente da solo ciò che lo riguarda. Ma in questo modo vive contro la verità, vive contro lo Spirito creatore. Le foreste tropicali meritano, sì, la nostra protezione, ma non la merita meno l'uomo come creatura, nella quale è iscritto un messaggio che non significa contraddizione della nostra libertà, ma la sua condizione. Grandi teologi della Scolastica hanno qualificato il matrimonio, cioè il legame per tutta la vita tra uomo e donna, come sacramento della creazione, che lo stesso Creatore ha istituito e che Cristo – senza modificare il messaggio della creazione – ha poi accolto nella storia della sua alleanza con gli uomini. Fa parte dell'annuncio che la Chiesa deve recare la testimonianza in favore dello Spirito creatore presente nella natura nel suo insieme e in special modo nella natura dell'uomo, creato ad immagine di Dio. Partendo da questa prospettiva occorrerebbe rileggere l'Enciclica Humanae vitae: l'intenzione di Papa Paolo VI era di difendere l'amore contro la sessualità come consumo, il futuro contro la pretesa esclusiva del presente e la natura dell'uomo contro la sua manipolazione.
2. Solo qualche ulteriore breve accenno circa le altre dimensioni della pneumatologia. Se lo Spirito creatore si manifesta innanzitutto nella grandezza silenziosa dell'universo, nella sua struttura intelligente, la fede, oltre a ciò, ci dice la cosa inaspettata, che cioè questo Spirito parla, per così dire, anche con parole umane, è entrato nella storia e, come forza che plasma la storia, è anche uno Spirito parlante, anzi, è Parola che negli Scritti dell'Antico e del Nuovo Testamento ci viene incontro. Che cosa questo significhi per noi, l'ha espresso meravigliosamente sant'Ambrogio in una sua lettera: "Anche ora, mentre leggo le divine Scritture, Dio passeggia nel Paradiso" (Ep. 49, 3). Leggendo la Scrittura, noi possiamo anche oggi quasi vagare nel giardino del Paradiso ed incontrare Dio che lì passeggia: tra il tema della Giornata Mondiale della Gioventù in Australia e il tema del Sinodo dei Vescovi esiste una profonda connessione interiore. I due temi "Spirito Santo" e " Parola di Dio" vanno insieme. Leggendo la Scrittura apprendiamo però anche che Cristo e lo Spirito Santo sono inseparabili tra loro. Se Paolo con sconcertante sintesi afferma: "Il Signore è lo Spirito" (2 Cor 3, 17), appare non solo, nello sfondo, l'unità trinitaria tra il Figlio e lo Spirito Santo, ma soprattutto la loro unità riguardo alla storia della salvezza: nella passione e risurrezione di Cristo vengono strappati i veli del senso meramente letterale e si rende visibile la presenza del Dio che sta parlando. Leggendo la Scrittura insieme con Cristo, impariamo a sentire nelle parole umane la voce dello Spirito Santo e scopriamo l'unità della Bibbia.
3. Con ciò siamo ormai giunti alla terza dimensione della pneumatologia che consiste, appunto, nella inseparabilità di Cristo e dello Spirito Santo. Nella maniera forse più bella essa si manifesta nel racconto di san Giovanni circa la prima apparizione del Risorto davanti ai discepoli: il Signore alita sui discepoli e dona loro in questo modo lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è il soffio di Cristo. E come il soffio di Dio nel mattino della creazione aveva trasformato la polvere del suolo nell'uomo vivente, così il soffio di Cristo ci accoglie nella comunione ontologica con il Figlio, ci rende nuova creazione. Per questo è lo Spirito Santo che ci fa dire insieme col Figlio: "Abba, Padre!" (cfr Gv 20, 22; Rm 8, 15).
4. Così, come quarta dimensione, emerge spontaneamente la connessione tra Spirito e Chiesa. Paolo, in Prima Corinzi 12 e in Romani 12, ha illustrato la Chiesa come Corpo di Cristo e proprio così come organismo dello Spirito Santo, in cui i doni dello Spirito Santo fondono i singoli in un tutt'uno vivente. Lo Spirito Santo è lo Spirito del Corpo di Cristo. Nell'insieme di questo Corpo troviamo il nostro compito, viviamo gli uni per gli altri e gli uni in dipendenza dagli altri, vivendo in profondità di Colui che ha vissuto e sofferto per tutti noi e che mediante il suo Spirito ci attrae a sé nell'unità di tutti i figli di Dio. "Vuoi anche tu vivere dello Spirito di Cristo? Allora sii nel Corpo di Cristo", dice Agostino a questo proposito (Tr. in Jo. 26, 13).
Così con il tema "Spirito Santo", che orientava le giornate in Australia e, in modo più nascosto, anche le settimane del Sinodo, si rende visibile tutta l'ampiezza della fede cristiana, un'ampiezza che dalla responsabilità per il creato e per l'esistenza dell'uomo in sintonia con la creazione conduce, attraverso i temi della Scrittura e della storia della salvezza, fino a Cristo e da lì alla comunità vivente della Chiesa, nei suoi ordini e responsabilità come anche nella sua vastità e libertà, che si esprime tanto nella molteplicità dei carismi quanto nell'immagine pentecostale della moltitudine delle lingue e delle culture.
Parte integrante della festa è la gioia. La festa si può organizzare, la gioia no. Essa può soltanto essere offerta in dono; e, di fatto, ci è stata donata in abbondanza: per questo siamo riconoscenti. Come Paolo qualifica la gioia frutto dello Spirito Santo, così anche Giovanni nel suo Vangelo ha connesso strettamente lo Spirito e la gioia. Lo Spirito Santo ci dona la gioia. Ed Egli è la gioia. La gioia è il dono nel quale tutti gli altri doni sono riassunti. Essa è l'espressione della felicità, dell'essere in armonia con se stessi, ciò che può derivare solo dall'essere in armonia con Dio e con la sua creazione. Fa parte della natura della gioia l'irradiarsi, il doversi comunicare. Lo spirito missionario della Chiesa non è altro che l'impulso di comunicare la gioia che ci è stata donata. Che essa sia sempre viva in noi e quindi s'irradi sul mondo nelle sue tribolazioni: tale è il mio auspicio alla fine di quest'anno. Insieme con un vivo ringraziamento per tutto il vostro faticare ed operare, auguro a tutti voi che questa gioia derivante da Dio ci venga donata abbondantemente anche nell'Anno Nuovo.
Affido questi voti all'intercessione della Vergine Maria, Mater divinae gratiae, chiedendoLe di poter vivere le Festività natalizie nella letizia e nella pace del Signore. Con questi sentimenti a voi tutti e alla grande famiglia della Curia Romana imparto di cuore la Benedizione Apostolica.
INDIRIZZO DI OMAGGIO DEL DECANO DEL COLLEGIO CARDINALIZIO
Beatissimo Padre,
All'inizio dell'Avvento un bell'inno delle Lodi mattutine ci invitava a sentire una voce chiara che dal cielo ci annunziava: sta per spuntare la luce di Cristo Salvatore!
"Vox clara ecce intonat...
ab aethre Christus promicat ".
Quest'oggi vorrei avere anch'io "una voce chiara" per esprimere a Vostra Santità tutta la gioia della Curia Romana di poter celebrare con Lei la festa del Natale, in quel clima d'amore che promana dalla Nascita del Salvatore.
Appunto per questo, oggi sono qui riuniti intorno a Lei, Beatissimo Padre, i Signori Cardinali e molti altri Suoi Collaboratori, nei Dicasteri di Curia e nel Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, desiderosi di esprimerLe i loro auguri di liete e sante Feste Natalizie e per assicurarLa di tutta la loro devozione. Da lontano si uniscono a noi in ispirito i Rappresentanti Pontifici sparsi per il mondo, per presentarLe anche loro i voti di ogni bene.
In questi momenti di intensa letizia noi sperimentiamo la Sua paternità spirituale, che continua quella che fu propria dell'Apostolo Pietro, costituito da Cristo come "Vicario del suo amore" (In Lucam, X, 175).
L'incontro odierno è poi un'occasione propizia per ringraziarLa per il Suo generoso servizio alla Santa Chiesa. Ogni giorno Ella ci dà un esempio luminoso di zelo apostolico per la diffusione del Regno di Dio nel mondo d'oggi.
"Faccio tutto per il Vangelo" scriveva San Paolo ai fedeli di Corinto (1 Cor 9,23). "Tutto per il Vangelo, Omnia propter Evangelium " può ben essere la sintesi del Suo ministero petrino.
Con profonda attenzione abbiamo ascoltato gli insegnamenti, che ci ha rivolto nei Suoi documenti e nelle Sue omelie, nei discorsi tenuti in Vaticano o nei Paesi da Lei visitati. Particolare eco ha avuto in noi il messaggio rivolto in aprile al popolo americano: "Cristo è la nostra speranza, Christ our hope "! Così pure abbiamo ascoltato l'appello rivolto, nella sede dell'ONU a New York, alla famiglia delle Nazioni perché costruisca il proprio avvenire sulle basi solide dei principi etici e con la necessaria apertura alla solidarietà internazionale.
A Sydney, in Australia, Vostra Santità ha parimenti riempito di speranza il cuore di molti giovani colà convenuti per la XXIII Giornata Mondiale della Gioventù, ricordando loro il motto dell'incontro: "Avrete forza dallo Spirito Santo e mi sarete testimoni" (At 1,8).
Nel mese d'ottobre, infine, l'Assemblea del Sinodo dei Vescovi è stata un'occasione provvidenziale per indicare alla Chiesa orientamenti sicuri per la diffusione nel mondo della Parola di Dio, o, come scriveva S. Paolo ai Tessalonicesi, "ut sermo Dei currat et clarificetur ", perché la Parola di Dio corra rapidamente e sia così glorificata (2 Tess. 3,1).
Come Buon Samaritano sul cammino del mondo, nel corso dell'anno Ella si è poi chinato su tante popolazioni provate dalla povertà, dalla fame, dalle malattie e dalle guerre, insegnandoci la legge suprema dell'amore. Da parte nostra, faremo tesoro in particolare del recente Messaggio per la prossima Giornata della Pace: "Combattere la povertà, costruire la pace".
Santo Padre, continui a guidarci verso l'avvenire con la Sua mano sicura e con il Suo cuore grande!
Buon Natale, Santità, ed un Nuovo Anno benedetto dal Signore!
domenica 21 dicembre 2008
Visita apostolica in Etiopia e a Gibuti del Card. Ivan Dias
Il Card. Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, compirà una visita in Etiopia, dove, come Inviato speciale del Santo Padre Benedetto XVI, domenica 4 maggio concluderà ad Addis Abeba le celebrazioni per il Nuovo Millennio Cristiano in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale. Durante questo viaggio inoltre il Card. Dias visiterà il Vicariato apostolico di Meki e la Diocesi di Gibuti.
Il programma della visita del Card. Dias prevede l’arrivo ad Addis Abeba il 1° maggio. Seguirà l’incontro con il Presidente della Repubblica, Sua Ecc. Ato Girma Woldeghiorghis, e con il Patriarca di Etiopia Sua Santità Abba Paulos. Il primo incontro con i fedeli avverrà nella Cattedrale cattolica di Addis Abeba.
Venerdì 2 maggio il Card. Dias celebrerà la Santa Messa nella Cattedrale di Addis Abeba, cui parteciperanno in particolare le persone consacrate appartenenti a Congregazioni e Istituti di vita apostolica presenti in Etiopia. Nel pomeriggio l’incontro con seminaristi, professori e formatori all’Istituto filosofico e teologico “St. Francis”; la visita alla sede provvisoria dell’Università cattolica di Etiopia “St. Thomas Aquinas” (ECUSTA) e al Centro gestito dalle Missionarie della Carità, ad Asco, per i bambini sieropositivi orfani.
Sabato 3 maggio sarà dedicato alla visita al Vicariato apostolico di Meki: in programma la Santa Messa nella Cattedrale, l’incontro con il Vicario apostolico, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i laici. Il Card. Dias visiterà inoltre alcune istituzioni gestite dalla Chiesa.
Domenica 4 maggio alle ore 9, avrà luogo la Solenne Concelebrazione Eucaristica a chiusura del Congresso Eucaristico Nazionale, nella chiesa parrocchiale “Mary help of Christians” dei Salesiani, a Mekanissa, Addis Abeba. La liturgia, in rito orientale e lingua amarica, sarà presieduta da Sua Ecc. Mons. Berhaneyesus D. Souraphiel, Arcivescovo di Addis Abeba e Presidente dell’Assemblea dei Vescovi di Etiopia. L’Inviato speciale del Santo Padre, il Card. Dias, terrà l’omelia. Nel pomeriggio il Card. Dias incontrerà i Vescovi per uno scambio di vedute sulla situazione, le sfide e i problemi della Chiesa cattolica in Etiopia.
Lunedì 5 maggio sarà dedicato all’incontro con la Chiesa di Gibuti. Il Card. Dias, dopo la visita di cortesia al Presidente della Repubblica, Sua Ecc. Ismail Omar Guelleh, presiederà la Concelebrazione Eucaristica nella Cattedrale di Gibuti, recentemente restaurata, e infine parteciperà al ricevimento in occasione del III anniversario dell’elezione di Benedetto XVI. Martedì 6 maggio il Card. Dias lascerà Gibuti per Addis Abeba, da cui, in serata, farà rientro a Roma.
Il Papa chiede alla Chiesa di essere strumento di riconciliazione in Etiopia ed Eritrea
Visitando il Pontificio Collegio Etiope in Vaticano
CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 17 ottobre 2005 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha lanciato questo lunedì un appello alla Chiesa cattolica in Etiopia ed Eritrea, Paesi del Corno d’Africa che soffrono il flagello della povertà e delle rivalità etniche.
Le parole del Papa, pronunciate in inglese, sono risuonate nel Pontificio Collegio Etiope, l’unico centro di formazione per seminaristi e sacerdoti che si trova all’interno delle mura vaticane.
La visita del Santo Padre al Collegio celebra i suoi 75 anni di fondazione e la conclusione della visita “ad limina Apostolorum” dei Vescovi eritrei ed etiopi.
L’Eritrea (Paese di quattro milioni e mezzo di abitanti) si è resa indipendente dall’Etiopia (che ha più di 73 milioni di abitanti) con un referendum tenutosi nel 1993, dopo trent’anni di guerra. Come segno di riconciliazione, i Vescovi continuano ad avere una sola Conferenza Episcopale, in questi giorni in visita a Roma.
“La testimonianza unitaria che voi date, trascendendo ogni divisione etnica e politica, ha un ruolo fondamentale nel portare sollievo e riconciliazione alla tormentata regione in cui vivete”, ha detto il Papa ai Vescovi, che ha definito “eredi di una tradizione antica e venerabile di testimonianza cristiana”.
“Quando c’è un impegno genuino nel seguire Cristo, ‘la via, la verità e la vita’, le difficoltà e i fraintendimenti di qualunque tipo possono essere superati”, ha aggiunto.
Il Papa ha raccomandato ai suoi fratelli Vescovi africani di essere “autentici insegnanti di fede”, sottolineando che “non ci può essere pace senza giustizia, né giustizia senza perdono”.
Ricordando che in entrambi i Paesi circa la metà della popolazione ha meno di vent’anni, il Papa ha chiesto ai Vescovi di “far tesoro della vitalità e dell’entusiasmo” dei giovani, che hanno bisogno di essere guidati a “scoprire che l’amicizia con Cristo offre loro tutto ciò che stanno cercando”.
“Incoraggiateli ad avventurarsi sul cammino del discepolato ed aiutateli a riconoscere e a rispondere generosamente se Dio li sta chiamando a servirlo nel sacerdozio e nella vita religiosa”, ha detto il Papa, auspicando “che i semi che sono stati piantati continuino a portare frutto in un ricco raccolto di vocazioni locali”.
Benedetto XVI ha quindi chiesto ai presuli di approfondire la devozione personale al “grande mistero” dell’Eucaristia, “con cui Cristo si dona totalmente a noi per nutrirci e trasformarci a sua immagine”.
“I vostri popoli hanno sperimentato carestie, oppressioni e guerre – ha concluso il Papa –. Aiutateli a scoprire nell’Eucaristia l’atto centrale di trasformazione, il solo che può davvero rinnovare il mondo, mutando la violenza in amore, la schiavitù in libertà, la morte in vita”.
In Etiopia, un Paese in cui quasi la metà degli abitanti è musulmana e gli ortodossi etiopi sono tra il 35 e il 40%, i cattolici sono circa 465.000.
In Eritrea, dove i musulmani sono la maggioranza, seguiti dai cristiani copti, i cattolici sono invece 137.000.
CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 17 ottobre 2005 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha lanciato questo lunedì un appello alla Chiesa cattolica in Etiopia ed Eritrea, Paesi del Corno d’Africa che soffrono il flagello della povertà e delle rivalità etniche.
Le parole del Papa, pronunciate in inglese, sono risuonate nel Pontificio Collegio Etiope, l’unico centro di formazione per seminaristi e sacerdoti che si trova all’interno delle mura vaticane.
La visita del Santo Padre al Collegio celebra i suoi 75 anni di fondazione e la conclusione della visita “ad limina Apostolorum” dei Vescovi eritrei ed etiopi.
L’Eritrea (Paese di quattro milioni e mezzo di abitanti) si è resa indipendente dall’Etiopia (che ha più di 73 milioni di abitanti) con un referendum tenutosi nel 1993, dopo trent’anni di guerra. Come segno di riconciliazione, i Vescovi continuano ad avere una sola Conferenza Episcopale, in questi giorni in visita a Roma.
“La testimonianza unitaria che voi date, trascendendo ogni divisione etnica e politica, ha un ruolo fondamentale nel portare sollievo e riconciliazione alla tormentata regione in cui vivete”, ha detto il Papa ai Vescovi, che ha definito “eredi di una tradizione antica e venerabile di testimonianza cristiana”.
“Quando c’è un impegno genuino nel seguire Cristo, ‘la via, la verità e la vita’, le difficoltà e i fraintendimenti di qualunque tipo possono essere superati”, ha aggiunto.
Il Papa ha raccomandato ai suoi fratelli Vescovi africani di essere “autentici insegnanti di fede”, sottolineando che “non ci può essere pace senza giustizia, né giustizia senza perdono”.
Ricordando che in entrambi i Paesi circa la metà della popolazione ha meno di vent’anni, il Papa ha chiesto ai Vescovi di “far tesoro della vitalità e dell’entusiasmo” dei giovani, che hanno bisogno di essere guidati a “scoprire che l’amicizia con Cristo offre loro tutto ciò che stanno cercando”.
“Incoraggiateli ad avventurarsi sul cammino del discepolato ed aiutateli a riconoscere e a rispondere generosamente se Dio li sta chiamando a servirlo nel sacerdozio e nella vita religiosa”, ha detto il Papa, auspicando “che i semi che sono stati piantati continuino a portare frutto in un ricco raccolto di vocazioni locali”.
Benedetto XVI ha quindi chiesto ai presuli di approfondire la devozione personale al “grande mistero” dell’Eucaristia, “con cui Cristo si dona totalmente a noi per nutrirci e trasformarci a sua immagine”.
“I vostri popoli hanno sperimentato carestie, oppressioni e guerre – ha concluso il Papa –. Aiutateli a scoprire nell’Eucaristia l’atto centrale di trasformazione, il solo che può davvero rinnovare il mondo, mutando la violenza in amore, la schiavitù in libertà, la morte in vita”.
In Etiopia, un Paese in cui quasi la metà degli abitanti è musulmana e gli ortodossi etiopi sono tra il 35 e il 40%, i cattolici sono circa 465.000.
In Eritrea, dove i musulmani sono la maggioranza, seguiti dai cristiani copti, i cattolici sono invece 137.000.
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI VESCOVI DELLA CHIESA DI ETIOPIA E DI ERITREA IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»
Signor Cardinale,
Cari Fratelli Vescovi,
1. E' per me motivo di grande gioia dare il benvenuto a voi, Vescovi della Chiesa di Etiopia e di Eritrea, in occasione della vostra visita "ad Limina Apostolorum": "Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo" (Rm 1, 7). L'antica pratica di "venire a consultare Cefa" è una reminiscenza della visita fatta dall'apostolo Paolo a Gerusalemme, per passarvi qualche tempo con Pietro (cfr Gal 1, 18), che il Signore aveva costituito "Roccia" su cui costruire la sua Chiesa. Nell'abbraccio fraterno di Pietro e Paolo la prima comunità cristiana lesse il dovere di trattare i pagani convertiti da Paolo come veri fratelli e sorelle nella fede. Al tempo stesso, nel racconto di Paolo circa l'abbondante effusione di grazia su questi nuovi fratelli, l'intera comunità trovò ragioni sempre più chiare per lodare la infinita misericordia di Dio (cfr At 15, 16ss). In modo analogo questo nostro raccoglierci oggi insieme riafferma la comunione delle vostre Chiese particolari con il Successore di Pietro e con la Chiesa universale. Così raccolti in intima comunione di cuore possiamo unire le nostre voci al canto del salmista: "Verranno i grandi dall'Egitto, l'Etiopia tenderà le mani a Dio. Regni della terra, cantate a Dio, cantate inni al Signore (Sal 68, 32-33).
2. Cari Fratelli nell'Episcopato, ambedue i vostri Paesi in questi ultimi tempi sono stati sottoposti a vasti cambiamenti politici e culturali. Tra i più significativi voglio ricordare lo sviluppo di forme democratiche di governo e l'impegno di favorire la crescita economica ed il progresso tecnologico nelle vostre società tradizionali. Condivido con voi la preoccupazione pastorale per lo sviluppo pacifico dei vostri popoli, non solo in termini di progresso materiale, ma soprattutto in rapporto alla genuina libertà politica, all'armonia etnica e al rispetto per i diritti di tutti i cittadini, con particolare attenzione alle situazioni delle minoranze ed alle necessità dei poveri. La questione che vi sta davanti in questo momento, alla luce della situazione che prendete in considerazione nella vostra Lettera pastorale Thy Kingdom Come, pubblicata all'inizio di quest'anno, può essere così formulata: come può il Vangelo essere incarnato nelle circostanze attuali? Come possono la Chiesa ed i singoli cristiani affrontare al meglio i decisivi problemi che incontrano, se vogliono costruire un futuro migliore per se stessi?
Una risposta a queste domande può essere trovata negli stessi obiettivi che, come Pastori delle Chiese locali di Etiopia e di Eritrea, vi siete proposti: trasformare l'umanità dal di dentro, rinnovare l'innocenza del cuore dell'uomo e, come raccomandato dalla Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi, costruire la Chiesa come famiglia (cfr Thy Kingdom come, Lettera Pastorale dei Vescovi cattolici di Etiopia e di Eritrea, 6). Proprio quest'ultimo impegno offre una chiave importante per la realizzazione dei primi due, infatti, come i Padri sinodali riconoscono, la Chiesa come famiglia di Dio è "una espressione della natura della Chiesa particolarmente adatta per l'Africa. L'immagine pone, in effetti, l'accento sulla premura per l'altro, sulla solidarietà, sul calore delle relazioni, sull'accoglienza, il dialogo e la fiducia" (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 63). In effetti, quando l'evangelizzazione riesce a costruire la Chiesa come famiglia, si rende possibile un'autentica armonia tra differenti gruppi etnici, è evitato l'etnocentrismo e la riconciliazione viene incoraggiata, una più grande solidarietà e la condivisione delle risorse tra il popolo e tra le Chiese particolari diventano una realtà.
3. L'Esortazione apostolica post-Sinodale Ecclesia in Africa, che costituisce una sorta di piano pastorale generale per il vostro continente, sottolinea l'importanza di coinvolgere effettivamente i laici nella vita della parrocchia e della diocesi, nella pastorale e nelle strutture amministrative (cfr n. 90). Infatti, i laici "in virtù della loro condizione battesimale e della loro specifica vocazione, nella misura a ciascuno propria, partecipano all'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo" (Christifideles Laici, n. 23). E' necessario quindi assicurare ai laici un'adeguata formazione, che li metta in grado di rispondere efficacemente alle enormi sfide a cui sono posti dinanzi come seguaci di Cristo e come cittadini di paesi che lottano per lo sviluppo.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica è uno strumento molto prezioso per questa formazione ed evangelizzazione in generale. Ora che possedete la sua traduzione in Amarico, e mentre state lavorando alla traduzione in Tigrino, vi incoraggio a far sì che il numero più grande possibile di persone possa avvicinarsi al testo: occorre favorire una sufficiente disponibilità di copie specialmente per le piccole comunità cristiane, che tanto contribuiscono al rafforzamento della vita ecclesiale. I Padri Sinodali hanno riconosciuto che "la Chiesa come famiglia potrà dare la sua piena misura di Chiesa solo ramificandosi in comunità sufficientemente piccole per permettere strette relazioni umane" (Ecclesia in Africa, 89). Nella tradizione etiopica, le associazioni "Mehaber" sono un'espressione molto valida di queste comunità e, come voi stessi riconoscete nella vostra Lettera pastorale, il valore ed il dinamismo di questi gruppi "può avere una influenza molto positiva nella evangelizzazione di ( . . .) famiglie, villaggi e comunità parrocchiali" (Thy Kingdom Come, 32)
4. Nel contesto di un'apertura alle sfide del futuro, l'attenzione ai giovani rimane di primaria importanza e deve continuare ad occupare un posto preminente nel vostro ministero pastorale. "Il futuro del mondo e della Chiesa appartiene alle giovani generazioni ( . . .) Cristo aspetta grandi cose dai giovani" (cfr Tertio Millennio Adveniente, n 58). La recente celebrazione della XII Giornata Mondiale della Gioventù in Parigi è stata una chiara conferma della capacità dei giovani di impegnare le proprie energie ed il proprio entusiasmo in funzione delle esigenze della solidarietà con gli altri non meno che della ricerca di un'autentica santità cristiana. L'intera comunità cattolica deve darsi da fare per assicurare che le giovani generazioni siano efficacemente allenate ed adeguatamente preparate ad adempiere le responsabilità che un giorno graveranno su di loro e che in qualche misura fin d'ora già sono loro proprie. Tutto questo voi state facendo attraverso un forte impegno per la formazione dei giovani, in particolare mediante il notevole sforzo a cui vi sottoponete nelle vostre scuole cattoliche, ed in altre forme di servizio sociale e di assistenza sanitaria. So che il sostegno alle scuole richiede da parte vostra un grande sacrificio. Ma è compito che si rivela essenziale per la vita della Chiesa e che assicura un capitale vantaggio sia per le famiglie che per la società stessa. E' pure importante continuare a cercare modi adeguati per recare il beneficio di una sana morale e dell'insegnamento religioso alle scuole pubbliche, come già si fa in Eritrea, promuovendo nell'opinione pubblica il consenso sull'importanza di tale formazione. Questo servizio, che può venire da una più stretta cooperazione con i rispettivi governi, è una forma significativa di attiva partecipazione cattolica alla vita sociale dei vostri paesi, specialmente perché è offerta senza discriminazione religiosa od etnica e nel rispetto dei diritti di tutti.
In effetti l'universalità, che è una nota essenziale della Chiesa (cfr Il Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 811 e 830ss.) e che spinge verso una condivisione di beni, sia materiali che spirituali, è anche una condizione di efficacia del vostro ministero. L'universalità e la condivisione si manifestano molto chiaramente nello scambio di personale religioso: sacerdoti e religiosi etiopi ed eritrei che prestano servizio pastorale ai loro fratelli e sorelle in terre straniere, e sacerdoti e religiosi di paesi stranieri che offrono i loro talenti e la loro solidarietà all'Etiopia e all'Eritrea sintonizzandosi con una Chiesa che è giustamente orgogliosa delle sue antiche tradizioni e della sua cultura. Le Costituzioni di ambedue i paesi riconoscono il diritto fondamentale alla libertà di religione ed alla pratica religiosa. Confido che un ulteriore dialogo con le autorità civili per chiarire le basi giuridiche della presenza e dell'attività della Chiesa arrecherà grande beneficio ad ognuno, ed oso sperare che la cooperazione dei missionari, che contribuiscono così efficacemente al benessere ed all'avanzamento dei vostri popoli, sarà così facilitata.
5. Le comunità cattoliche, di cui voi siete pastori, vivono fianco a fianco ed in stretta relazione con i fratelli e le sorelle, che sono maggioranza, della Comunità Ortodossa Etiopica. Entrambe le comunità condividono radici comuni ed una comune spiritualità che deriva dalla antichissima e ricca tradizione cristiana presente nelle vostre terre. La prospettiva dell'anniversario del secondo millennio della Nascita del Salvatore deve costituire un invito per tutti a fare della riflessione su tale comune patrimonio cristiano, che è per se stesso sorgente di rispetto e di comprensione reciproca, l'occasione per un più esteso dialogo e una più ampia cooperazione. Come fratelli e sorelle che aderiscono ad un unico Signore, dovete costantemente cercare di costruire fra voi comunione per offrire una concorde testimonianza al mistero di Cristo e della sua Chiesa. Una saggia ed ordinata inculturazione della liturgia "dovrà essere perseguita . . . affinché il popolo fedele possa meglio comprendere e vivere le celebrazioni liturgiche" (Ecclesia in Africa, 64). Dovranno inoltre continuare gli sforzi per acquisire una più profonda comprensione della storia e dello sviluppo del rito Alessandrino, così che la comune tradizione cristiana della regione possa contribuire al cammino verso l'unità, sia all'interno della Comunità cattolica che con le altre Chiese.
Allo stesso tempo, l'aspetto missionario della Chiesa, che non è una questione di rito ma è direttamente radicata nel Vangelo, dovrà essere rinnovato sotto la spinta che proviene dal desiderio di annunciare Cristo a coloro che ancora non credono in lui. Il dovere di evangelizzare è parte integrante della identità cattolica e non deve essere compromesso da un'incompleta comprensione dell'inculturazione o dell'ecumenismo. Il Sinodo riconosce l'urgenza di portare la Buona Novella a milioni di Africani che non sono stati ancora evangelizzati. La Chiesa certamente rispetta e stima le Religioni non cristiane professate da molti Africani, ma, secondo quanto diceva il mio Predecessore il Papa Paolo VI, "la Chiesa pensa che queste moltitudini hanno il diritto di conoscere la ricchezza del mistero di Cristo (cfr Ef 3, 8), nella quale noi crediamo che tutta l'umanità può trovare, in una pienezza insospettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni su Dio, sull'uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità" (Evangelii Nuntiandi, 53).
6. Poiché le vostre Chiese locali cercano di adempiere il mandato missionario dato loro dal Signore stesso (cfr Mt 28, 19), non possiamo far a meno di ringraziare per le molte vocazioni con cui siete benedetti. Vi esorto ad assicurare che i vostri programmi vocazionali promuovano e proteggano con sollecitudine questo dono di Dio. I giovani candidati dovranno ricevere una formazione spirituale e teologica appropriata che li radichi saldamente nella tradizione spirituale etiopica e li prepari ad affrontare i complessi problemi pastorali, sociali, ed etici che la modernizzazione della società presenta. Vi incoraggio a continuare nel vostro sforzo di assicurare personale qualificato al gruppo degli educatori dei tre Seminari maggiori. In tal modo questi diventeranno autentici centri di studio e di ricerca teologica, capaci di illuminare la missione pastorale ed evangelizzatrice della Chiesa in ambedue i paesi. Anche le comunità di religiosi e religiose hanno dato vita nella vostra terra a corsi sistematici di formazione. Essi guardano a voi, Pastori del gregge che Cristo vi ha affidato, per avere appoggio e guida, perché anche i religiosi sono oggetto della vostra cura e preoccupazione pastorale (cfr Lumen Gentium 45; Christus Dominus, 15, 35).
Sapete bene che tra i molti doveri del ministero episcopale, la formazione permanente - umana, spirituale ed intellettuale - dei sacerdoti è uno dei compiti principali. Per realizzare la loro sublime missione di maestri e dottori dell'animo umano, i vostri preti hanno bisogno del vostro sostegno paterno e fraterno (cfr Christus Dominus, 16); hanno bisogno di contare sulla amicizia vostra e dei loro fratelli sacerdoti (cfr Lumen Gentium 28). Quanto più essi apprezzeranno il privilegio unico di agire in persona Christi, tanto maggiormente si dedicheranno completamente al ministero in castità e semplicità di vita, ed il lavoro pastorale sarà per loro una sorgente inesauribile di gioia e di pace.
7. Rilevo con piacere che la vostra Conferenza Episcopale, mossa dalla raccomandazione della speciale Assemblea del Sinodo dei Vescovi per l'Africa, ha istituito la Commissione Giustizia e Pace per trattare le questioni fondamentali concernenti lo sviluppo delle vostre democrazie, compresi i diritti umani, l'onestà nella pubblica amministrazione e il ruolo delle donne nella società. Certamente la Chiesa ha un compito speciale da svolgere in questo campo e può offrire un aiuto nel processo di costruzione di una società in cui tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza etnica, culturale e religiosa, possano sentirsi a proprio agio ed essere trattati giustamente. Per questo la Chiesa in Etiopia ed in Eritrea è chiamata a mostrare coraggio e lungimirante sapienza nel portare avanti una grande missione, una missione che sgorga dalla sua stessa natura di sacramento dell'unione con Dio e dell'unità tra tutti i membri della famiglia umana (cfr Lumen Gentium, 1). La ricerca della pace e dell'armonia dovrà anche essere perseguita dentro la Chiesa, dove le differenze non siano viste come ragione di conflitto e di tensione, ma come fonte di forza e di unità nella legittima diversità. Armonia e cooperazione generosa tra i fedeli, specialmente tra i sacerdoti e tra voi, Vescovi, sarà un potente incentivo per promuovere la buona volontà e la solidarietà nella società nel suo insieme. "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli . . ." (Mt 5, 16).
8. Cari Fratelli, questi sono alcuni dei pensieri che la vostra visita alle Tombe degli Apostoli Pietro e Paolo ha suggerito alla mia mente. Prego affinché il vostro pellegrinaggio vi rafforzi nel vostro ministero, così che possiate non sentirvi mai stanchi di predicare la Parola di Dio, di celebrare i sacramenti, di pascere il gregge affidato alle vostre cure e di cercare la pecora smarrita. Vi invito a volgere risolutamente il vostro sguardo verso il Grande Giubileo che, a causa del sublime Mistero che commemora, costituisce uno squillante richiamo alla gioia cristiana (cfr Ecclesia in Africa, 142). Possa questa gioia, frutto del rafforzamento della fede e della santità di vita, diventare realtà per i vostri popoli. Mi unisco a voi nella preghiera per la Chiesa in Etiopia ed in Eritrea, e affido voi, il vostro clero, i religiosi ed i laici alla amorevole protezione di Maria, Stella dell'Evangelizzazione e Regina dell'Africa.
Come pegno di grazia e di comunione con il suo Figlio Divino imparto a voi di cuore una speciale Benedizione Apostolica.
Cari Fratelli Vescovi,
1. E' per me motivo di grande gioia dare il benvenuto a voi, Vescovi della Chiesa di Etiopia e di Eritrea, in occasione della vostra visita "ad Limina Apostolorum": "Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo" (Rm 1, 7). L'antica pratica di "venire a consultare Cefa" è una reminiscenza della visita fatta dall'apostolo Paolo a Gerusalemme, per passarvi qualche tempo con Pietro (cfr Gal 1, 18), che il Signore aveva costituito "Roccia" su cui costruire la sua Chiesa. Nell'abbraccio fraterno di Pietro e Paolo la prima comunità cristiana lesse il dovere di trattare i pagani convertiti da Paolo come veri fratelli e sorelle nella fede. Al tempo stesso, nel racconto di Paolo circa l'abbondante effusione di grazia su questi nuovi fratelli, l'intera comunità trovò ragioni sempre più chiare per lodare la infinita misericordia di Dio (cfr At 15, 16ss). In modo analogo questo nostro raccoglierci oggi insieme riafferma la comunione delle vostre Chiese particolari con il Successore di Pietro e con la Chiesa universale. Così raccolti in intima comunione di cuore possiamo unire le nostre voci al canto del salmista: "Verranno i grandi dall'Egitto, l'Etiopia tenderà le mani a Dio. Regni della terra, cantate a Dio, cantate inni al Signore (Sal 68, 32-33).
2. Cari Fratelli nell'Episcopato, ambedue i vostri Paesi in questi ultimi tempi sono stati sottoposti a vasti cambiamenti politici e culturali. Tra i più significativi voglio ricordare lo sviluppo di forme democratiche di governo e l'impegno di favorire la crescita economica ed il progresso tecnologico nelle vostre società tradizionali. Condivido con voi la preoccupazione pastorale per lo sviluppo pacifico dei vostri popoli, non solo in termini di progresso materiale, ma soprattutto in rapporto alla genuina libertà politica, all'armonia etnica e al rispetto per i diritti di tutti i cittadini, con particolare attenzione alle situazioni delle minoranze ed alle necessità dei poveri. La questione che vi sta davanti in questo momento, alla luce della situazione che prendete in considerazione nella vostra Lettera pastorale Thy Kingdom Come, pubblicata all'inizio di quest'anno, può essere così formulata: come può il Vangelo essere incarnato nelle circostanze attuali? Come possono la Chiesa ed i singoli cristiani affrontare al meglio i decisivi problemi che incontrano, se vogliono costruire un futuro migliore per se stessi?
Una risposta a queste domande può essere trovata negli stessi obiettivi che, come Pastori delle Chiese locali di Etiopia e di Eritrea, vi siete proposti: trasformare l'umanità dal di dentro, rinnovare l'innocenza del cuore dell'uomo e, come raccomandato dalla Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi, costruire la Chiesa come famiglia (cfr Thy Kingdom come, Lettera Pastorale dei Vescovi cattolici di Etiopia e di Eritrea, 6). Proprio quest'ultimo impegno offre una chiave importante per la realizzazione dei primi due, infatti, come i Padri sinodali riconoscono, la Chiesa come famiglia di Dio è "una espressione della natura della Chiesa particolarmente adatta per l'Africa. L'immagine pone, in effetti, l'accento sulla premura per l'altro, sulla solidarietà, sul calore delle relazioni, sull'accoglienza, il dialogo e la fiducia" (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 63). In effetti, quando l'evangelizzazione riesce a costruire la Chiesa come famiglia, si rende possibile un'autentica armonia tra differenti gruppi etnici, è evitato l'etnocentrismo e la riconciliazione viene incoraggiata, una più grande solidarietà e la condivisione delle risorse tra il popolo e tra le Chiese particolari diventano una realtà.
3. L'Esortazione apostolica post-Sinodale Ecclesia in Africa, che costituisce una sorta di piano pastorale generale per il vostro continente, sottolinea l'importanza di coinvolgere effettivamente i laici nella vita della parrocchia e della diocesi, nella pastorale e nelle strutture amministrative (cfr n. 90). Infatti, i laici "in virtù della loro condizione battesimale e della loro specifica vocazione, nella misura a ciascuno propria, partecipano all'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo" (Christifideles Laici, n. 23). E' necessario quindi assicurare ai laici un'adeguata formazione, che li metta in grado di rispondere efficacemente alle enormi sfide a cui sono posti dinanzi come seguaci di Cristo e come cittadini di paesi che lottano per lo sviluppo.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica è uno strumento molto prezioso per questa formazione ed evangelizzazione in generale. Ora che possedete la sua traduzione in Amarico, e mentre state lavorando alla traduzione in Tigrino, vi incoraggio a far sì che il numero più grande possibile di persone possa avvicinarsi al testo: occorre favorire una sufficiente disponibilità di copie specialmente per le piccole comunità cristiane, che tanto contribuiscono al rafforzamento della vita ecclesiale. I Padri Sinodali hanno riconosciuto che "la Chiesa come famiglia potrà dare la sua piena misura di Chiesa solo ramificandosi in comunità sufficientemente piccole per permettere strette relazioni umane" (Ecclesia in Africa, 89). Nella tradizione etiopica, le associazioni "Mehaber" sono un'espressione molto valida di queste comunità e, come voi stessi riconoscete nella vostra Lettera pastorale, il valore ed il dinamismo di questi gruppi "può avere una influenza molto positiva nella evangelizzazione di ( . . .) famiglie, villaggi e comunità parrocchiali" (Thy Kingdom Come, 32)
4. Nel contesto di un'apertura alle sfide del futuro, l'attenzione ai giovani rimane di primaria importanza e deve continuare ad occupare un posto preminente nel vostro ministero pastorale. "Il futuro del mondo e della Chiesa appartiene alle giovani generazioni ( . . .) Cristo aspetta grandi cose dai giovani" (cfr Tertio Millennio Adveniente, n 58). La recente celebrazione della XII Giornata Mondiale della Gioventù in Parigi è stata una chiara conferma della capacità dei giovani di impegnare le proprie energie ed il proprio entusiasmo in funzione delle esigenze della solidarietà con gli altri non meno che della ricerca di un'autentica santità cristiana. L'intera comunità cattolica deve darsi da fare per assicurare che le giovani generazioni siano efficacemente allenate ed adeguatamente preparate ad adempiere le responsabilità che un giorno graveranno su di loro e che in qualche misura fin d'ora già sono loro proprie. Tutto questo voi state facendo attraverso un forte impegno per la formazione dei giovani, in particolare mediante il notevole sforzo a cui vi sottoponete nelle vostre scuole cattoliche, ed in altre forme di servizio sociale e di assistenza sanitaria. So che il sostegno alle scuole richiede da parte vostra un grande sacrificio. Ma è compito che si rivela essenziale per la vita della Chiesa e che assicura un capitale vantaggio sia per le famiglie che per la società stessa. E' pure importante continuare a cercare modi adeguati per recare il beneficio di una sana morale e dell'insegnamento religioso alle scuole pubbliche, come già si fa in Eritrea, promuovendo nell'opinione pubblica il consenso sull'importanza di tale formazione. Questo servizio, che può venire da una più stretta cooperazione con i rispettivi governi, è una forma significativa di attiva partecipazione cattolica alla vita sociale dei vostri paesi, specialmente perché è offerta senza discriminazione religiosa od etnica e nel rispetto dei diritti di tutti.
In effetti l'universalità, che è una nota essenziale della Chiesa (cfr Il Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 811 e 830ss.) e che spinge verso una condivisione di beni, sia materiali che spirituali, è anche una condizione di efficacia del vostro ministero. L'universalità e la condivisione si manifestano molto chiaramente nello scambio di personale religioso: sacerdoti e religiosi etiopi ed eritrei che prestano servizio pastorale ai loro fratelli e sorelle in terre straniere, e sacerdoti e religiosi di paesi stranieri che offrono i loro talenti e la loro solidarietà all'Etiopia e all'Eritrea sintonizzandosi con una Chiesa che è giustamente orgogliosa delle sue antiche tradizioni e della sua cultura. Le Costituzioni di ambedue i paesi riconoscono il diritto fondamentale alla libertà di religione ed alla pratica religiosa. Confido che un ulteriore dialogo con le autorità civili per chiarire le basi giuridiche della presenza e dell'attività della Chiesa arrecherà grande beneficio ad ognuno, ed oso sperare che la cooperazione dei missionari, che contribuiscono così efficacemente al benessere ed all'avanzamento dei vostri popoli, sarà così facilitata.
5. Le comunità cattoliche, di cui voi siete pastori, vivono fianco a fianco ed in stretta relazione con i fratelli e le sorelle, che sono maggioranza, della Comunità Ortodossa Etiopica. Entrambe le comunità condividono radici comuni ed una comune spiritualità che deriva dalla antichissima e ricca tradizione cristiana presente nelle vostre terre. La prospettiva dell'anniversario del secondo millennio della Nascita del Salvatore deve costituire un invito per tutti a fare della riflessione su tale comune patrimonio cristiano, che è per se stesso sorgente di rispetto e di comprensione reciproca, l'occasione per un più esteso dialogo e una più ampia cooperazione. Come fratelli e sorelle che aderiscono ad un unico Signore, dovete costantemente cercare di costruire fra voi comunione per offrire una concorde testimonianza al mistero di Cristo e della sua Chiesa. Una saggia ed ordinata inculturazione della liturgia "dovrà essere perseguita . . . affinché il popolo fedele possa meglio comprendere e vivere le celebrazioni liturgiche" (Ecclesia in Africa, 64). Dovranno inoltre continuare gli sforzi per acquisire una più profonda comprensione della storia e dello sviluppo del rito Alessandrino, così che la comune tradizione cristiana della regione possa contribuire al cammino verso l'unità, sia all'interno della Comunità cattolica che con le altre Chiese.
Allo stesso tempo, l'aspetto missionario della Chiesa, che non è una questione di rito ma è direttamente radicata nel Vangelo, dovrà essere rinnovato sotto la spinta che proviene dal desiderio di annunciare Cristo a coloro che ancora non credono in lui. Il dovere di evangelizzare è parte integrante della identità cattolica e non deve essere compromesso da un'incompleta comprensione dell'inculturazione o dell'ecumenismo. Il Sinodo riconosce l'urgenza di portare la Buona Novella a milioni di Africani che non sono stati ancora evangelizzati. La Chiesa certamente rispetta e stima le Religioni non cristiane professate da molti Africani, ma, secondo quanto diceva il mio Predecessore il Papa Paolo VI, "la Chiesa pensa che queste moltitudini hanno il diritto di conoscere la ricchezza del mistero di Cristo (cfr Ef 3, 8), nella quale noi crediamo che tutta l'umanità può trovare, in una pienezza insospettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni su Dio, sull'uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità" (Evangelii Nuntiandi, 53).
6. Poiché le vostre Chiese locali cercano di adempiere il mandato missionario dato loro dal Signore stesso (cfr Mt 28, 19), non possiamo far a meno di ringraziare per le molte vocazioni con cui siete benedetti. Vi esorto ad assicurare che i vostri programmi vocazionali promuovano e proteggano con sollecitudine questo dono di Dio. I giovani candidati dovranno ricevere una formazione spirituale e teologica appropriata che li radichi saldamente nella tradizione spirituale etiopica e li prepari ad affrontare i complessi problemi pastorali, sociali, ed etici che la modernizzazione della società presenta. Vi incoraggio a continuare nel vostro sforzo di assicurare personale qualificato al gruppo degli educatori dei tre Seminari maggiori. In tal modo questi diventeranno autentici centri di studio e di ricerca teologica, capaci di illuminare la missione pastorale ed evangelizzatrice della Chiesa in ambedue i paesi. Anche le comunità di religiosi e religiose hanno dato vita nella vostra terra a corsi sistematici di formazione. Essi guardano a voi, Pastori del gregge che Cristo vi ha affidato, per avere appoggio e guida, perché anche i religiosi sono oggetto della vostra cura e preoccupazione pastorale (cfr Lumen Gentium 45; Christus Dominus, 15, 35).
Sapete bene che tra i molti doveri del ministero episcopale, la formazione permanente - umana, spirituale ed intellettuale - dei sacerdoti è uno dei compiti principali. Per realizzare la loro sublime missione di maestri e dottori dell'animo umano, i vostri preti hanno bisogno del vostro sostegno paterno e fraterno (cfr Christus Dominus, 16); hanno bisogno di contare sulla amicizia vostra e dei loro fratelli sacerdoti (cfr Lumen Gentium 28). Quanto più essi apprezzeranno il privilegio unico di agire in persona Christi, tanto maggiormente si dedicheranno completamente al ministero in castità e semplicità di vita, ed il lavoro pastorale sarà per loro una sorgente inesauribile di gioia e di pace.
7. Rilevo con piacere che la vostra Conferenza Episcopale, mossa dalla raccomandazione della speciale Assemblea del Sinodo dei Vescovi per l'Africa, ha istituito la Commissione Giustizia e Pace per trattare le questioni fondamentali concernenti lo sviluppo delle vostre democrazie, compresi i diritti umani, l'onestà nella pubblica amministrazione e il ruolo delle donne nella società. Certamente la Chiesa ha un compito speciale da svolgere in questo campo e può offrire un aiuto nel processo di costruzione di una società in cui tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza etnica, culturale e religiosa, possano sentirsi a proprio agio ed essere trattati giustamente. Per questo la Chiesa in Etiopia ed in Eritrea è chiamata a mostrare coraggio e lungimirante sapienza nel portare avanti una grande missione, una missione che sgorga dalla sua stessa natura di sacramento dell'unione con Dio e dell'unità tra tutti i membri della famiglia umana (cfr Lumen Gentium, 1). La ricerca della pace e dell'armonia dovrà anche essere perseguita dentro la Chiesa, dove le differenze non siano viste come ragione di conflitto e di tensione, ma come fonte di forza e di unità nella legittima diversità. Armonia e cooperazione generosa tra i fedeli, specialmente tra i sacerdoti e tra voi, Vescovi, sarà un potente incentivo per promuovere la buona volontà e la solidarietà nella società nel suo insieme. "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli . . ." (Mt 5, 16).
8. Cari Fratelli, questi sono alcuni dei pensieri che la vostra visita alle Tombe degli Apostoli Pietro e Paolo ha suggerito alla mia mente. Prego affinché il vostro pellegrinaggio vi rafforzi nel vostro ministero, così che possiate non sentirvi mai stanchi di predicare la Parola di Dio, di celebrare i sacramenti, di pascere il gregge affidato alle vostre cure e di cercare la pecora smarrita. Vi invito a volgere risolutamente il vostro sguardo verso il Grande Giubileo che, a causa del sublime Mistero che commemora, costituisce uno squillante richiamo alla gioia cristiana (cfr Ecclesia in Africa, 142). Possa questa gioia, frutto del rafforzamento della fede e della santità di vita, diventare realtà per i vostri popoli. Mi unisco a voi nella preghiera per la Chiesa in Etiopia ed in Eritrea, e affido voi, il vostro clero, i religiosi ed i laici alla amorevole protezione di Maria, Stella dell'Evangelizzazione e Regina dell'Africa.
Come pegno di grazia e di comunione con il suo Figlio Divino imparto a voi di cuore una speciale Benedizione Apostolica.
sabato 20 dicembre 2008
lunedì 15 dicembre 2008
Visita del Card. Ignace Mousa I Daoud in Eritrea ed Etiopia
Dal 14 al 21 gennaio 2003 il Patriarca Cardinale Ignace Moussa Daoud, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, si è recato in Eritrea ed Etiopia, su invito di Mons. Berhaneyesus Souraphiel, Arcivescovo di Addis Abeba e Presidente della Assemblea dei gerarchi della Chiesa di rito alessandrino di Etiopia ed Eritrea. I Vescovi avevano indicato come occasione propizia per un incontro con la loro Chiesa la festa del Battesimo di Gesù. E' l'epifania del rito alessandrino, chiamata "Timket", solennità inferiore solo alla Pasqua, celebrata domenica 19 gennaio. Altre ragioni di carattere umanitario e pastorale hanno motivato la visita di Sua Beatitudine per l'inizio di quest'anno: una grave e perdurante siccità affligge, infatti, le due nazioni, costringendo vaste componenti della popolazione, e soprattutto l'infanzia, a condizioni di vita insostenibili, e impegnando la Chiesa cattolica in uno sforzo di assistenza di forte portata. La presenza del Cardinale Daoud è stata accolta con profonda gratitudine proprio come segno della sollecitudine del Santo Padre Giovanni Paolo II per le vittime della carestia, per i loro pastori, per i missionari religiosi e laici generosamente impegnati al loro fianco. La Congregazione per le Chiese Orientali ha erogato un primo aiuto alle cinque eparchie, ai singoli vescovi, a parrocchie ed istituzioni, ma è desiderosa di suscitare ovunque la possibile attenzione di carità per i tanti poveri di questa parte del continente africano. Ed è ben disponibile, unitamente alla Nunziatura Apostolica di Addis Abeba, ad offrire informazioni e a collaborare per far giungere in Etiopia ed Eritrea gli aiuti tanto necessari e attesi. Durante la visita si sono susseguiti gli appelli delle autorità civili, e di quelle ecclesiastiche cattoliche ed ortodosse, perché il sostegno della Chiesa e della Comunità internazionale consentano di affrontare efficacemente la delicata situazione di emergenza.
Eritrea
La visita del Cardinale Prefetto ha avuto inizio da Asmara, capitale della Eritrea, dove è giunto nella notte di martedì 14 gennaio. Accolto dal Nunzio Apostolico, Mons. Silvano Tomasi, dal Vescovo Eparchiale della città, Mons. Menghesteab Tesfamariam, dal Vescovo emerito Mons. Zekarias Yohannes, dal Vescovo eletto di Keren, Mons. Kidane Yebio, e da un gruppo di sacerdoti, è stato ospitato presso il Seminario Intereparchiale. Mercoledì 15 gennaio, dopo il cordiale incontro con i seminaristi maggiori delle tre eparchie eritree, si è recato a Barentù. A riceverlo era il Vescovo Mons. Thomas Osman, con il Vescovo emerito Mons. Luca Milesi, sacerdoti, religiosi e una rappresentanza laicale. Presso la prima Chiesa cattolica della cittadina, edificata nel 1923 dai frati cappuccini, ha avuto luogo la riunione di preghiera con un folto gruppo di fedeli. Soprattutto i numerosi giovani hanno accolto festosamente il Prefetto ed hanno animato l'incontro con canti e danze tipiche della tradizione locale. Il Vescovo Thomas ha presentato l'eparchia: "il piccolo seme gettato dai cappuccini nel lontano 1912 è diventato un albero frondoso", grazie alla loro generosa presenza, che continua tuttora in diverse parti delle due nazioni accanto a quella di altri benemeriti istituti religiosi. L'eparchia è stata eretta nel 1995; è in piena espansione e impegnata nel rilancio della evangelizzazione, nella catechesi, nella formazione liturgica e vocazionale, nella promozione umana e sociale con asili, scuole, centri professionali, cliniche. La prima visita di un Cardinale Prefetto alla comunità di Barentù è continuata con gli operatori pastorali ecclesiastici e laici presso il centro eparchiale, edificato da Mons. Milesi e ora in fase di ampliamento, accanto al luogo dove sta sorgendo la cattedrale, opera tanto necessaria e appena avviata. In serata l'arrivo a Keren, comunità eparchiale nata anch'essa nel 1995, provata dalla prematura morte del primo vescovo Mons. Tesfamariam Bedho e in attesa della ordinazione del nuovo pastore, Mons. Kidane Yebio. L'accoglienza e la preghiera con Sua Beatitudine hanno avuto luogo nella cattedrale dedicata a San Michele, piuttosto angusta e insufficiente. Ha fatto seguito l'incontro con i sacerdoti, i religiosi e religiose, i seminaristi e i collaboratori laici. Nelle parole del giovane vescovo eletto l'affetto e la devozione per il Santo Padre, la gioia di tutti per la presenza del Prefetto, l'apprensione per l'impegnativa eredità lasciata dal predecessore Mons. Bedho, con i tanti problemi pastorali e sociali, insieme a tanta speranza e fiducia. Giovedì 16 gennaio, alle prime ore dell'alba, la divina liturgia in rito ge'ez (o etiopico classico, usato attualmente solo nella liturgia); poi la visita al Seminario minore, al Centro eparchiale in avanzata fase di edificazione, e all'area dove sorgerà la nuova cattedrale. Una breve preghiera al Santuario di "Our Lady of Baobab" e l'incontro con la comunità cistercense che cura la vita spirituale del luogo di culto mariano hanno concluso la visita. Il santuario è originalissimo e meta di "pellegrinaggi ecumenici e interreligiosi": lo spazio devozionale è stato ricavato all'interno del tronco di un maestoso baobab. A fine mattina il Cardinale Daoud è giunto ad Asmara. Presso la bella ed ampia Cattedrale ha avuto luogo l'incontro di saluto e preghiera, molto festoso, con la comunità. Erano presenti il vescovo eparchiale e il vescovo emerito, con rappresentanze di tutte le componenti ecclesiali e numerosi fedeli. Nel pomeriggio, accompagnato dal vescovo Mons. Menghesteab e dal Nunzio Apostolico, Sua Beatitudine ha compiuto una visita al Ministro per il Lavoro e le Emergenze Sociali. Nell'incontro molto cordiale il Ministro ha espresso alla Santa Sede e al Cardinale la gratitudine del Presidente della Repubblica eritrea (assente dalla Capitale in quella giornata), ed ha avuto parole di sentito elogio per l'opera di pace e di solidarietà del Papa a favore della comunità internazionale, e particolarmente dell'Africa. Ha fatto seguito l'incontro con Sua Santità Yacoub. Il nuovo Patriarca della Chiesa ortodossa di Eritrea, con alcuni Vescovi, ha accolto molto fraternamente il Cardinale e gli accompagnatori, ed ha avuto espressioni di particolare stima per il Santo Padre e per la Chiesa cattolica. Sono state prese in considerazione le relazioni tra le due Chiese e la situazione del Paese, in spirito di rispetto e con volontà di collaborazione. Il Patriarca Yacoub ha chiesto di portare il suo saluto al Santo Padre. L'incontro si è chiuso con la preghiera per l'unità dei cristiani. Il Cardinale Prefetto ha successivamente fatto visita alla Caritas nazionale di Eritrea, guidata da Padre Uqbagaber Woldeghiorghis, rendendosi conto di persona della imponente opera di formazione e assistenza in atto. Presso il Seminario Intereparchiale ha incontrato i vescovi per un prolungato confronto sulle più urgenti questioni ecclesiali, pastorali e caritative. In serata, sempre al Seminario, il ritrovo con Vescovi, Clero, Religiosi, Operatori Pastorali, Autorità civili e Rappresentanti del Corpo Diplomatico.
Etiopia
Venerdì 17 gennaio il trasferimento in Etiopia con aereo della Missione delle Nazioni Unite, essendo le frontiere tra i due Paesi ancora chiuse. Ad accogliere Sua Beatitudine erano l'Arcivescovo emerito Cardinale Tzadua, il Metropolita Mons. Souraphiel e Mons. Tesfay, vescovo di Adigrat, con alcuni sacerdoti. Nel primo pomeriggio l'incontro con il Presidente della Repubblica, Ato Girma Woldeghiorgis. Cardinale ed accompagnatori si sono trattenuti alla residenza presidenziale per oltre mezz'ora in un clima di particolare cortesia. L'opera di pace e la sollecitudine del Santo Padre per l'Africa e per il mondo sono state motivo di grato apprezzamento da parte del Presidente, che ha espresso tutta la sua riconoscenza per l'incomparabile azione educativa, sociale ed assistenziale svolta dalla Comunità Cattolica. Un grazie speciale per quanto essa sta facendo per alleviare le gravi difficoltà del momento, e per ogni tipo di aiuto che la Santa Sede potrà favorire. Il Presidente ha chiesto di recare il suo ossequio a Sua Santità; ha ricordato Roma e, con piacevole pensiero, la visita compiuta al Pontificio Collegio Etiopico. Presso la Nunziatura Apostolica ha poi avuto luogo una proficua riunione di lavoro dei Vescovi con il Prefetto, presente anche il Vicario Apostolico di Harar, Mons. Ghebreghiorghis; e in serata l'incontro con il Clero, i religiosi e le religiose. Sabato 18 gennaio la visita all'Istituto di Filosofia e Teologia dei Cappuccini in Addis Abeba, con la consegna di attestasti accademici a numerosi alunni. Erano presenti il Cardinale Tzadua e l'Arcivescovo Souraphiel, il Nunzio Apostolico, il Vicario Apostolico di Nekemte, Mons. Dobbelaar, vescovo incaricato per la formazione in seno alla Conferenza Episcopale Etiopica, il vescovo ortodosso Abuna Timotewos, del Collegio Teologico della SS.Trinità, il Vice-Presidente dell'Istituto e Rappresentante del Superiore Generale dei Cappuccini, Abba Melleku. Dopo aver ringraziato il Rettore e il Corpo Docente, il Cardinale ha rivolto parole di saluto e di incoraggiamento ai numerosi studenti, esortandoli a vivere con intensità di fede ed impegno la preparazione alla missione ecclesiale che li attende. L'istituzione accoglie gli studenti del seminario della Arcieparchia e quelli provenienti dagli Istituti religiosi operanti in Etiopia e svolge un ruolo formativo e culturale veramente lodevole. Due gli incontri del Prefetto con Sua Santità Paulos, Patriarca della Chiesa ortodossa di Etiopia. Il primo, sabato mattina, alla residenza patriarcale: erano presenti alcuni Vescovi e Collaboratori. In un clima cordiale e amichevole, il Cardinale Daoud ha ricordato i ripetuti incontri durante i Convegni Uomini e Religioni della Comunità di S.Egidio, ed ha auspicato la vicendevole preghiera per una sempre più efficace testimonianza e collaborazione ecumenica. Da parte del Patriarca Paulos parole di alta stima e gratitudine per l'opera di pace e il ministero ecclesiale del Papa Giovanni Paolo II. Il secondo incontro nel pomeriggio della stessa giornata: al fianco del Patriarca Paulos il Cardinale ha partecipato alla grandiosa festa di Timket per celebrare il Battesimo di Gesù. Centomila persone provenienti da diverse zone della Città si sono ritrovate per la preghiera conclusiva in una atmosfera di incomparabile gioia, al ritmo delle danze e dei canti della tradizione popolare e di quella liturgica ge'ez, attorno ai Tabot, le cosiddette "arche dell'alleanza" proveniente dalle parrocchie cittadine. Sgargianti i costumi dei giovani e delle giovani, e i tipici ombrelli riccamente ornati che in segno di devozione e onore sovrastavano i Tabot e i sacri Ministri. La festa di Timket è una delle tante tracce del fecondo intreccio con l'Antico Testamento: la presenza, secondo antichissime tradizioni, dell'Arca Santa in territorio etiopico è celebrata con l'ideale continuazione nel tempo della danza del Re Davide davanti al segno della "vicinanza divina". Il Patriarca Paulos avrebbe celebrato il mattino seguente la grande liturgia dopo la veglia notturna, con la benedizione dell'acqua, l'aspersione dei fedeli e il ritorno processionale delle Arche nelle rispettive parrocchie. Un rito celebrato in tutta l'Eritrea e l'Etiopia dalla Chiesa Ortodossa "Tewahedo" (ossia dell'unità, unicità, unificazione), come si definisce ufficialmente per richiamare la scelta "Non-calcedonese" condivisa con la Chiesa alessandrina copta. Straordinaria la partecipazione popolare in questa Chiesa, la quale per numero di fedeli (attorno ai 38 milioni) viene al secondo posto tra le Chiese ortodosse, subito dopo quella russa. Domenica 19 gennaio, Sua Beatitudine ha concelebrato, invece, la Liturgia Eucaristica del Battesimo di Gesù in rito ge'ez nella Cattedrale del Metropolita di tutta la Chiesa alessandrina etiopica con lo stesso Mons. Souraphiel, il Cardinale Tzadua, Mons. Tomasi, Mons. Ghebreghiorghis, e altri sacerdoti presenti con la folla dei fedeli. All'omelia egli ha portato il saluto del Santo Padre: "Nel vostro affetto leggo la profonda devozione per Sua Santità Giovanni Paolo II, Papa di Roma e Pastore Supremo della Chiesa cattolica. E' proprio il saluto e la benedizione del Santo Padre che ho l'onore di recare a tutti voi. Egli pensa a voi con cuore di Padre. Segue il vostro cammino. Conosce la vostra sofferenza. Desidera condividere il più possibile le vostre prove. Vi incoraggia e non vi abbandonerà". Ed ha illustrato il mistero del Battesimo di Gesù, richiamando l'adesione alla fede avvenuta in un passato tanto remoto: "Le vostre radici religiose affondano nella visita della regina di Saba a Salomone, che ebbe da lui il figlio Menelik, consacrato Re del vostro popolo. Le radici cristiane si intravedono nel battesimo del ministro della regina di Etiopia, da parte di Filippo, secondo la celebre narrazione degli Atti degli Apostoli. Vennero poi i primi missionari, due giovani di Siria, Frumenzio ed Edesio, seguiti dai santi Monaci bizantini. Frumenzio si recò in Egitto e da S. Atanasio fu ordinato vescovo per l'evangelizzazione del vostro Paese…Sono commosso come figlio e Patriarca emerito della Chiesa siro-cattolica di citare San Frumenzio, il quale dalla mia patria è venuto a voi. Ringrazio il Signore che mi concede di ripercorrere le sue orme. E prego perché siate fedeli a questo glorioso passato per un futuro di speranza". Ha poi esortato a dare testimonianza di unità, pace e carità: "tutti siamo peccatori e tutti salvati nel sacramento del Battesimo. Viviamo ogni giorno il nostro Battesimo impegnandoci per l'unità e la pace, e camminando nella carità fraterna". Ed ha concluso col richiamo alla profonda devozione alla Madre di Dio che distingue la Chiesa alessandrina e, rifacendosi al libro etiopico dei Miracoli di Maria, ha esortato pastori e fedeli ad avere "sempre sulla bocca e nel cuore il nome di Cristo e di Maria". Al termine, sul sagrato, il suggestivo rito battesimale: la benedizione dell'acqua con la ripetuta immersione della croce etiopica preziosa e l'aspersione di tutta l'assemblea. Lasciata la Cattedrale il Cardinale Prefetto si è recato in visita alla zona di Gurage a circa duecento kilometri dalla capitale, con tappe al "St. Luke Catholic Hospital" di Wolisso, e alla annessa "School of Nursing", edificati grazie al significativo contributo della Conferenza episcopale italiana; ad Emdeber, dove ha incontrato una folla di fedeli riuniti in preghiera nella Chiesa parrocchiale; e all'ospedale di Attat, attiguo alla Chiesa parrocchiale di Nostra Signora di Lourdes. Nella mattinata di lunedì 20 gennaio visita alle comunità di Santo Stefano a Shebraber, di S. Maria a Kuchira, di S. Raffaele in Emdeber. Dopo la sosta al Convento dei Cappuccini di Maganasse per l'incontro con i religiosi (una ventina, di cui dodici novizi), sulla via del ritorno tappa alla Chiesa parrocchiale di S.Michele di Welkite e a quella di Wolisso. Con il Cardinale Daoud hanno visitato la zona di Gurage anche l'Arcivescovo Souraphiel e Abba Tsegaye Keneni, Segretario Generale della Caritas Etiopica. Il Nunzio Apostolico e Mons. Maurizio Malvestiti, officiale della Congregazione per le Chiese Orientali, unitamente a Bro. Vincent Pellettier, direttore dell'ufficio Cnewa di Addis Abeba (è la sezione per l'Etiopia e l'Eritrea dell'agenzia della Chiesa statunitense in aiuto alle Chiese Orientali), hanno accompagnato il Cardinale Prefetto durante l'intera visita ai due Paesi.
** ** ** **
Rientrato a Roma il Cardinale Daoud ha potuto presiedere mercoledì 22 gennaio la sessione semestrale della Roaco (Riunione delle Opere in aiuto alle Chiese Orientali), che ha dedicato una speciale attenzione all'Etiopia e all'Eritrea. All'incontro hanno partecipato anche il Nunzio Apostolico Mons. Tomasi e il direttore Cnewa di Addis Abeba. Tutti hanno segnalato la delicata congiuntura in cui si trovano i due Paesi. Il Cardinale Prefetto ha richiamato la stupenda accoglienza ricevuta; i segni di grande attaccamento alla Chiesa e al Papa; l'incontro con numerosi bambini e giovani carichi di entusiasmo; le testimonianze ammirevoli dei missionari, uomini e donne, consacrati e laici che spendono l'esistenza in una silenziosa e fedele dedizione ai più poveri. Nel contempo ha sottolineato gli immensi bisogni e le numerose richieste per consentire dignitose condizioni di vita, assistenza sanitaria, educazione a tanta parte della popolazione, che in alcune zone è alle soglie della sopravvivenza. Una chiesa con antiche radici e insieme molto giovane quella di Etiopia ed Eritrea, in pieno sviluppo, bisognosa però di un sostegno puntuale perché possa fare fronte alle sfide della povertà e a quelle ancora più impegnative della evangelizzazione. Rispettata dal contesto sociale e politico, e dalla Chiesa sorella ortodossa, la comunità cattolica locale è chiamata a dare il suo contributo per un futuro di sviluppo e di convivenza pacifica nel continente africano. Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa, unitamente alle denominazioni protestanti, sono maggioritarie nelle due nazioni. Ad esse compete un ruolo di non facile mediazione per garantire rispetto, libertà e crescita a tutte le anime religiose dell'Africa in vista di un proficuo dialogo interreligioso. E una speciale missione è affidata alla Chiesa di rito alessandrino, che ha elaborato lungo i secoli una forma teologica, liturgica e spirituale tutta originale per dire il mistero cristiano in questa parte dell'Africa, e ha già raccolto lungo i secoli copiosi frutti spirituali e sociali. La compongono oltre duecentomila fedeli; e può contare su giovani Vescovi e sacerdoti preparati e impegnati. E' una Chiesa che a differenza di quasi tutte le Chiese orientali non soffre l'emigrazione. Non deve solo salvaguardare gelosamente un glorioso passato: è bensì protesa verso chiare prospettive di crescita. La concreta sfida missionaria, di cui si è fatta carico insieme ai pastori e ai fedeli di rito latino, non deve essere mortificata dalla insufficiente solidarietà della più grande comunità cattolica.
CAPPELLA PAPALE PER LE ESEQUIE DELL’EM.MO CARD. PAULOS TZADUA
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Martedì, 16 dicembre 2003
1. "Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese" (Lc 12,35).
Il tempo di Avvento fa da sfondo a questa celebrazione esequiale, in cui offriamo il Sacrificio eucaristico per il caro e venerato Fratello Cardinale Paulos Tzadua, Arcivescovo emerito di Addis Abeba. Il Signore l’ha chiamato a sé proprio in questi giorni, durante i quali insistenti sono i richiami alla vigilanza, all’attesa e alla speranza.
L’evangelista Luca ci ha poc’anzi avvertiti: "Tenetevi pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate" (Lc 12,40). Il cristiano deve sempre essere pronto per affrontare il passaggio della morte. Egli guarda al futuro - sia personale che universale - nella prospettiva della parusia, e tutto orienta a queste ultime e fondamentali realtà. Grande, infatti, è l’evento che ci attende: l’incontro "faccia a faccia" con Dio (cfr 1 Cor 13,12).
2. "Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli" (Lc 12,37). Ci piace considerare questo nostro Fratello, a cui diamo l’ultimo saluto, come uno dei "servi" di cui parla il Vangelo e che il "padrone" ritornando ha trovato desti. Sacerdote e Vescovo zelante, egli ha speso la vita per Cristo e per la Chiesa. Con scelta significativa, nel suo stemma aveva posto il motto: "Per Gesù Cristo". Ad imitazione del suo Signore, si è fatto servitore dei fratelli, ponendo a loro disposizione le elette qualità di cui era dotato, come pure le vaste conoscenze acquisite mediante gli studi, specialmente in campo giuridico. Ma, al di là della fatica pastorale, egli ha soprattutto donato se stesso, dando prova ovunque di santità di vita e di costante anelito apostolico. Per questo, nei vari ambiti in cui è stato chiamato a svolgere il ministero sacerdotale ed episcopale ha lasciato un ricordo pieno di stima e di venerazione.
3. Amiamo pensare a lui come a un generoso ed attivo Pastore di quella eletta porzione di Chiesa che è in Africa. Di essa si fece autorevole portavoce in seno al Sinodo dei Vescovi, a cui prese parte già come Presidente della Conferenza Episcopale d’Etiopia e, in seguito, quale Arcivescovo di Addis Abeba e Cardinale.
Questo aspetto del suo ministero è culminato nell’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa, svoltasi a Roma nel 1994, nella quale, come terzo Presidente Delegato, ha ricoperto un ruolo di grande rilievo. Il Popolo di Dio gli è debitore di una spiccata sollecitudine nei confronti del laicato, alla cui vocazione, formazione e missione si è sempre dimostrato spiccatamente attento, in fedeltà agli insegnamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II.
4. "Nella sua grande misericordia, [Dio] ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva" (1 Pt 1,3).
In momenti di prova e di dolore, come questo, il ricorso alla parola di Dio è per i credenti fonte di conforto e di speranza. E’ l’apostolo Pietro, nella seconda Lettura, a ricordarci che Cristo ha vinto la morte con la sua resurrezione.
Celebrando il memoriale della sua Pasqua, noi oggi invochiamo la potenza del Signore risorto per il venerato e caro Cardinale Paulos Tzadua. Per lui, fedele servitore della Chiesa, è conservata nei cieli "un’eredità che non si corrompe" (1 Pt 1,4); per lui è aperto il banchetto della vita e della gioia (cfr Is 25,6).
Lo accolga la Vergine Maria e sia Lei ad accompagnarlo in Paradiso, perché goda in eterno la beatitudine dei giusti. Amen!
VISITE "AD LIMINA"
Etiopi ed Eritrei
Il 27 aprile 1999:
- S. Em. Card. Paulos Tzadua, Arcivescovo emerito di Addis Abeba;
- S. E. Kidane-Mariam Teklehaimanot, Vescovo di Adigrat;
- S. E. Berhane-Yesus Demerew Souraphiel, Vescovo titolare di Bita, Amministratore apostolico "sede vacante" di Addis Abeba;
- S. E. Tesfamariam Bedho, Vescovo di Keren;
- S. E. Luca Milesi, Vescovo di Barentu.
Il 27 aprile 1999:
- S. Em. Card. Paulos Tzadua, Arcivescovo emerito di Addis Abeba;
- S. E. Kidane-Mariam Teklehaimanot, Vescovo di Adigrat;
- S. E. Berhane-Yesus Demerew Souraphiel, Vescovo titolare di Bita, Amministratore apostolico "sede vacante" di Addis Abeba;
- S. E. Tesfamariam Bedho, Vescovo di Keren;
- S. E. Luca Milesi, Vescovo di Barentu.
Il Grande Giubileo 2000
Nel pomeriggio di venerdì 26 maggio 2000, sempre nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, nel giorno della Festa di Maria Patto della Misericordia secondo la tradizione alessandrina-etiopica, ebbe luogo la Divina Liturgia in quello stesso rito. Fu presieduta da S. Em. il Card. Paulos Tzadua, Arcivescovo emerito di Addis Abeba. Concelebravano le Loro Eccellenze Youhannes Zakaria di Asmara, Kidane-Mariam Teklehaimanot di Adigrat e Yohannes Woldegiorgis, Vicario Apostolico di Meki.
Alla solenne Eucaristia presenziavano pure i cardinali Roger Etchegaray ed Achille Silvestrini, Mons. Claudio Gugerotti, nonché i vescovi Silvano Tomasi, Nunzio Apostolico in Etiopia ed Eritrea, Lorenzo Ceresoli, Vicario Apostolico di Awasa, e Ivan Choma.
Numerosi erano i sacerdoti, alcuni dei quali appena giunti dall'Eritrea, e i pellegrini provenienti dalle due Eparchie dell'Etiopia e dalle tre Eparchie dell'Eritrea, e quelli di entrambi i Paesi che risiedono in Italia; tutti pregavano e cantavano insieme. La solenne liturgia è stata introdotta da una processione e da una danza tradizionale, accompagnata dal suono degli strumenti musicali, quali il sistro, il tamburo e il bastone di canto, per scandire il ritmo e per introdurre l'assemblea in un'atmosfera singolare.
Alla solenne Eucaristia presenziavano pure i cardinali Roger Etchegaray ed Achille Silvestrini, Mons. Claudio Gugerotti, nonché i vescovi Silvano Tomasi, Nunzio Apostolico in Etiopia ed Eritrea, Lorenzo Ceresoli, Vicario Apostolico di Awasa, e Ivan Choma.
Numerosi erano i sacerdoti, alcuni dei quali appena giunti dall'Eritrea, e i pellegrini provenienti dalle due Eparchie dell'Etiopia e dalle tre Eparchie dell'Eritrea, e quelli di entrambi i Paesi che risiedono in Italia; tutti pregavano e cantavano insieme. La solenne liturgia è stata introdotta da una processione e da una danza tradizionale, accompagnata dal suono degli strumenti musicali, quali il sistro, il tamburo e il bastone di canto, per scandire il ritmo e per introdurre l'assemblea in un'atmosfera singolare.
FUNERAL MASS FOR CARDINAL PAULOS TZADUA
HOMILY OF JOHN PAUL II
Monday, 16 December 2003
1. "Let your loins be girded and your lamps burning" (Lk 12: 35).
The season of Advent is the background to this funeral celebration in which we are offering the Eucharistic sacrifice for our beloved and venerable Brother, Cardinal Paulos Tzadua, Archbishop emeritus of Addis Ababa. The Lord summoned him in these very days when there is a pressing call to watch, wait and hope.
Luke the Evangelist has just warned us: "You also must be ready; for the Son of man is coming at an hour you do not expect" (Lk 12: 40). The Christian must always be ready to meet the passage of death. He or she looks toward the future - both personal and universal - in the perspective of the parousia and directs all things to this ultimate, fundamental reality. Indeed, the event that awaits us is important: the "face to face" encounter with God (cf. I Cor 13: 12).
2. "Blessed are those servants whom the master finds awake when he comes" (Lk 12: 37). We are pleased to consider this brother of ours, as we take leave as one of the "servants" the Gospel mentions whom the "Master" finds ready upon his return. A zealous priest and Bishop, he spent his life for Christ and for the Church. With a meaningful decision, he chose for his coat of arms the motto: "For Jesus Christ". In imitation of his Lord, he became the servant of his brethren, making available to them those choice qualities with which he was endowed, such as his vast knowledge acquired though study, especially in the field of law. However, over and above his pastoral work, more than anything he gave of himself, demonstrating everywhere holiness of life and constant apostolic longing. So it was that in the various places where he was called to carry out his priestly and episcopal ministry, he is remembered with true esteem and veneration.
3. We like to think of him as a generous and active Pastor of that chosen portion of the Church which is in Africa. He made himself her authoritive spokesman in the Synod of Bishops, in which he took part first as President of the Ethiopian Bishops' Conference and later, as the Cardinal Archbishop of Addis Ababa.
This aspect of his ministry culminated in the Special Assembly of the Synod of Bishops for Africa that was celebrated in Rome in 1994 in which, as the Third President Delegate, he played an important role. The People of God are indebted to him for his outstanding concern for lay people, to whose vocation, formation and mission he always showed himself particularly attentive, faithful to the teaching of the Second Vatican Council.
4. "By his great mercy we have been born anew to a living hope through the resurrection of Jesus Christ from the dead" (I Pt 1: 3).
In moments of trial and grief such as this, recourse to the word of God is a source of comfort and hope to believers. In his Second Letter the Apostle Peter reminds us that Christ conquered death with his Resurrection.
Celebrating the memorial of his Pasch, we pray today for the power of the risen Lord for our venerable and dear Cardinal Paulos Tzadua. In heaven, "an inheritance which is imperishable" (I Pt 1: 4) is in store for him, a faithful servant of the Church. The feast of life and joy awaits him (cf. Is 25: 6).
May the Virgin Mary receive him and accompany him to Paradise, so that he may enjoy for eternity the blessedness of the righteous. Amen!
Etiopia: L'ultimo Impero Cristiano
Se si riflette su quale sia stato l’ultimo impero cristiano la memoria probabilmente corre fra Mosca e Vienna, che alla vigilia della 1^ Guerra Mondiale ancora conservavano, sebbene ridotte,vestigia e simbolismi cristiani all’interno della proprie strutture statali.
Difficilmente si penserebbe ad un grande Paese africano. E invece proprio nel cuore dell’Africa, in Etiopia, è sopravvissuto l’ultimo Impero cristiano fin quasi ai nostri giorni; ed esattamente fino a quando, nel 1974, un colpo di Stato condotto da un pugno di ufficiali filo-sovietici non spazzò via l’imperatore Hailè Selassiè e tutto ciò che egli rappresentava.
Per avere un’ampia panoramica dei rapporti fra Stato e Chiesa in Etiopia, ultima realtà politica ufficialmente “cristiana”, è di estrema utilità la lettura del libro di Paolo Borruso “L’ultimo impero cristiano” (Edizioni Angelo Guerini e Associati SpA, Milano, 2002, pagg. 379, Euro 29,00).
Nel capitolo 1° (Le radici apostoliche dell’Etiopia cristiana) viene raccontato come l’evangelizzazione dell’Etiopia sia avvenuta grazie alla predicazione, nel IV sec. d.C., del monaco siriano San Frumenzio, a ciò incaricato da Anastasio, Vescovo di Alessandria d’Egitto. Tale origine egiziana segnerà per sempre la vita della Chiesa d’Etiopia, che solo alla metà del XX° secolo, con l’autocefalia, reciderà il proprio legame di subordinazione dalla Chiesa copta egiziana: fino a quel momento l’Abuna (Patriarca) etiopico fu sempre un Vescovo egiziano direttamente nominato dal Patriarca di Alessandria d’Egitto.
Con la conversione del re Ezana, fra il 320 e il 335, il cristianesimo si saldò all’organizzazione statuale divenendo la religione ufficiale del Paese, originariamente limitato al Regno di Axum. Progressivamente esso si estese ad altri territori abitati da gruppi etnici dell’altopiano etiopico: i Tigrini e gli Amhara. Le Sacre Scritture vennero tradotte in ge’ez, la lingua più diffusa dell’altopiano, e iniziò un movimento monastico di larghe dimensioni, ” che ebbe notevole influenza sugli orientamenti politici degli imperatori e stabilì uno stretto legame fra Stato e Chiesa”.
Dal VII secolo in poi l’Etiopia dovette fare i conti con la minaccia islamica, tanto da divenire ben presto un’isola cristiana nel mezzo di un mare musulmano. Contatti con il Mediterraneo cristiano, e non soltanto con l’Egitto, furono mantenuti in varie occasioni: nel 1439, per esempio, monaci e teologi etiopici si recarono al Concilio Ecumenico di Firenze quale atto di omaggio verso la Chiesa di Roma. Ciò non impediva di conservare la propria adesione ai dettami cristiani non calcedonesi, e cioè al monofisismo.
Uno dei momenti più difficili per la sopravvivenza dell’Etiopia cristiana si ebbe nel 1527, quando Ahmed ibn Ibrahim, detto Gram, e cioè il Mancino, conquistò all’Islam vasti territori dell’Abissinia. Scrive l’Autore: “L’invasione, con le conversioni forzate all’Islam, provocò distruzioni di monasteri e chiese cristiane, ma scompaginò anche l’ordine sociale su cui si era sviluppata la società etiopica “. L’eclissi del cristianesimo etiopico fu provvidenzialmente scongiurato dall’immigrazione delle genti Oromo, che, sebbene di fede musulmana, si misero per lo più a servizio degli Amhara cristiani, e comunque costituirono un efficace cuscinetto fra le popolazioni cristiane degli altopiani e quelle islamiche dei bassopiani. Nel 1621, sotto l’influenza dei missionari gesuiti e per volontà dell’Imperatore Susenyos, vi fu una breve riunificazione (durata sino al 1632) con la Chiesa cattolica romana. Il processo fu però sabotato dal clero etiopico che vi vedeva un ostacolo alla conservazione dei propri privilegi. Naturalmente i gesuiti furono subito espulsi. L’attivismo imperiale in campo religioso è sempre stata una connotazione della società etiopica, attivismo dettato spesso dall’esigenza di contrastare l’arretratezza culturale e talora l’ignoranza degli ecclesiastici. Basti pensare che una delle maggiori preoccupazioni dell’ultimo Imperatore, Hailè Selassiè, fu proprio quella di garantire un’adeguata formazione teologica a preti e seminaristi. A tale scopo notevoli furono le aperture verso le altre chiese ortodosse e quella anglicana.
Con l’avvento dell’Imperatore Tewodros II, nel 1855, aveva inizio il processo di modernizzazione dell’Etiopia: Tewodros lottò contro la schiavitù, praticata negli ambienti islamici e tollerata fra alcuni dignitari cristiani; vietò la castrazione dei prigionieri di guerra in uso presso gli Oromo; tentò di affermare il rispetto della monogamia.
Menelik II, il vincitore degli Italiani ad Adua, stabilì definitivamente la capitale ad Addis Abeba. Menelik rafforzò l’identità cristiana dello Stato; tale compito divenne poi programma costante per tutta la vita e per tutto il lungo regno del successore Hailè Selassiè.
Le biografie ne parlano come di uomo profondamente religioso, di preghiera e scrupoloso osservante dei precetti religiosi, particolarmente devoto al culto mariano: “La sua concezione sacrale del potere non rispondeva solo ad una visione utilitaristica della confessione cristiana come instrumentum regni ma si rivelò alla lunga come una sorta di compenetrazione che toccava la sua coscienza di uomo destinato a proporsi come guida patriarcale”.
Vincitore al fianco degli Inglesi contro l’Italia fascista, raccomandò sempre ai propri sudditi umanità e ospitalità nei confronti degli Italiani sconfitti.
Hailè Selassiè fu anche l’uomo del pan-africanismo, diventando negli anni ‘60 presidente dell’O.U.A. (Organizzazione per l’Unità Africana). Cercò per tutta la sua vita di rafforzare e migliorare le strutture ecclesiali del proprio Paese, convinto che la santità della Chiesa e degli uomini di Chiesa potesse influenzare beneficamente l’intera società. Tentò di coniugare progresso e sviluppo tecnologico con le più antiche tradizioni. Non vi riuscì fino in fondo, perchè dopo aver sventato le molte sedizioni islamiche e le insofferenze tribali in varie parti dell’Impero (sostenute dagli Stati islamici), dovette cedere ad una congiura di militari comunisti (diretti dall’ambasciata sovietica), che, riuniti nel Derg, precipitarono il Paese nell’oppressione tipica del socialismo reale.
Un libro dunque interessante, anche se adatto più agli specialisti che al grande pubblico, e che lascia il lettore con la curiosità di sapere quale sia, dopo la sciagurata parentesi comunista,la situazione attuale della Chiesa etiopica e dei suoi rapporti con la nuova Repubblica.
Roberto Cavallo
Il Cardinale Paulos Tzauda
, Arcivescovo emerito di Addis Abeba (Etiopia), è nato nel villaggio di Addifini, nell'Eparchia di Asmara (Eritrea), il 25 agosto 1921. Dopo una breve permanenza nello studentato dei Padri Cappuccini a Gaggiret, è entrato nel Seminario di Cheren dove ha compiuto tutti gli studi ecclesiastici.
Ordinato sacerdote il 12 marzo 1944, è stato vice-parroco della cattedrale di Asmara e direttore dell'annessa scuola parrocchiale. Due anni dopo, veniva inviato nella missione di Guraghè, nel sud dell'Arcieparchia di Addis Abeba, dove è rimasto tre anni.
Ritornato in Eritrea come insegnante di lingua inglese presso il Seminario minore, ha continuato gli studi conseguendo nel 1953 la maturità classica presso il liceo italiano "Ferdinando Martini" di Asmara. Vincitore di una borsa di studio messa a disposizione di studenti di paesi di missione dall'Università Cattolica del Sacro Cuore, nel 1953 si è trasferito a Milano per frequentare i corsi della Facoltà di Scienze Politiche e Sociali. Qui conseguiva la laurea con una tesi in Diritto Internazionale e successivamente il dottorato in Giurisprudenza.
Rientrato in patria, ha svolto l'incarico di segretario di Mons. Asrate Mariam Yemmeru nella sede di Asmara e in quella di Addis Abeba. Eletto Segretario generale della Conferenza episcopale, ha affiancato agli impegni di Curia un intenso servizio pastorale in favore degli studenti universitari. Inoltre è stato uno dei due Osservatori della Santa Sede alla Sessione del Comitato Centrale del Consiglio Mondiale delle Chiese, svoltosi nella città eritrea.
Eletto il 1° marzo 1973 Vescovo titolare di Abila di Palestina e nominato nel contempo Ausiliare dell'Arcivescovo di Addis Abeba, ha ricevuto l'ordinazione episcopale il 20 maggio successivo. Dopo appena due anni è stato eletto Presidente della Conferenza Episcopale di Etiopia, incarico ricoperto senza interruzione fino al 1999.
Il 24 febbraio 1977 Paolo VI lo ha nominato Arcivescovo di Addis Abeba. In questa sede ha rivolto la sua attenzione principalmente al settore delle vocazioni e del laicato. Per il primo ha impresso un nuovo impulso alla pastorale, grazie alla collaborazione offerta dai Gesuiti nel Seminario minore e dai Comboniani per quello maggiore. Per quanto riguarda il laicato, invece, ha realizzato nel 1980 un Consiglio per i laici a livello diocesano.
Da Giovanni Paolo II creato e pubblicato cardinale nel Concistoro del 25 maggio 1985, del Titolo del SS. Nome di Maria a Via Latina.
È stato Presidente delegato all'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi (1994).
È stato Arcivescovo di Addis Abeba fino all'11 settembre 1998.
Il Card. Paulos Tzadua è deceduto l'11 dicembre 2003.
Iscriviti a:
Post (Atom)